Con l’invasione dell’Ucraina, l’attenzione è tornata a concentrarsi sul fianco orientale della NATO e sul rafforzamento della enhanced Forward Presence (eFP). Gli Stati baltici ritengono però che sia necessario un cambiamento fondamentale nell’approccio alla difesa e alla deterrenza a lungo termine dell’Alleanza.
Tra il 23 e 28 ottobre scorso si è svolta l’esercitazione internazionale Iron Wolf 2022 II presso l’area di addestramento di Prabadė, nella Lituania orientale, nell’ambito della missione enhanced Forward Presence (eFP), rafforzata dalla NATO a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. L’esercitazione che ha visto coinvolti nove paesi Alleati prevedeva compiti di difesa congiunta al fine di facilitare la deterrenza integrata lungo il fianco orientale. L’esercitazione Iron Wolf 2022 II ha coinvolto circa 3.500 truppe e 700 unità di equipaggiamento militare, come carri armati, veicoli da combattimento di fanteria (IFV), veicoli corazzati per il trasporto di personale, pezzi di artiglieria, veicoli di rifornimento e amministrativi.
Le serie di esercitazioni Iron Wolf, che si tengono ogni due anni, in primavera e in inverno, fanno parte di un “pacchetto” di missioni già in programma. L’obiettivo, oltre a testare la mobilità, è la cooperazione dei gruppi tattici in tutta la regione baltica e in Polonia: la familiarizzazione con le tattiche, i mezzi, gli equipaggiamenti e la dottrina militare delle Nazioni alleate favorirebbe l’interoperabilità tra gli alleati NATO, rafforzando così l’attenzione alla difesa collettiva dell’Alleanza e alla deterrenza contro qualsiasi potenziale aggressione.
La NATO ha inizialmente dispiegato nel 2017 gli enhanced Forward Presence Battle Groups (eFP BG) in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia, guidati rispettivamente da Regno Unito, Canada, Germania e Stati Uniti, rafforzando così la sua presenza nella parte orientale dell’Alleanza e inviando un chiaro segnale della sua determinazione e capacità di difendere il territorio dei suoi Stati membri in risposta all’occupazione della Crimea da parte della Russia nel 2014 e alla guerra nella regione ucraina del Donbass.
Al Summit del Galles del 2014, gli Alleati hanno deciso di attuare il Readiness Action Plan (RAP) al fine di facilitare la pronta risposta alle possibili minacce che minano la sicurezza lungo i confini dell’Alleanza e oltre. Sulla base del RAP, si sono prese ulteriori decisioni al Summit di Varsavia del 2016 concordando sulla creazione dei suddetti enhanced Forward Presence Battle Groups (eFP BG) con lo scopo di rafforzare la deterrenza e la posizione di difesa della NATO, attraverso la creazione di una presenza avanzata nella parte orientale e sud-orientale del territorio dell’Alleanza, contribuendo così a proiettare la stabilità e rafforzare la sicurezza al di fuori del territorio euro-atlantico.
L’obiettivo della enhanced Forward Presence (eFP) è duplice: da una parte è una forza simbolica che mira a dimostrare la solidarietà dell’Alleanza e la validità dell’art.5, la garanzia di difesa collettiva, dall’altra si tratta di una forza di sicurezza. Infatti, l’eFP non è progettata per condurre una guerra, ma per scoraggiare l’aggressione della Russia alla Polonia e agli Stati baltici per la presenza di truppe alleate sul loro territorio. Per tutte queste ragioni, la creazione della eFP ha rappresentato un cambiamento significativo per la NATO, poiché ha implicato un riorientamento delle sue attività militari. Ciò ha portato alcuni esperti ad affermare che il Vertice di Varsavia del 2016 è stato un aggiornamento del Concetto Strategico del 2010.
Tuttavia, l’eFP deve affrontare diversi problemi: il quadro multinazionale basato sulla rotazione metterebbe a dura prova l’interoperabilità, pertanto sarebbe un vantaggio sviluppare ulteriormente le formazioni congiunte. Inoltre, le interazioni avverrebbero principalmente in modo bilaterale tra la nazione inquadrata nel eFP BG e la nazione ospitante, piuttosto che a un livello multilaterale vero e proprio, oltre al fatto che le interazioni tra i singoli gruppi tattici rimangono a un livello relativamente basso.
Nell’ambito dell’iniziativa eFP, era stato deciso di schierare a rotazione un gruppo tattico multinazionale in ciascuno dei Paesi baltici e in Polonia, piuttosto che in modo permanente, così da rispettare una disposizione specifica del NATO-Russia Founding Act (NRFA) del 1997, che escludeva lo stazionamento permanente di forze da combattimento alleate nei territori dei nuovi stati membri finché il contesto di sicurezza non sarebbe cambiato. Questa restrizione autoimposta mirava a ridurre il rischio che la Russia considerasse la NATO una minaccia e doveva creare le condizioni politiche per l’allargamento dell’Alleanza.
L’invasione russa dell’Ucraina su larga scala il 24 febbraio scorso ha costretto l’Alleanza a rafforzare ulteriormente le proprie capacità di difesa e di deterrenza. La NATO ha infatti aumentato la presenza di truppe sul fianco orientale e la disponibilità di forze che possono essere dispiegate come rinforzi (NATO Response Force). Tuttavia, le dimensioni delle unità di truppe non superavano ancora il livello di una brigata e le forze sono rimaste su rotazione. Gli Stati baltici hanno spinto per un aggiornamento urgente del cosiddetto approccio “tripwire” della NATO chiedendo, oltre all’aumento delle dimensioni delle forze multinazionali esistenti, di stabilire una forza permanente nella regione in grado di fermare un’offensiva russa. Il caso era chiaro ed eminentemente ragionevole: come ha sostenuto la Prima Ministra estone Kaja Kallas lo scorso aprile, in base ai piani e ai livelli di preparazione esistenti, la NATO non era in grado di difendere effettivamente gli Stati baltici se la Russia avesse attaccato con la stessa forza con cui ha attaccato l’Ucraina.
Da circa il 2017, la NATO ha impiegato negli Stati baltici e in Polonia la modalità “tripwire” attraverso il dispiegamento delle forze ePF: approccio strategico di deterrenza secondo il quale si schiera una forza militare più piccola del potenziale avversario col fine di dissuaderlo, senza che questa possa essere percepita come una minaccia nell’immediato. Sebbene la posizione flessibile della NATO illustri la natura proporzionata e difensiva di queste misure, alcuni studi sottolineano le carenze di questo modello di “deterrenza per rinforzo” e chiedono un approccio più robusto di “difesa avanzata”, che presuppone la presenza di comandi e forze dell’Alleanza sul fianco orientale in grado di difendere efficacemente il territorio in caso di attacco. Lo scopo di tali forze dovrebbe essere quello di impedire alla Russia di prendere il controllo di qualsiasi parte del territorio della NATO in un conflitto rapido e di mantenere la capacità di dispiegare rinforzi.
In questo contesto, un aumento della posizione delle forze NATO o del ritmo delle esercitazioni sarebbe probabilmente percepito come un gesto di escalation, anche se le dimensioni, la portata e l’intento di queste misure potrebbero influenzare la reazione della Russia. Uno studio sulla dissuasione della Russia ha concluso che il dispiegamento di forze di terra leggere nei Paesi potenzialmente bersaglio è associato a un rischio più elevato di escalation a causa delle linee di demarcazione della Russia, definite come quei fattori scatenanti che la leadership russa sostiene non possano essere superati senza provocare una reazione da parte sua, il che significa che l’approccio preferito dalla NATO, che prevede l’impiego di forze di piccole dimensioni nelle nazioni “in prima linea”, potrebbe essere controproducente. Tuttavia, lo stesso studio ha concluso che “forze di terra pesanti…stazionate nei paesi vicini, ma non in quelli potenzialmente bersaglio, sono più chiaramente associate alla deterrenza”.
Anche se le proposte dei Paesi baltici sono strategicamente valide, il conflitto in Ucraina sta assorbendo ingenti risorse mentre l’Occidente fornisce armi. Queste proposte arrivano mentre l’Alleanza si trova ad affrontare una serie di richieste che non si vedevano da decenni: dal contrastare la Russia e la Cina nell’Artico al sedare le insurrezioni islamiche nel Sahel, fino ad affrontare le nuove frontiere dello spazio. Le cancellerie dei Paesi baltici hanno accompagnato questo attivismo di natura principalmente politica a una reale dedizione nell’aumentare le spese di bilancio destinato alla difesa, superando costantemente negli ultimi anni la fatidica soglia del 2% del PIL fissata come obiettivo della NATO per ogni Stato membro. Forti di questa posizione di contributori attivi in seno all’Alleanza, i governi di Estonia, Lettonia e Lituania hanno quindi potuto ribadire la necessità di definire l’assetto di sicurezza dell’Alleanza lungo il fianco orientale.
Grazie a una confluenza di fattori che ne hanno aumentato l’importanza, le aspettative per il Vertice NATO tenutosi a Madrid dal 28 al 30 giugno, erano alte. Doveva essere adottato un nuovo concetto strategico, in quanto l’aggressione della Russia all’Ucraina aveva trasformato il quadro geopolitico. Durante il Summit gli Alleati hanno concordato di potenziare i gruppi tattici multinazionali dispiegati sul fianco orientale da battaglioni fino a brigate, dove e quando necessario. Oltre a un nuovo rafforzamento di quelli già esistenti, si è deciso poi di istituire e dispiegare altri quattro nuovi gruppi tattici in Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria, paesi non potenzialmente bersaglio. Ciò ha portato il numero totale di gruppi tattici multinazionali a otto, raddoppiando di fatto il numero di truppe sul terreno ed estendendo la presenza avanzata della NATO lungo il fianco orientale dell’Alleanza, dal Mar Baltico a nord, al Mar Nero a sud. In definitiva, il Vertice di Madrid non ha prodotto vere sorprese per la difesa sul fronte nord-orientale: progressi per Svezia e Finlandia e rinforzi limitati, ma desiderati, per gli Stati baltici. Tuttavia, la guerra ha rinvigorito l’attenzione e la riflessione sulla difesa del Baltico.