Saranno pure poco estesi, o poco popolati, ma ai Paesi baltici di certo non si può contestare poca audacia sul piano delle relazioni internazionali. Le tre repubbliche hanno un atteggiamento quasi spavaldo, di chi non teme possibili implicazioni severe da parte dei più forti. Che in questo caso sono nomi di livello: Russia e Cina.
A metà agosto, Estonia e Lettonia hanno annunciato il ritiro dal Forum 16+1, il gruppo che vede la partecipazione di numerosi Paesi dell’Europa centrale ed orientale e della Cina, in un’ottica di cooperazione e di sviluppo dei rapporti regionali. Fino a marzo 2021, ovvero fino alla precedente uscita della Lituania dal gruppo, il forum si chiamava “17+1”. I motivi dell’abbandono di Estonia e Lettonia sono stati individuati nell’atteggiamento della Cina, che non ha mai condannato l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, e i recenti sviluppi nei suoi rapporti con Taiwan. La mossa dei Baltici contribuisce al clima generale di raffreddamento dei rapporti diplomatici tra Occidente e Pechino.
A corollario dell’annuncio del ritiro, Tallinn ha fatto sapere che “l’Estonia continuerà a lavorare per favorire relazioni costruttive e pragmatiche con la Cina, soprattutto nel contesto sino-europeo, in linea con l’ordine internazionale ed i suoi valori, come il rispetto dei diritti umani”. L’Estonia aveva già smesso di partecipare ai meeting del format dallo scorso febbraio. Il ministro degli Esteri della Lettonia al contempo ha rilasciato dichiarazioni (molto) in linea con quelle della sua sorella settentrionale: “date le attuali priorità nella politica estera e commerciale del Paese, la Lettonia ha deciso di cessare la propria partecipazione nell’ambito del China-CEEC Forum. La Lettonia continuerà a perseguire l’obiettivo di approfondire relazioni costruttive e pragmatiche con la Cina che favoriscano entrambe le parti, anche nell’ambito di cooperazione tra Europa e Cina, che portino mutui benefici nel rispetto delle leggi internazionali, dei diritti umani e delle regole del diritto internazionale”. Alla base delle motivazioni che hanno portato al ritiro dei Baltici ci sarebbero quindi fattori etici e legati alla sicurezza (entrambi i Paesi, oltretutto, condividono un lungo confine con la Russia, e il parlamento lettone ha approfittato per dichiarare, contestualmente alla decisione di uscire dal forum, di ritenere la Russia uno stato promotore del terrorismo).
Guardando lo scenario internazionale attuale, il tempismo di Estonia e Lettonia sembra essere più azzeccato rispetto a quello del ritiro della Lituania un anno e mezzo fa, ma difficilmente l’abbandono di Tallinn e Riga sortirà a Pechino lo stesso effetto di quello di Vilnius. Quest’ultimo, infatti, aveva provocato una reazione molto più acuta da parte delle autorità cinesi, che avevano risposto pronosticando tempi bui per le relazioni tra i due Paesi, soprattutto dato che la Lituania non si era piegata alle richieste di Pechino di interrompere i rapporti diplomatici (esclusivi) con Taipei: la Lituania ospita infatti (tuttora) un’ambasciata di Taiwan come entità giuridica a sé stante, e Pechino ha ripetutamente invitato Vilnius a smetterla con questa “provocazione”. E la faccenda non va esaurendosi: la Cina ha appena sanzionato il viceministro lituano dei trasporti e delle comunicazioni, Agne Vaiciukeviciute, per la sua visita di agosto nell’isola.
Le parole delle dichiarazioni di Estonia e Lettonia, decisamente misurate e scelte con cura, fanno pensare che Tallinn e Riga preferiscano indirizzare i propri rapporti con la Cina prevalentemente in un contesto europeo, a livello “corale”. Priorità quindi, senza troppe sorprese, alle relazioni con Unione Europea e NATO, atteggiamento condiviso anche dalla vicina Polonia. È opinione abbastanza comune, in ogni caso, che l’abdicazione dei Baltici dal forum di collaborazione euro-cinese non rappresenterà un danno irrimediabile per i tre Stati. L’attrattività della Cina si è ridotta notevolmente negli ultimi anni, agli occhi dei potenziali partner europei, in parte a causa delle promesse disattese da parte di Pechino. Nel frattempo i media cinesi hanno liquidato le scelte dei Baltici con stizza, suggerendo che il dietrofront delle tre repubbliche giungesse “sotto la pressione degli USA”. Su Weibo, migliaia di utenti hanno messo “mi piace” ad un post di Russia Today che presentava Estonia, Lettonia e Lituania come “3 idiots”.
Le limitazioni ai visti per i cittadini russi
Nel frattempo, in una dichiarazione congiunta, i leader dei tre Stati baltici e della Polonia hanno annunciato che sospenderanno la concessione della procedura facilitata di ottenimento dei visti nei confronti dei cittadini russi, che è in vigore dal 2007. Nel comunicato si legge: “Viaggiare nell’Unione Europea è un privilegio, non ha a che fare con i diritti umani, ed è inaccettabile che i cittadini di uno Stato aggressore siano abilitati a viaggiare liberamente nell’UE quando, allo stesso tempo, il popolo ucraino è torturato ed assassinato. Tra i cittadini russi che varcano l’area Schengen ci sono anche persone che arrivano con l’intento di minare la sicurezza dei nostri Paesi, anche considerato che tre quarti dei cittadini russi supportano l’aggressione del loro Paese nei confronti dell’Ucraina”.
Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia hanno concordato un approccio regionale comune, che esprime l’intenzione di introdurre misure restrittive temporanee nei confronti dei cittadini russi che godono o godrebbero di visti per entrare nell’UE, specialmente per scopi di turismo, culturali, legati allo sport o al business, e a partire dal 19 settembre. Nella dichiarazione, firmata dal primo ministro lituano Ingrida Simonyte, dal lettone Krisjanis Karins, dalla estone Kaja Kallas, e dal loro omologo polacco Mateusz Morawiecki, si precisa anche che non si tratta di una sospensione totale nell’emissione dei visti, e che le dovute eccezioni rimarranno in vigore, in particolare verso i dissidenti politici, i casi umanitari, i ricongiungimenti familiari, delle persone che già godono di un permesso di residenza all’interno degli Stati in questione, oltre che per facilitare alcuni servizi logistici e di trasporto, per le missioni diplomatiche, e il trasporto civile da e per l’Oblast di Kaliningrad.
“L’Unione Europea è dalla nostra parte”, ha dichiarato il presidente lituano Gitanas Nauseda, che è noto per i toni poco pacati nelle questioni di politica estera. Nauseda ha inoltre precisato di aver già affrontato il tema con la presidente della Commissione UE Von Der Leyen durante in loro incontro a Copenaghen di fine agosto. “Tutte le regole sono create, e se necessario modificate. Le regole di Schengen non fanno eccezione”, ha spiegato il presidente lituano. Aggiungendo, tuttavia, di capire le ragioni per le quali altri Paesi non siano disposti ad apportare restrizioni all’ingresso di cittadini russi, ma precisando che questo tipo di approccio sarebbe in realtà piuttosto superficiale: i soldi dei russi provengono da uno Stato aggressore, i cui cittadini supportano l’aggressione stessa. L’iniziativa sarebbe stata accolta con favore dai gestori dei business locali (settore alberghiero e ristorazione su tutti), decisi a mandare un chiaro messaggio di sostegno all’Ucraina e alla comunità internazionale.
Dello stesso avviso di Nauseda è Urmas Reinsalu, il ministro degli Esteri estone. Ha infatti dichiarato che “i Paesi di questa regione hanno il diritto, più che legittimo, proprio in virtù della loro posizione, di adottare tutte le misure necessarie nell’interesse della propria sicurezza. Almeno 300.000 cittadini dello Stato aggressore (la Russia) sono transitati nel nostro territorio durante gli ultimi sei mesi: quante guardie di frontiera ci servirebbero, per questi numeri?”.
Al pari delle sanzioni occidentali, il provvedimento è indirizzato anche verso i cittadini bielorussi. Se la necessità della misura non ha ricevuto particolari critiche negli Stati baltici, al contrario c’è chi mette in dubbio che sia corretto applicarla anche alla Bielorussia, in quanto i due Paesi presentano delle differenze sostanziali. È vero che la Russia dispone delle basi sul territorio di Minsk per lanciare missili sull’Ucraina, ma al contrario di quella russa, la maggior parte della popolazione bielorussa non supporta l’aggressione dell’Ucraina, né auspica di diventare parte della Federazione Russa. Di recente, i Paesi baltici hanno introdotto misure severe nei confronti dei cittadini bielorussi, come lo stop da parte della Lituania all’emissione di visti turistici, e la proposta al vaglio in Estonia e Lettonia di sospendere o estendere i permessi di soggiorno per motivi lavorativi. Il ministro lituano Landsbergis ha inoltre auspicato la cancellazione dei visti europei già approvati per i cittadini bielorussi.