I detrattori del presidente ucraino sostengono che la sua sia una recita. Scoperta dell’acqua calda, che non tiene conto delle necessità della propaganda moderna. In patria riscuote un successo senza precedenti, e la Russia non può non farci i conti. Nuova puntata della rubrica “Dietro lo specchio” a cura di Fulvio Scaglione
Volodymyr Zelens’kij: ci è o ci fa? La domanda è un po’ brutale ma alzi la mano chi non si è chiesto la stessa cosa dopo che per giorni il presidente ucraino ha ripetuto che il missile caduto in Polonia, con la morte di due sfortunati agricoltori, era stato sparato dai russi e non era, come invece ammettevano i polacchi, gli americani e i generali della Nato, un ordigno della contraerea ucraina finito fuori rotta. È una domanda, peraltro, che rimbalza da mesi tra i sostenitori del “ci è”, cioè chi ritiene che Zelens’kij sia ormai prigioniero del proprio personaggio e di una sorta di esaltazione autoreferenziale ai limiti del patologico (per non parlare dei media russi, che lo descrivono come un cocainomane), e i sostenitori del “ci fa”, quelli che lo vedono come l’interprete di un ruolo politicamente utile al proprio Paese.
Per quanto mi riguarda, sono un convinto sostenitore della seconda tesi. E a costo di dispiacere a qualcuno, lo dico in senso positivo, persino con un filo di ammirazione. Per una semplice ragione: la propaganda, soprattutto nell’epoca moderna, è un elemento importante in qualunque guerra. Dal 24 febbraio possiamo confrontare la propaganda russa con quella ucraina. Non v’è dubbio che quella di Kiev sia molto più moderna ed efficace di quella di Mosca e che abbia al centro proprio Zelens’kij. Gli ingenui pensano che tutto dipenda dal fatto che la stampa occidentale riprende e amplifica, e spesso “vende” al pubblico come notizie, tutte le uscite dalla comunicazione ucraina. Questo indubbiamente conta molto, ci mancherebbe. Ma è più accattivante l’immagine di un presidente come Zelens’kij, che in tenuta paramilitare visita zone vicine al fronte (e lo faceva anche nel Donbass, già prima del 24 febbraio), o quella di Vladimir Putin che inaugura un nuovo monumento a Fidel Castro?
L’ostilità e il disprezzo che molti riservano all’interpretazione zelenskiana del “presidente di guerra”, proprio perché la giudicano una recita, deriva da due fattori. Il primo è aver a lungo considerato Zelens’kij un parvenu della politica, un personaggio arrivato “da fuori” e quindi privo delle malizie del politico di carriera. Errore, grosso errore. Dal nulla è arrivato al vertice nel 2019, è vero, ma ha sempre mostrato di padroneggiare tutti i trucchi del nuovo mestiere. Il suo breve ma intenso percorso da presidente può essere diviso in due stagioni. La prima, dall’elezione all’invasione russa del 24 febbraio scorso, è stata un disastro: alla fine del 2021, il suo indice di gradimento presso gli ucraini era più o meno pari a quello, bassissimo, dell’ex presidente Poroshenko. E quasi metà degli elettori dichiarava che, in caso di elezioni presidenziali anticipate, di certo NON avrebbe votato per lui. La seconda, dal 24 febbraio in poi, è stata invece un trionfo: il suo rating è oggi superiore al 90% e non v’è ucraino che non lo riconosca come il leader della nazione. Nell’una come nell’altra stagione, approfittando prima delle leggi d’emergenza per la guerra nel Donbass e poi della legge marziale, Zelens’kij si è man mano liberato di tutti coloro che potevano fargli ombra o sui quali poteva essere scaricata la responsabilità di qualche insuccesso. Per esempio lo speaker del Parlamento Dmytro Razumkov (uno degli artefici della sua ascesa politica, peraltro) o il premier Oleksy Honcharuk. Al culmine del calo di consenso, nell’inverno scorso, Zelens’kij ha pure tirato fuori dal cappello un tentativo di golpe di cui non c’è prova alcuna ma che gli è servito per mettere sotto tutela l’oligarca Rinat Akhmetov, l’uomo più ricco d’Ucraina.
Nei mesi seguiti all’invasione russa, Zelens’kij ha proseguito sulla stessa strada. Sulla lista dei personaggi accusati di tradimento (in regime di legge marziale…) sono finiti l’ex procuratrice generale Venedyktova, l’ex capo dei servizi segreti Bakanov, l’ex governatore della Banca Centrale Shevchenko, l’amministratore delegato della più grande fabbrica di motori per aereo Boguslayev, la proprietaria (e figlia di un ex ministro della Difesa ucraino) di una grande società per la produzione di armamenti Lebedeva, oltre a decine di alti gradi delle forze armate e funzionari dei servizi di sicurezza. Quindi, liberiamoci dell’idea che Zelens’kij sia un “eroe per caso”. Quando si tratta della gestione e conservazione del potere, sa perfettamente quel che fa.
Secondo. È ovvio che Zelens’kij recita: è un attore! Ma, di nuovo, si è calato perfettamente nella parte, a cui si è ben preparato. Qualcuno davvero crede che la maglietta grigioverde da soldato, i video, le ambientazioni, le dichiarazioni, siano stati frutti di un’improvvisazione? Che la rete fittissima di finti twittatori spontanei, Osint a senso unico, idealisti con la smania della comunicazione sia nata solo per lo sdegno nei confronti dell’invasione russa? Nessuno ha mai sentito parlare della Cyber Unit che, con preveggenza, prima della guerra l’Ucraina ha dislocato in Estonia, a poca distanza dal Centro di difesa informatica della Nato? O che sia un caso se il ministro ucraino della Trasformazione digitale sia un trentenne di nome Mikhaylo Fedorov, che già il 27 febbraio arruolava “talenti digitali” (si sa, gli hacker esistono solo in Russia) disposti a combattere la cyberguerra contro i russi?
Per queste, e diverse altre ragioni ancora, mi pare evidente che Zelens’kij “ci fa”. Il problema per la Russia è che “ci fa” piuttosto bene.
Fulvio Scaglione