Cambiano toni e significati della celebrazione del 9 maggio. Stando ai sondaggi, i russi approvano il nuovo corso del Cremlino e sono più distanti che mai dall’Occidente, ma al contempo sono sempre più preoccupati.
Nove maggio in tono minore, parata monca dell’aviazione, Putin stanco, Shoigu invecchiato, Paese deluso. In previsione del Giorno della Vittoria si era sentito dire di tutto. Che Putin avrebbe dichiarato conclusa la guerra. Anzi no, che avrebbe dichiarato la guerra totale, la mobilitazione generale, la legge marziale. Nulla di tutto questo (ciò che avevamo inventato e a cui avevamo deciso di credere) è successo, ma un po’ di cose sono successe comunque. La più importante: è arrivato a conclusione un processo in corso ormai da diversi anni, quello che ha trasformato la vittoria sovietica sul nazismo del 1945 nella vera religione nazionale, il culto della patria russa e della sua missione universale. Non a caso Putin non solo ha celebrato la Vittoria ma ha anche criticato il “degrado morale” dell’Occidente, ribadendo che “non rinunceremo mai all’amore per la Patria, alla fede e ai valori tradizionali, ai costumi dei nostri antenati, al rispetto per tutti i popoli e le culture. E in Occidente, questi valori millenari, a quanto pare, hanno deciso di cancellarli”.
È una versione laica, anzi profana, della teoria di “Mosca terza Roma” elaborata nel Cinquecento dal monaco Filofey di Pskov. E la guerra in Ucraina ha consentito appunto di tirare un filo rosso tra la “missione” di oggi (difendere la Patria dalla Nato, denazificare, difendere i valori millenari) e il momento fondativo di ieri, cioè il trionfo sul nazismo pagato al prezzo di 27 milioni di caduti. La Russia come l’Urss, Putin come Stalin ma anche la Nato come la Germania nazista e l’Ucraina (in parte) banderista e collaborazionista di ieri come l’Ucraina della guerra in Donbass oggi. I simboli contano, ed eccone uno perfetto per l’occasione, infatti rilanciato dalle televisioni di Stato: il padre di Magomed Nurmagomedov, il primo tra i caduti russi in Ucraina e essere decorato come Eroe della Russia alla memoria, è sfilato a Mosca nel Battaglione Immortale portando la fotografia del figlio e quella dei due nonni, morti durante la Grande Guerra Patriottica.
Una narrazione costruita con calma, negli ultimi quindici anni, passo dopo passo. Ma è una narrazione che convince i russi? Molti hanno giudicato un po’ spento questo settantasettesimo 9 maggio, e burocratico il discorso di Putin. Noi useremmo altri aggettivi. Più che spento, conscio. Più che burocratico, freddo. Putin non ha fatto annunci clamorosi ma nemmeno un passo indietro, nemmeno un accenno a trattative o accordi. Anzi: ha detto che il Cremlino aveva cercato di trattare prima, senza essere preso sul serio. E di fronte alla minaccia, ha dovuto lanciare una guerra preventiva. Voi fate questo, noi facciamo la guerra. Automatico, inevitabile. Diremmo quasi che Putin abbia voluto preparare i russi, avvertirli che questa guerra sarà lunga e dura.
Come hanno reagito i russi? Certo, quella militaresca è stata la nota dominante. Chi, come me, ha vissuto a Mosca i 9 maggio nella Russia immediatamente post-sovietica, ricorda più i palloncini e i gelati dei bambini che i carri armati, più la gente allegra nel primo caldo che il passo cadenzato dei soldati sulla Piazza Rossa. Ma, appunto, quei tempi sono proprio finiti. Per il resto, la società russa oggi ricorda la barzelletta del tizio che, cadendo dall’ottantesimo piano, arrivato al quarantesimo si dice: “Fin qui, tutto bene”. Le inchieste sulla pubblica opinione finora condotte testimoniano di una generale adesione ai principi di cui si diceva prima e alla “necessità” di questa guerra. È rinato il cosiddetto “consenso Crimea”, l’effetto già rilevato nel 2014 all’epoca della prima crisi ucraina e della riannessione alla Russia della penisola. Secondo il Levada Center (che il Governo ha messo nella lista degli “agenti stranieri”, ovvero delle organizzazioni che ricevono fondi dall’estero), l’approvazione per Putin è all’82%, mentre l’81% approva la cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina (il 71% per l’altro grande istituto, il VTsIOM), mentre è ai minimi storici la considerazione per gli Usa e l’Europa. Sono dati che colpiscono, pur tenendo in conto la pressione dei media di Stato, la censura su quelli di opposizione o stranieri, la repressione delle proteste di piazza e le durissime leggi speciali approvate dopo l’inizio della guerra, come quella che prevede fino a 15 anni di carcere per chi diffonda “notizie false e tendenziose” sulle operazioni militari.
Cresce il consenso ma, paradossalmente, cresce anche l’ansia. È ormai al 53% (Levada) la quota di coloro che sono “preoccupati” o “molto preoccupati” per le sanzioni varate dall’Occidente, con percentuali anche più alte in città come Mosca o San Pietroburgo. Zarplata.ru, il portale dedicato ai temi del lavoro, ha pubblicato i risultati di una sua indagine: l’80% dei russi si è messo a risparmiare, e quasi il 50% degli intervistati dice di fare economie un po’ su tutto e non solo su viaggi, ristoranti, generi alimentari e abbigliamento, i settori più colpiti dai tagli. Non passa giorno senza che i rappresentanti di una qualche categoria professionale lamentino la crisi, dagli imprenditori dell’edilizia ai gestori dei cinema. Ultima in ordine di tempo, l’Associazione dei centri commerciali il cui presidente, Dimitrij Moskalenko, ha denunciato un calo del fatturato del 15% a causa della chiusura di molti negozi e brand occidentali.
Il tutto fa tornare alla mente l’irrituale “appello alla nazione” che Elvira Nabiullina, governatrice della Banca Centrale di Russia, fece allo scoppio della guerra, avvertendo che sarebbero arrivati tempi duri e che solo una grande solidarietà collettiva avrebbe permesso di superarli. Si disse che il Cremlino, allora, non aveva gradito. Ma nel discorso sulla Piazza Rossa lo stesso Putin ha parlato di nuove “misure di sostegno” per i militari e i dipendenti di altre agenzie governative, segno evidente che il governo sente la necessità di intervenire. Quello che più impressiona, in conclusione, è lo sviluppo di questi ultimi tre decenni, dalla voglia pazza di Occidente alla repulsione per un mondo ormai percepito come ostile e alla voglia di mollare gli ormeggi. La Russia ha iniziato una traversata pericolosa e dagli approdi sconosciuti. Si aggrappa alla patria, come ha sempre fatto nei momenti più duri.
Fulvio Scaglione