La storia e le vicende dell’organizzazione bielorussa Viasna, dalla lotta per i diritti umani al Nobel per la Pace vinto nel 2022 dal suo attivista Ales Bialiatski, raccontate da Carolina Apicella.
Di ritorno da una visita al centro di accoglienza per rifugiati ucraini a Lowicz, Polonia, l’interprete dall’italiano al russo originaria di Minsk me l’ha detto con parole semplici e insieme lapidarie: “Anche la Bielorussia non è più libera da molto tempo, è solo che la sua crisi non ha fatto rumore”. Si riferiva, probabilmente, all’assenza di una guerra come quella attraverso la quale viene minacciata la libertà del popolo ucraino, al fatto che la democrazia in Bielorussia è stata erosa da anni di costanti repressioni e violazioni dei diritti umani, più che estirpata da una violenza in mondovisione.
Il rumore questa democrazia moribonda ha cercato di farlo, ad essere onesti, fin dal 1996, quando i bielorussi si sono riversati per le strade protestando contro gli emendamenti alla Costituzione di due anni prima; modifiche che avrebbero concesso a Lukashenko di estendere il mandato del Presidente da 5 a 7 anni e di eleggere direttamente un’intera nuova camera parlamentare, oltre che di limitare i poteri della Corte costituzionale. L’hanno zittito, quel rumore, le repressioni su larga scala dei manifestanti, fino a 100 mila durante la Chernobyl Way del 26 aprile, e la vittoria del referendum sugli emendamenti contestati. Insomma, è stato silenziato dal governo che è in carica ininterrottamente dal 1994. Eppure, le voci della cosiddetta Primavera di Minsk si sono sollevate ancora, instancabili, un anno più tardi, arrivando a contare fino a 10 mila persone e dando vita ad una richiesta scritta di democrazia nel Paese che è passata alla storia come Carta 97.
Viasna, o Primavera
È per difendere quelle voci soffocate che, proprio nel 1996, nasce Viasna, un’organizzazione umanitaria volta alla difesa e all’assistenza dei cittadini bielorussi che venivano arrestati e incarcerati per aver partecipato ai cortei di protesta, incluse le loro famiglie. Proprio in forza di questa storia, iniziata per sopperire ad un bisogno immediato e durata vent’anni, interamente dedicata alla tutela e alla promozione dei diritti di un popolo inascoltato, Viasna è stata tra le tre vincitrici del premio Nobel per la Pace del 2022. Che fin dalla sua fondazione l’organizzazione non abbia incontrato le simpatie del governo bielorusso non sorprende, se si pensa al decreto draconiano emesso da Lukashenko all’indomani della primavera di Minsk con l’intento di limitare i diritti di manifestazione ed espressione dei cittadini.
Viasna, infatti, si registra ufficialmente nel 1999 come organizzazione non governativa per la tutela dei diritti umani, e come tale finisce immediatamente nel mirino delle autorità, che danno inizio alla catena di persecuzioni ininterrotte per i 20 anni successivi. Prima sciolta su ordine dell’Ufficio di Giustizia di Minsk, poi soggetta a perquisizioni e confische seguite da detenzioni immotivate dei suoi membri, multata, vessata con scuse banali, ostracizzata dalla sua partecipazione come osservatore alle elezioni presidenziali.
Negli anni, anziché arrendersi, i suoi fondatori hanno allargato il proprio campo d’azione e iniziato ad occuparsi dello sviluppo della società civile in Bielorussia e del rispetto dei diritti umani nel Paese, raccontando le storie di attivisti e prigionieri politici, monitorando lo stato del sistema penitenziario e le violazioni della libertà di espressione e di aggregazione e fornendo strumenti di formazione ai cittadini affinché più persone possibili vigilino sui diritti del popolo bielorusso e si battano per la tutela della democrazia. Ciò che li muove è stato sintetizzato dai suoi fondatori con le parole del poeta bielorusso Yanka Kupala, che parlava del diritto di essere chiamati, considerati persone.
L’ostinazione di Viasna, il suo rifiuto di considerarsi finita, si è rivelato particolarmente provvidenziale anche con lo scoppiare della rivolta anti-Lukashenko nel 2020, quando l’organizzazione ha fornito assistenza ai manifestanti incarcerati e alle loro famiglie lo stesso impegno di sempre. Anche in questo caso i bielorussi protestavano contro l’ennesima violazione dei valori democratici, sfociata in nell’ennesima tornata elettorale a favore di Lukashenko, che conquistava il suo sesto mandato consecutivo con l’80% dei consensi. Dopo aver represso le manifestazioni e arrestato o allontanato i rappresentanti dell’opposizione, Lukashenko si è nuovamente insediato nonostante i governi europei abbiano fin da subito riconosciuto la vittoria elettorale a Svetlana Heorhiyeuna Tikhanovskaya, e ha calcato nuovamente la mano sui diritti imponendo la chiusura di ben 50 organizzazioni no profit e accusando attivisti, giornalisti e difensori dei diritti umani di collusione con potenze straniere bramose di influenzare la politica interna del Paese. L’intento, neanche troppo implicito, era e rimane quello di erodere completamente la società civile bielorussa.
Pur in questo clima, il fondatore e direttore Ales Bialiatski e tutti i dipendenti e volontari attivisti di Viasna non hanno cessato di stilare liste dei detenuti per non perderne le tracce, fornire supporto ai parenti che volessero consegnare qualcosa agli incarcerati e organizzare i soccorsi medici per chi fosse stato ferito durante le proteste. Bialiatski ha persino fatto parte del Coordination Council for the Transfer of Power, l’organo creato da Tsikhanouskaya in rappresentanza delle forze di potere democraticamente elette nel Paese, in opposizione a quelle di Lukashenko.
Non senza pagarne le conseguenze: Bialiatski, già finito in carcere nel 2011 con l’accusa di presunto occultamento di redditi su larga scala ed evasione fiscale, e poi uscitone grazie ad un’amnistia nel 2014, si è ritrovato nuovamente nel mirino, sospettato di organizzare e finanziare azioni collettive lesive dell’ordine pubblico, oltre che di evasione fiscale. Insieme a lui, il suo vice Valentin Stefanovich, il legale di Viasna Vladimir Labkovich, e i colleghi Alena Laptenok, Andrei Poluda e Yevgenia Babeva, tutti vittime di raid improvvisati dalla polizia tra il febbraio e il luglio 2021, oltre a più di 30 attivisti legati all’organizzazione e poi rilasciati. I processi, svoltisi nel corso di un intero anno da settembre 2021 ad oggi, hanno portato alla condanna a 15 anni di prigione della coordinatrice del network di volontari di Viasna, Marfa Rabkova, mentre Bialiatski, Labkovich, e Stefanovich, pur essendo caduta l’accusa di evasione fiscale, rischiano dai 7 ai 12 anni di carcere. Tutti gli attivisti menzionati sono considerati prigionieri politici dalle maggiori organizzazioni per i diritti umani.
“Dalla terra bruciata non cresce nulla”
Così vede la strada verso una Bielorussia realmente democratica Ales, con le cui parole la moglie Natalia Pintchuk ha ringraziato la commissione del premio Nobel per la pace, conferito nel 2022 a Viasna e altre due organizzazioni non governative di simile stampo, la russa Memorial e il Centro ucraino per le libertà civili (CCL). Con esse, oltre all’obiettivo di tutela dei diritti umani, Viasna condivide i rapporti conflittuali con i governi autoritari decisi a sabotarli: Memorial, fondata all’indomani del crollo dell’URSS per offrire testimonianza dei crimini staliniani e delle storie dei detenuti dei gulag, è stata chiusa forzatamente dal governo russo il 5 aprile 2022, mentre il CCL ucraino nato nel 2007 è impegnato con grande coraggio nel servizio di documentazione di abusi e detenzioni illegali seguiti all’annessione russa della Crimea e all’attuale conflitto in Ucraina. Il riconoscimento arriva dopo vari altri premi ricevuti da Bialiatski per il suo impegno umanitario, tra cui il Vaclav Havel Prize, il Lech Walesa Prize e il Sakharov Prize per la libertà di pensiero.
Le tre organizzazioni “rappresentano la società civile nei loro Paesi d’origine, promuovendo da molti anni il diritto di criticare il potere e di proteggere i diritti fondamentali dei cittadini, impegnandosi a fondo per documentare i crimini di guerra, le violazioni dei diritti umani e gli abusi di potere. Insieme dimostrano l’importanza della società civile per la pace e la democrazia”. È attraverso questi gesti instancabili che Viasna non smette di concimare e coltivare il campo malridotto della democrazia bielorussa, animata dalla certezza che nulla, neanche il potere più feroce, possa fermare la sete di libertà delle persone, e che “dopo ogni inverno arrivi sempre la Primavera”.