L’inverno sta arrivando e l’Europa, che sta affrontando una difficile crisi energetica, deve trovare il modo di combattere il freddo riducendo ancora più all’osso il consumo di gas russo. Lo scontro geoeconomico tra Occidente e Mosca è uscito negli ultimi mesi dalla precedente fase di stallo, fino a comportare la chiusura indeterminata del gasdotto Nord Stream. La condizione posta per la sua riapertura è l’eliminazione delle sanzioni – prospettiva esclusa dalla Presidente della Commissione Europea Von Der Leyen. Il tempo, quindi, sarà giudice dell’efficacia delle misure adottate dai paesi dell’Unione per affrontare la stagione fredda.
“Le sanzioni sono qui per restare” – Ursula Von Der Leyen non ha lasciato spazio a interpretazioni durante il discorso sullo stato dell’Unione del 14 settembre. A Strasburgo, la Presidente della Commissione ha tracciato un quadro molto ampio delle sfide che attendono i 27. Senza dubbio, con l’estate ormai alle spalle, la posta in gioco della guerra energetica è più alta che mai. Richiamando i principi dello stato sociale, Von Der Leyen ha annunciato che l’Unione intende imporre un tetto ai ricavi delle aziende che producono elettricità a basso costo, a cui vanno sommati i contributi delle principali aziende nel settore del fossile. Il tutto per un totale di 140 miliardi in aiuti da reindirizzare verso gli Stati membri.
Sulla riduzione del prezzo del gas, però, non è stata presentata ancora nessuna proposta concreta. Questo risultato era stato preannunciato dalla riunione del Consiglio dell’Energia del 9 settembre. L’incontro tra i ministri dell’Energia dei paesi europei, infatti, non aveva prodotto nulla di decisivo. Una delle misure più discusse fino ad ora, l’imposizione di un tetto al prezzo del gas, si era scontrata con il dissenso dei paesi più dipendenti dagli export di Mosca – Ungheria, Slovacchia e Austria. Il timore sarebbe quello di una totale interruzione dei flussi di gas dalla Federazione, accompagnata dalla recessione economica che ne scaturirebbe. Su questo punto, quindi, il fronte resta diviso. E forse era proprio questo, in prospettiva, uno degli obiettivi dietro alla decisione di Mosca di chiudere i rubinetti del Nord Stream.
La questione energetica, soprattutto in merito al gas naturale, si è sempre configurata come un problema di interdipendenza tra la Russia e l’Europa. Se prima del conflitto ucraino i paesi dell’Unione Europea importavano circa il 40% del proprio gas da Mosca (ad oggi, solamente il 9%), d’altra parte l’economia russa risultava fortemente dipendente dai profitti generati dal mercato europeo. Tuttavia, dallo scoppio della guerra, l’innalzamento dei prezzi del gas ha reso possibile ottenere ingenti guadagni dalla vendita di volumi nettamente minori. Questo spiega perché, nella condizione attuale, la Russia si può “permettere” di ridurre ancor più i flussi – cosa che aveva già progressivamente iniziato a fare dalla primavera scorsa. E la stessa riduzione dei flussi fa impennare i prezzi. Goldman Sachs riporta un dato significativo: sul mercato europeo, la media su dieci anni del prezzo del gas naturale prima della crisi si attestava a circa 20 euro per megawattora; attualmente il prezzo è salito a più di 200 euro per megawattora, cioè a più di dieci volte della media su dieci anni. Ciò spiega anche la ratio dietro alla proposta dell’imposizione di un prezzo limite a livello europeo, come sostenuto da Kadri Simson, commissaria per l’Energia: “Il contesto di questa misura è che la Russia sta godendo di grossi profitti dalla manipolazione e della limitazione artificiale dell’offerta per far innalzare i prezzi. E un tetto [sui prezzi] ridurrebbe tali profitti”. Intanto, Mosca ha minacciato – come temuto da alcuni paesi dell’Europa Centrale – la totale sospensione delle forniture di gas, qualora l’Europa dovesse procedere in questa direzione. Dall’altra parte della barricata, Ursula Von Der Leyen ha annunciato che una task-force si occuperà di trovare una soluzione per ridurre il prezzo del gas “in modo ragionevole”.
È evidente che, in questo contesto, il tema della sicurezza energetica si muove tra economia e politica. Il tentativo del Cremlino è sempre quello di “dividere e conquistare”, una mossa già azzardata in passato con la modifica alla procedura di pagamento del gas. La scarsità dei flussi e i prezzi alle stelle dovrebbero spezzare il fronte europeo tra chi è favorevole a misure più severe per gestire la situazione e chi meno, in virtù della sua dipendenza da Mosca, indebolendone la volontà politica.
Inoltre, la riduzione nei flussi di gas dovrebbe debilitare la capacità degli europei di disporre di un adeguato livello di stoccaggio per l’inverno. La prospettiva di rimanere al freddo, unita al livello dei prezzi e alle conseguenti gravi tensioni sociali, dovrebbero portare l’Europa, secondo la prospettiva di Mosca, a cedere almeno a parte delle sue condizioni. La stessa Von Der Leyen ha riconosciuto che i livelli di stoccaggio congiunto (attualmente all’84%), pur sorpassando il target che l’Unione si era posta, potrebbero non essere abbastanza.
Da parte di Mosca, si tratta comunque del sacrificio di un importante e longevo rapporto commerciale. Il fattore ucraino ha accelerato e amplificato un processo in atto già prima dell’invasione: la Russia sta diversificando i propri target commerciali verso Est. In prospettiva, i rapporti con l’Europa si sarebbero comunque complicati a fronte della transizione green; già nella Strategia al 2035, approvata nel giugno 2020, la Federazione aveva in programma di diversificare i propri acquirenti. Certo, non si augurava relazioni così drammaticamente compromesse con l’Ovest, ma era già presente l’idea dello sviluppo del mercato asiatico. Basti pensare che, nei tre mesi successivi all’inizio delle ostilità, la Russia ha incassato 24 miliardi di dollari da Cina e India grazie ai propri export energetici. Tuttavia, non si tratta di una situazione ideale. Le circostanze costringono il Cremlino a concedere grossi sconti e ad accettare pagamenti in valuta locale per mantenere vivi i rapporti commerciali. In secondo luogo, se davvero il progetto fosse quello di una svolta verso Oriente – il che costituirebbe un evento spartiacque per la politica energetica russa – tale ambizione dovrebbe essere supportata da infrastrutture e investimenti che richiedono tempo per dare i loro frutti.
D’altra parte, nonostante i risultati ottenuti finora, l’Europa dovrà valutare come sopravvivere al freddo, senza che il costo dell’energia gravi eccessivamente sul reddito del cittadino medio. L’UE si trova davanti a due problemi, scarsità di gas e caro prezzi, strettamente interconnessi. Per risolvere il primo, l’Unione punta a diversificare – Stati Uniti, Norvegia e Algeria sono stati menzionati dalla Von Der Leyen nel suo discorso come “fornitori affidabili”. Nei fatti, sul breve termine la direzione è stata quella di affidarsi al GNL, per cui comunque ci si deve confrontare con infrastrutture non del tutto adeguate e soprattutto si deve competere con la domanda asiatica. Tuttavia, quest’ultima appare al momento ridimensionata rispetto al passato, soprattutto per via della riduzione di quella cinese, messa alla prova dalle misure di lockdown. Sul lungo termine, invece, l’Unione punta tutto sull’idrogeno verde – da qui l’annuncio, da parte della Presidente della Commissione, dell’istituzione di una Banca Europea per l’Idrogeno. L’Europa quindi continua a studiare la sua controffensiva per combattere la propria guerra, quella del gas.