Che il Mar Caspio sia una grandissima riserva di idrocarburi, è piuttosto noto. L’interesse verso l’area si è prevedibilmente rinnovato a seguito della crisi energetica globale scaturita dall’invasione russa dell’Ucraina. Proprio la crisi ucraina ha aperto la possibilità per un rilancio del ruolo strategico globale dell’Azerbaigian, ex repubblica sovietica che condivide con Russia, Kazakistan, Turkmenistan e Iran le coste caspiche e la competenza sulle sue acque ricche di gas naturale e petrolio.
Le potenzialità di Baku per la diversificazione energetica dell’Unione Europea non sono certo state scoperte oggi: il Southern Gas Corridor (SGC), il mastodontico progetto che collega il giacimento di gas naturale di Shah Deniz, in Azerbaigian, con la Puglia, è entrato in funzione nel 2021, ma della costruzione di un gasdotto che rifornisse l’Italia e l’Europa di gas proveniente dal Caucaso si è iniziato a parlare già nei primi anni 2000. Il SGC si compone di tre tratti: la South Caucasus Pipeline (SCP), che arriva fino al confine turco-georgiano, la Trans-Anatolian Pipeline (TANAP), che attraversa la penisola anatolica, e la più nota in Italia Trans Adriatic Pipeline (TAP), il tratto finale che da Kipoi, Grecia, porta il gas fino alla città pugliese di Melendugno, dove si connette alla rete energetica italiana.
Tutti i Paesi interessati dal gasdotto sono importatori del gas azero, nell’ordine Turchia, Italia e Georgia, ma anche Grecia, Bulgaria (il cui suolo non è direttamente attraversato dal TAP) e Albania. In particolare, l’export di gas verso il nostro Paese è valso a Baku 3 miliardi di dollari nel 2021, il 30% del totale per il settore; le esportazioni di petrolio hanno fruttato poi altri 6 miliardi, due miliardi in più del 2020. I dati dei primi nove mesi del 2022 mostrano inoltre un’ulteriore crescita dell’export energetico verso l’Italia, con un aumento dei ricavi del 161%[1], una conseguenza visibile – e decisamente lucrativa per Baku – della guerra in Ucraina.
Al di là della momentanea esplosione dei prezzi, il salto di qualità nelle relazioni energetiche con Europa e Italia dipenderà da se e quanto Baku riuscirà a presentarsi come un supplier rilevante e sostenibile. Il primo dubbio da chiarire riguarda il peso sul bilancio energetico italiano. Secondo dati del MISE, l’Azerbaigian ha rappresentato meno dello 0,2% sul totale di importazione di gas naturale nel 2020, saltando a quota 10% nel 2021, per un totale di 7,214 miliardi di metri cubi (billion cubic meters, bcm). Per quanto risaputo, è bene ricordare che le importazioni rappresentano la quasi totalità (95,5%) del consumo interno lordo di gas per l’Italia, pari a 76,118 bcm nel 2021. I dati mostrano dunque che l’entrata in funzione di SGC ha rappresentato un apporto non indifferente al fabbisogno energetico italiano, ma comunque ben al di sotto di quello garantito dalle importazioni dalla Russia, pari al 40% del totale.
Un incremento dell’apporto energetico del gasdotto sembra però ritenuto possibile, oltre che auspicabile, da Bruxelles, come dimostra il Memorandum d’Intesa sulla Partnership Strategica nel Settore dell’Energia firmato da Ursula Vor Der Leyen e dal presidente azero Ilham Aliyev il 18 luglio 2022. Secondo il documento, dagli 8,1 bcm del 2021 e i 12 bcm previsti per il 2022, le importazioni di gas azero attraverso il Corridoio meridionale dovrebbero arrivare a quota 20 bcm entro il 2027. Un obiettivo ambizioso, che va oltre l’attuale capacità di trasporto della TANAP e della TAP, rispettivamente di 16 e 10 bcm annui, ma che può essere raggiunto con investimenti ingenti ed immediati. L’obiettivo è quello di raddoppiare la capacità complessiva, rilanciato dal Ministro dell’Energia turco Dönmez e dalla controparte azera Shahbazov[2] con riferimento alla TANAP, e ritenuto fattibile anche nel gasdotto adriatico dal Managing Director di TAP Luca Schieppati[3], a condizione di un incremento della domanda europea che, data la frattura con Mosca, sembra ormai inevitabile.
Le tempistiche, tuttavia, non permettono di sperare nella partnership con Baku come arma strategica contro Putin. Schieppati riferisce come un primo incremento in termini di capacità si può attendere dopo tre anni dall’inizio dei lavori, previsto per il 2023. Al contempo, sebbene la SCP sia già stata espansa per trasportare fino a 20 bcm, sarebbe necessario un incremento proporzionale della TANAP, dei cui 16 bcm di capacità attuale 6 sono destinati al mercato turco. Infine, la capacità produttiva degli impianti estrattivi azeri va tenuta in considerazione. Secondo alcuni osservatori infatti, Baku non sarebbe in grado di sostenere questa impennata della domanda europea senza aumentare la produzione, lanciando ad esempio un secondo progetto estrattivo nel giacimento di Absheron, per la cui realizzazione sono necessari almeno quattro anni.
In pratica, nulla di concreto prima del 2027 per l’Europa, Italia compresa. Al di là dei limiti tecnici, tuttavia, le relazioni bilaterali con Baku sono ai massimi storici: la visita del Presidente Aliyev a Roma[4] il primo settembre, in occasione della fondazione dell’ Italy-Azerbaijan University con sede a Baku, ha testimoniato la volontà di espandere la cooperazione oltre il settore energetico. Senza dubbio però a fare da sfondo a questa rinnovata amicizia rimangono le ottime relazioni commerciali, con l’Italia che assorbe quasi il 50% dell’export azero e ha presentato un disavanzo commerciale pari a 14,4 miliardi di dollari solo nei primi nove mesi del 2022[5].
Se la rilevanza del gas azero sul bilancio energetico italiano sembra avere buone potenzialità di crescere sul medio periodo, la questione della sostenibilità è più complessa. Da una parte, la Presidente della Commissione UE ha definito l’Azerbaigian un “partner affidabile”[6] nel settore dell’energia, in aperta contrapposizione alla Federazione Russa, esprimendo chiaramente la volontà di Bruxelles di investire politicamente nel Paese, oltre che nell’ampliamento delle sue infrastrutture energetiche. Dall’altra però, il contesto geopolitico regionale del Caucaso rende difficile parlare di affidabilità. Il cessate il fuoco mediato da Mosca per mettere fine alla seconda guerra in Nagorno Karabakh del 2020 rimane fragile, come dimostrato dai violenti scontri che in settembre hanno prodotto quasi 300 vittime. L’Armenia ha invocato senza successo l’intervento russo sotto l’egida del CSTO in difesa della repubblica secessionista, una richiesta che ha irritato Mosca e esacerbato la sfiducia di Erevan verso il Trattato di Sicurezza Collettiva; ciononostante, una defezione armena dal Trattato è improbabile, e rimane di fatto viva seppur remota la possibilità di escalation di un conflitto latente da 30 anni e lontano da una risoluzione permanente.
Il protagonismo russo nella regione pone inoltre un’altra minaccia alla stabilità dell’approvvigionamento energetico verso l’Europa: come notato da Gubad Ibadoghlu, analista della London School of Economics, la Federazione Russa non è nuova a sabotaggi più o meno legittimi delle esportazioni dei propri vicini verso ovest, come è accaduto nel 2008 quando Mosca, prima della guerra russo-georgiana, è stata accusata di aver causato un’esplosione in un gasdotto in Turchia[7].
Ma anche senza immaginare scenari di escalation o interventi militari, il peso russo nel mercato dell’energia nella regione post-sovietica va tenuto in considerazione. Il gigante dell’energia russo Lukoil, oggetto di sanzioni da parte degli Stati Uniti (ma non dell’Unione Europea), è il secondo azionista sia della piattaforma estrattiva di Shah Deniz che del SCP, con il 19.99% delle quote di entrambi i progetti; nel 2021 Lukoil ha poi acquistato da British Petroleum il 25% del progetto esplorativo di Absheron. La compagnia privata è considerata vicina al presidente Putin[8] è ed al terzo posto in termini di contributi versati nella Federazione Russa.
Gazprom ha poi dichiarato[9], senza conferma da parte azera, che venderà alla State Oil Company of Azerbaijan (SOCAR) 1 bcm di gas nell’inverno 2022/2023. Un segnale coerente con quanto dichiarato da Aliyev alla stampa russa nel giorno dell’invasione russa dell’Ucraina[10], cioè che Baku intende coordinare con Mosca il rifornimento di energia all’Europa, e che andrebbe a confermare il deficit di produzione azero. Sul lungo periodo, è possibile che la Russia continui a vendere il proprio gas a basso prezzo verso l’Azerbaigian, così da rendere più conveniente per Baku esportare il gas russo piuttosto che investire nella produzione interna, in cui comunque Lukoil gioca un ruolo di primo piano. In questo senso il tentativo da parte di Mosca potrebbe essere quello non di frenare le esportazioni dall’Azerbaigian all’Italia, ma di inserirsi nella catena di approvvigionamento come partner chiave; va sottolineato però come in passato simili tentativi siano falliti per la mancata sostenibilità economica della strategia.
Nonostante rappresenti un fattore di rischio, è proprio su questa dinamica geopolitica che va misurato il riposizionamento dell’Azerbaigian nelle sue relazioni con l’Italia e l’Europa. La partnership energetica è un elemento importante, tuttavia, nonostante i forti guadagni incassati a seguito delle distorsioni del mercato dell’energia, i limiti infrastrutturali esposti impongono cautela nell’immaginare un protagonismo assoluto di Baku come fornitore energetico dell’Italia, anche rispetto ad altri partner storici quali l’Algeria e la Libia. Non va inoltre dimenticato come la Russia sia il terzo partner commerciale dell’Azerbaigian dopo Italia e Turchia, e il primo per beni di consumo fuori dal settore energetico. Ciò espone il Paese caspico in modo particolarmente intenso alle spinte inflative a cui è sottoposta l’intera economia globale; lo spillover della pesante recessione dell’economia di Mosca si riversa infatti nel settore non energetico, che garantisce il 97% dell’occupazione del Paese, e indebolisce il flusso di rimesse dei migranti azeri che lavorano nella Federazione Russa.
Posto quindi che anche il bilancio interno sul vantaggio immediato per l’Azerbaigian del conflitto russo-ucraino non è per niente scontato, il dato che si può rilevare è l’investimento politico verso il Paese da parte dell’Unione Europea, che a sua volta dà un’ulteriore spinta alla già buone relazioni italo-azere. La mossa di Bruxelles si inserisce evidentemente nella più ampia svolta strategica antirussa, ma non va interpretata esclusivamente in funzione della sicurezza energetica dell’Unione, su cui la rinnovata partnership con Baku non avrà un grande impatto, ma piuttosto come un tentativo di limitare l’influenza di Mosca nella regione del Caucaso. Una risposta marcata da parte russa, ad esempio con un aumento sostanziale del supporto ai separatisti karabakhi, è immaginabile se l’UE vorrà e sarà in grado di esautorare Mosca dalla supply chain dell’energia dal Caucaso verso l’Europa, mettendo così in serio pericolo gli interessi strategici russi.
Paolo Bottazzi
Note bibliografiche
[1] https://www.infomercatiesteri.it/overview.php?id_paesi=120#
[2] https://www.dailysabah.com/business/energy/turkiye-azerbaijan-to-double-tanap-gas-pipeline-capacity
[3] https://www.reuters.com/business/energy/final-decision-doubling-tap-gas-link-capacity-early-2023-exec-says-2022-09-06/
[4] https://www.askanews.it/esteri/2022/09/02/aliyev-in-italia-rafforzamento-partenariato-strategico-con-italia-pn_20220902_00069/
[5] https://www.infomercatiesteri.it/overview.php?id_paesi=120#
[6] https://blogs.lse.ac.uk/europpblog/2022/08/03/what-the-eus-new-gas-deal-with-azerbaijan-could-mean-for-europes-energy-security/
[7] https://blogs.lse.ac.uk/europpblog/2022/05/19/could-azerbaijan-help-the-eu-reduce-its-dependence-on-russian-gas/
[8] https://www.politico.eu/article/the-eu-azerbaijan-gas-deal-is-a-repeat-mistake/
[9] https://interfax.com/newsroom/top-stories/85105/
[10] https://tass.com/economy/1410233