La creazione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche è senza ombra di dubbio uno degli eventi più importanti e rivoluzionari -in tutti i sensi- della storia mondiale del ventesimo secolo. Lo scorso 30 dicembre ricorreva il centenario della sua fondazione, e il ricordo di quello che l’URSS è stata è tutt’altro che omogeneo.
Alla fine di un lungo processo iniziato nel 1917, anno del crollo dell’Impero russo e le Rivoluzioni di febbraio e ottobre, si è giunti nel 1922 alla formazione de jure dell’Unione Sovietica. Questa è avvenuta con la ratifica del Trattato sulla creazione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche il 30 dicembre, a cui hanno preso parte la RSFS Russa, RSS Ucraina, RSS Bielorussa e RSSF Transcaucasica. Quest’ultima nel 1936 sarà poi suddivisa nelle tre repubbliche socialiste sovietiche di Georgia, Azerbaijan e Armenia. Il Trattato, congiuntamente alla Dichiarazione sulla creazione dell’URSS approvata lo stesso giorno, venne confermato dal I Congresso dei Soviet dell’Unione Sovietica e firmato dai capi delle delegazioni: Mikhail Kalinin, Mikhail Tskhakaya, Grigorij Petrovskij, Aliaksandr Charviakou. L’Unione Sovietica fu il primo stato al mondo istituito sull’utopia socialista marxista, che nei decenni seguenti finì per inglobare i paesi dell’Asia Centrale, del Baltico e la Moldavia, portando il numero di repubbliche federate a quindici. Tale organizzazione statale rimase per tutta l’esistenza dell’Unione fino alla sua dissoluzione nel 1991.
Il percorso verso l’URSS e il progetto di Lenin
Vladimir Lenin aveva denunciato la Russia zarista per aver tenuto russi e non russi in una “prigione di nazioni”. La sua nuova Unione Sovietica avrebbe unito le masse sfruttate delle vecchie terre zariste in un paese che era “nazionale nella forma, socialista nel contenuto“. I sistemi economici e politici dovevano seguire una linea di sviluppo socialista nel perseguimento di portare il popolo al comunismo, ma la cultura e le tradizioni delle singole repubbliche sovietiche avrebbero dovuto continuare ad esistere. La “russificazione” dell’era zarista poteva considerarsi finita, così come lo sciovinismo russo che Lenin aveva tanto disprezzato. Purtroppo, questi obiettivi non riuscirono concretizzarsi, soprattutto con la sopraggiunta morte di Lenin nel 1924 e l’avvento dello stalinismo. L’interpretazione del marxismo dei due grandi leader sovietici era diametralmente opposta: da una parte il comunismo internazionalista e rivolto verso l’esterno di Lenin; dall’altra la centralizzazione del potere nelle mani del partito di Stalin. Seppur con quest’ultimo venne riconsolidato il dominio della Russia sugli altri popoli, in un primo momento l’URSS aveva visto “una fioritura di culture nazionali in repubbliche come l’Ucraina e la Bielorussia, e in particolare la crescente importanza delle lingue nazionali”.
In Ucraina, già dalla Rivoluzione di febbraio, venne istituito il parlamento nazionale, la Rada, e vennero promulgati vari provvedimenti per confermare l’allontanamento dalla Russia. Tra questi si possono ricordare la promozione della lingua ucraina nelle scuole e nella stampa. Seppur Lenin fosse d’accordo con il compromesso sulla cultura e sulla lingua ucraina come elementi essenziali per mantenere il controllo comunista sull’Ucraina, i bolscevichi rimanevano diffidenti della spinta verso l’autonomia totale. Infatti, quando a seguito della Rivoluzione d’ottobre la Rada proclamò l’indipendenza nazionale, i bolscevichi dichiararono l’Ucraina una repubblica sovietica a Kharkiv. Questo conflitto proseguì fino al 1922, quando l’Ucraina divenne una repubblica costituente dell’Unione Sovietica.
Un’esperienza simile venne vissuta anche nel Caucaso meridionale. Con la Rivoluzione di febbraio venne istituito nella zona un Comitato Transcaucasico speciale, in cui erano riuniti rappresentanti dall’Armenia, Azerbaijan e Georgia insieme al deputato russo Vasilij Kharlamov. Questo Comitato durò fino alla presa del potere dei bolscevichi, quando venne sostituito dal Commissariato Transcaucasico con sede a Tbilisi, in Georgia. Questo nuovo organo però non era affatto in linea con le posizioni dei nuovi vincitori, vedendo al suo interno menscevichi, rivoluzionari socialisti, Dashnak armeni e i musavatisti azeri, i quali si opponevano fermamente al dominio della Russia sovietica. Dal 1918 fino al 1921 la Transcaucasia visse un periodo democratico, con a capo il leader menscevico georgiano Nikolaj Chkheidze. L’indipendenza venne poi interrotta forzatamente dall’entrata dell’Armata Rossa a Tbilisi nel febbraio 1921, che portò alla formazione della Federazione Transcaucasica nel marzo 1922.
Destino pressoché analogo, ma più particolare nel suo genere, fu quello della Bielorussia. Zona di combattimento tra l’Impero russo e tedesco durante la Grande Guerra, la Bielorussia visse non solo la Guerra Civile russa, ma anche la Guerra russo-polacca negli anni che hanno preceduto la sua entrata nell’Unione Sovietica. Tra i vari tentativi per mantenere l’indipendenza si può ricordare la Rivolta di Slutsk che ebbe luogo alla fine del 1920, la quale comportò una serie di scontri tra forze partigiane fedeli alla Repubblica Popolare Bielorussa e l’Armata Rossa. L’esito fu la vittoria sovietica e il progressivo riallineamento della Bielorussia all’interno della sfera bolscevica.
Nel 1920 venne firmato il trattato bilaterale tra Russia e Ucraina. Nel 1921 il trattato tra Russia e Bielorussia, e tra Russia e le repubbliche del Caucaso meridionale. Con questa serie di accordi, la Russia sovietica otteneva il diritto di rappresentare le altre repubbliche a livello internazionale e firmare documenti diplomatici al loro posto.
100 anni dopo …
Il 2022 è stato un anno turbolento, che non ha solo messo in crisi le relazioni tra Russia e Ucraina per via della guerra scoppiata lo scorso febbraio, ma ha anche visto importanti cambiamenti e tensioni in molte ex repubbliche sovietiche. Seppur a livello istituzionale il 30 dicembre 1922 non viene più ricordato, la memoria storica in queste nazioni è certamente viva e tangibile, ad esempio nei partiti comunisti nazionali e dalle vittime di tale regime.
Nella Federazione Russa, i membri e i sostenitori del Partito comunista (KPRF) hanno celebrato l’anniversario nella Sala dei Pilastri della Casa dei sindacati a Mosca l’8 dicembre scorso. D’altra parte, i nazionalisti russi ritengono che la Russia attuale sia il successore dell’Unione Sovietica, ma allo stesso tempo, criticano la Federazione per non “essere all’altezza” del suo predecessore e l’apparente svalutazione del comunismo da parte dell’élite politica. L’analisi di Mikhail Chistyakov su KM.ru affronta lo spinoso dibattito. La decisione di non celebrare il centenario “sminuisce un intero periodo della storia russa”. A suo avviso questo è poi “un periodo che può essere chiamato eroico, poiché durante l’URSS il [nostro] popolo ha mantenuto la sua indipendenza, essendo riuscito a vincere la guerra più terribile della storia dell’umanità.” Al di là del mondo politico, a Mosca il 29 novembre, si è tenuta la conferenza internazionale “Il centenario della formazione dell’URSS, nuove interpretazioni e approcci” organizzata dall’Istituto di storia mondiale dell’Accademia russa delle scienze e dalla Società storica russa. Hanno partecipato vari accademici dei paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI).
L’ex-repubblica sovietica che, innegabilmente, sta vivendo in prima persona l’aggressività russa ancora dopo cento anni è l’Ucraina. Quest’ultima il 26 novembre ha commemorato le vittime dell’Holodomor, la terribile carestia dell’inverno 1932-33. Questo evento ha assunto un ruolo sempre più centrale della memoria collettiva ucraina a partire dalla rivoluzione di Maidan nel 2014. Già dal 2006, però, l’Holodomor è stato classificato dall’Ucraina come un genocidio mirato contro gli ucraini. Nel corso di quest’anno, poi, gli Archivi di Stato ucraini hanno aperto al pubblico quelli segreti dell’Unione Sovietica. Il direttore degli Archivi, Anatolij Khromov, ha enfatizzato come oggi l’Ucraina sia uno dei paesi più aperti nell’Europa centrale e orientale. Infatti, per l’accesso agli archivi dei servizi segreti sovietici KGB non è richiesto di provare alcun legame con le persone represse dal regime, ed è possibile ricercare molti documenti online in modo gratuito nel sito dell’Archivio. Khromov, in un’intervista televisiva lo scorso 5 dicembre, ha sottolineato le differenze tra l’apertura dell’Ucraina e la mancanza della stessa in Russia, la quale permette di consultare solo fascicoli selezionati che, a suo avviso, servono per “screditare certi gruppi nazionali all’interno della Russia”, tra i questi anche gli ucraini. Inoltre, dal 2015, è stato bandito il Partito comunista ucraino (PKU), che da allora opera in clandestinità. Una mossa che è stata considerata dai simpatizzanti come anti-democratica.
Interessante è come il 2022 sia stato proclamato “Anno della memoria storica” da un decreto del governo di Lukashenko. Il 1° settembre, giorno di inizio dell’anno accademico in Bielorussia, il presidente stesso ha tenuto una lezione sulla “memoria storica”. Un non-allineamento alla politica della memoria può portare addirittura a otto anni di reclusione, in linea con la recente legislazione penale nazionale. Questa politica serve a Lukashenko come una “parziale giustificazione” per la guerra in Ucraina. La Bielorussia preferisce condannare in prima istanza i crimini nazisti (e non sovietici) contro il popolo bielorusso, e, al contempo, screditare la storiografia nazionale, perché minaccia la sicurezza ontologica dell’Unione di Russia e Bielorussia.
Per quanto riguarda il Caucaso meridionale, in Armenia il primo ministro Nikol Pashinyan ritiene che il suo paese stia ancora lottando per la propria indipendenza. In un una riunione di gabinetto lo scorso agosto a Yerevan, Pashinyan ha sottolineato che “l’indipendenza è sicurezza. Le strutture internazionali che la forniscono si stanno rompendo davanti a tutti noi, e una delle prime crepe purtroppo si è manifestata nel Nagorno-Karabakh”. Sempre in riferimento al conflitto con l’Azerbaijan, i legislatori vicini a Pashinyan hanno puntato il dito contro la Russia quando il 12 dicembre l’Azerbaijan ha bloccato l’unica strada che collega il Karabakh all’Armenia. Ritengono che Mosca abbia ordinato ai peacekeepers russi di non prevenire il blocco stradale per aggiudicarsi concessioni geopolitiche dall’Armenia. Da parte della maggioranza politica c’è preoccupazione che la Russia voglia annettersi il paese, o almeno farlo entrare nell’Unione di Russia e Bielorussia- le accuse sono state respinte dal Cremlino.
Infine, la Georgia si trova in una posizione ambigua. Le relazioni con la Russia non possono ritenersi delle migliori, visto che la ferita della guerra del 2008 è ancora aperta. Questo però non ha impedito al piccolo stato caucasico di mantenere forti relazioni economiche con Mosca. Forse è proprio per questo motivo, e per questioni di sicurezza, che la Georgia ha finito per non aderire alle sanzioni occidentali, evitando anche di fornire armi sofisticate all’Ucraina. Anche le posizioni sul comunismo sono vaghe. Un’intervista al ricercatore Anton Vatcharadze dell’Istituto per lo sviluppo della libertà di informazione (IDFI) a Tbilisi lo spiega chiaramente. “Ci sono persone che ancora ammirano il regime di Josif Stalin. Sentono che è una figura importante, perché era georgiano ed è diventato il sovrano di uno dei più grandi imperi del mondo”; allo stesso tempo, si vede una diminuzione di questi sostenitori nelle nuove generazioni.
La situazione è altresì complicata nelle altre ex-repubbliche sovietiche. Prendendo solo alcune come esempio: la Lituania è fermamente contraria al comunismo, arrivando a bandire il Partito comunista lituano già nel 1991. Tuttavia, come per la menzionata Georgia, ancora si possono incontrare sostenitori e nostalgici dell’epoca sovietica, che non si presentano uniformemente come filo-russi o anti-nazionali. Al contrario, nel paese centro asiatico del Kirghizistan si sta vedendo un aumento di nostalgia per i tempi sovietici e viene ricordata con affetto l’Organizzazione dei Pionieri. Piccole commemorazioni si sono viste in Moldavia, come in Russia, l’8 dicembre. Il leader del Partito comunista moldavo nel suo discorso ha ricordato come l’istituzione dei CSI sia un “tradimento”, e che la firma del suo Trattato istitutivo abbia distrutto l’Unione Sovietica.
La memoria del centenario della fondazione dell’URSS rimane, dunque, piuttosto eterogenea e complessa, esattamente come la storia che l’ha caratterizzata e che continua ad influenzare, più o meno profondamente, lo spazio post-sovietico nato dal suo crollo.