Putin, Lavrov e Medvedev hanno citato più volte le capacità nucleari russe nei loro discorsi, riportando il dibattito sulle armi atomiche in auge, riaccendendo non solo vecchie scintille tra le grandi potenze, ma anche alimentando le più profonde paure nella psiche delle persone, come quella della distruzione completa di tutta l’umanità. La postura russa nei confronti dell’atomica.
Le bombe atomiche sembrano essere non solo un’arma nata, sviluppata e dimenticata con la fine della Seconda guerra mondiale, ma soprattutto un lontano ricordo. Tuttavia, nonostante le abominevoli conseguenze causate da Little Boy e Fat Man, la costruzione, lo sviluppo e i test delle armi nucleari sono continuati nel tempo, rendendo la loro eco più forte che mai, anche 77 anni dopo.
“Le bombe più piccole che potrebbero trasformare l’Ucraina in una zona di guerra nucleare”, “Guerra in Ucraina: la Russia potrebbe usare le armi tattiche nucleari?”, “La Russia di Lavrov: una terza guerra mondiale sarebbe nucleare, distruttiva”, “La Russia afferma che i rischi di guerra nucleare devono essere ridotti al minimo, riferisce la TASS” sono, infatti, solamente alcuni dei titoli apparsi di recente sui principali media occidentali, come il New York Times, la BBC, Al Jazeera e Reuters.
Lungi dall’essere armi obsolete, le atomiche e il loro possibile utilizzo sono dibattute tra gli esperti di relazioni internazionali e all’interno dei consessi governativi. Se ne parla, infatti, sebbene la cosiddetta “tradizione del non uso[1]” abbia caratterizzato la postura nucleare delle potenze dal 1945 a questa parte. Se ne parla, specialmente con riferimento alle provocazioni e alle escalation avvenute negli anni, che hanno rappresentato (e rappresentano tutt’ora) una sfida per gli attuali equilibri fondati sulla deterrenza. All’interno dell’accademia, infatti, le fazioni che animano tale dibattito sono costantemente divise tra la legittimità della proliferazione, l’urgenza del disarmo, della non-proliferazione e la necessità di raggiungere l’abolizione totale delle testate nucleari per mantenere la sicurezza e la stabilità dell’attuale quadro internazionale e regionale. L’ultima opzione viene spesso ritratta come un’idea “utopistica”, visti i numeri degli arsenali e la riluttanza da parte delle grandi potenze a rinunciare all’atomica, di fondamentale importanza strategica.
Al giorno d’oggi gli Stati con capacità nucleari sono nove. Tra questi spicca la Russia, il cui arsenale conta una riserva di circa 4.477 testate nucleari (includendo quelle strategiche, non strategiche, schierate e stoccate). Un numero in leggera diminuzione rispetto al 2021, su un totale di circa 12.700 testate complessivamente presenti nel mondo. Russia e Usa, inoltre, dispongono del 90% delle armi nucleari del pianeta.
Fonte: Federation of American Scientists, the Status of Nuclear Forces, august 23.
La relazione della Russia con l’atomica è tutt’altro che recente. L’Unione Sovietica, infatti, diventò la seconda potenza nucleare dopo aver testato la sua prima arma a Semipalatinsk, in Kazakistan, il 29 agosto 1949. L’arsenale sovietico riuscì a contare fino a 45.000 testate nel 1986[1], schierate perlopiù in Russia, Ucraina, Kazakistan e Bielorussia, secondo quanto affermato da Victor Mikhailov, scienziato nucleare scelto per dirigere il Ministero dell’Energia Atomica dell’URSS, o Minatom (ora Rosatom). In seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, però, le tre repubbliche sopracitate (escludendo la Russia), decisero di rinunciare alle loro armi atomiche firmando gli accordi conosciuti come il “Memorandum di Budapest” del 1994, o meglio “il Memorandum sulle garanzie di sicurezza in relazione all’adesione della Repubblica di Bielorussia, Repubblica di Kazakistan e Ucraina al trattato di non proliferazione delle armi nucleari”. Rinunce accordate in cambio di garanzie riguardo la loro indipendenza e il rispetto della loro sovranità da parte di Russia, Regno Unito e USA, accordo tradito dall’annessione della Crimea del 2014 e dall’attuale guerra in Ucraina. Le repubbliche, quindi, firmarono ufficialmente il Trattato di non proliferazione nucleare (NPT), il quale ne riconosceva lo status di “Paesi non nucleari”, a differenza della neonata Federazione Russa – considerata, da quel momento, a tutti gli effetti l’erede dell’arsenale sovietico. Il trattato prevedeva, infatti, diversi obblighi per i Paesi firmatari, tra i quali la non assistenza agli “Stati non nucleari[2]” nella produzione o nell’acquisto di testate nucleari e l’astensione da parte degli “Stati nucleari[3]” nelle stesse attività, la presenza di ispezioni e attività di monitoraggio da parte dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) e l’impegno nell’uso pacifico dell’energia nucleare.
L’Unione Sovietica aveva firmato numerosi trattati con gli Stati Uniti, fondamentali nella riduzione delle armi nucleari sovietiche ai numeri sopracitati, come nel caso dello START I. Degno di nota, tenendo in considerazione i più recenti sviluppi sul tema, è sicuramente il trattato NEW START, siglato nel 2010, il quale limita il dispiegamento di testate nucleari strategiche e bombe a 1.550, e il numero dei vettori nucleari tra Missili Balistici Intercontinentali (ICBM), dei missili balistici lanciati da Sottomarini Nucleari Lanciamissili (SLBM) e bombardieri pesanti assegnati a missioni nucleari a 700, citando solamente alcune delle limitazioni presenti nel documento.
L’accordo, essendo stato esteso dalle controparti fino al 2026, rimane essenziale nella regolamentazione di tali armamenti, specialmente considerando il fatto che nel 2018 la Russia ha votato contro l’annuale risoluzione proposta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite riguardo l’adozione del Trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPNW). Se la Russia firmasse quest’ultimo trattato, infatti, dovrebbe sottostare ad obblighi quali una serie completa di divieti sulla partecipazione a qualsiasi attività relativa ad armi nucleari come sviluppo, test, produzione, acquisizione, possesso, stoccaggio, utilizzo o minaccia di detonare armi nucleari, perdendo così, la sua leva strategica nei confronti di altri Stati lontanamente intenzionati a fare lo stesso, come la Corea del Nord o gli Stati Uniti.
Viste le poche convergenze e le tante divergenze, il dibattito si è riacceso all’indomani della guerra in Ucraina, che ha sollevato numerosi interrogativi riguardo la possibilità di una terza guerra mondiale. Lo stesso Putin ha contribuito, mettendo in allerta la forza nucleare russa, all’aumento delle speculazioni da parte dei media occidentali, prima di ritornare sui suoi passi. Lavrov, infatti, ha recentemente sottolineato come la Russia stia “facendo molto per prevenire la guerra nucleare a tutti i costi” essendo i rischi al giorno d’oggi “considerevoli”. Per questo motivo, infatti, la Russia ha deciso di mantenere fede alla tradizione del non-uso, secondo le parole di Lavrov, il quale ha anche aggiunto come lui non voglia “elevare artificialmente quei rischi”, seppure questo corrisponda al volere “di molti”, sottolineando come “il pericolo è serio, reale. E non dobbiamo sottovalutarlo”. Citando Medvedev, infatti, la Russia potrebbe utilizzare le sue armi nucleari solamente in quattro casi, ossia la situazione in cui la Russia venga colpita da un missile balistico con vettori nucleari, in seguito ad un lancio di una bomba atomica contro la Russia o contro i suoi alleati, in reazione ad un attacco a un’infrastruttura critica che potrebbe paralizzare le forze di deterrenza russe, oppure reagendo a un atto di aggressione, commesso anche senza l’uso di armi nucleari, contro la Russia e i suoi alleati che metterebbe in pericolo l’esistenza del Paese stesso.
Secondo la stampa occidentale, tutto questo dibattito potrebbe essere nient’altro che il tentativo di Mosca di spostare l’attenzione della stampa dal fallimento di Putin nell’occupazione completa della capitale dell’Ucraina, Kiev, a una potenziale minaccia nucleare, la quale, per il momento, secondo quanto riportato dal Cremlino, non farebbe parte del piano di attacco, perlomeno a breve termine. Quello che è certo è che, però, il dibattito sull’atomica sia più vivo che mai dai tempi della crisi di Cuba, riaccendendo non solo vecchie scintille tra le grandi potenze, ma anche le più profonde paure nella psiche delle persone, come quella della distruzione completa di tutta l’umanità. La bomba atomica non sembra essere più un tabù. E forse è anche un bene che se ne parli, specialmente evidenziando le conseguenze terribili alle quali l’umanità andrebbe incontro in caso di una potenziale detonazione, perché, sebbene esse garantiscano la stabilità tra le grandi potenze, infatti, “non offrono nient’altro che un equilibrio del terrore. E l’equilibrio del terrore rimane sempre pur sempre terrore”, citando le parole di George Wald.
Vanessa Canola
[1]Robert S. Norris and Hans M. Kristensen, “Global Nuclear Stockpiles, 1945-2006,” Bulletin of the Atomic Scientists 62, no. 4 (July 1, 2006): 2, https://doi.org/10.2968/062004017.
[2]Dall’inglese, “Non-nuclear weapon states parties” (NNWS).
[3]Dall’inglese, “nuclear-weapon states” (NWS).
[1]Dall’inglese, “the tradition of non-use”.