La strategia di politica estera della Federazione Russa nella regione artica si articola su tre direttrici principali: la Northern Sea Route e le sue implicazioni commerciali e militari, la gestione del crescente interesse cinese nell’area, ed il rafforzamento della presenza militare nelle acque adiacenti alle coste russe. Tali priorità trovano riscontro in diversi documenti ufficiali, tra cui l’ordine esecutivo del presidente Vladimir Putin sui traguardi nazionali e gli obiettivi strategici della Federazione Russa fino al 2024, ed il documento sulla politica artica russa per il periodo 2020-2035. Tutte sfide di vasta portata.
Sebbene lo status di superpotenza artica sia quasi incontestabile in termini di presenza militare e capacità logistiche, alcuni recenti sviluppi impongono la necessità di un’analisi più approfondita dei rischi e delle opportunità per la Russia in quest’area geografica da poco al centro di un rinnovato interesse internazionale. La penetrazione cinese nell’Artico e le modalità con cui Mosca deciderà di gestire i rapporti con Pechino nella regione saranno fortemente influenzati nel medio termine da due fattori principali: la maggiore percorribilità delle rotte commerciali dovuta allo scioglimento dei ghiacci e la revisione delle priorità strategiche in termini di partenariati politici e commerciali della Russia in seguito allo scoppio del conflitto in Ucraina.
La nuova frontiera dell’Artico
Anche per quanto riguarda questo teatro apparentemente remoto, il fattore principale alla base della scelta russa di instaurare una cooperazione più solida con la Repubblica Popolare Cinese risiede nella volontà di contrastare l’esercizio dell’influenza statunitense nell’area[1]. La cooperazione sino-russa nell’Artico si è sviluppata su due fronti principali: quello economico-commerciale e quello diplomatico, come dimostrano la collaborazione per il progetto Yamal LNG e la – non poco sofferta – accettazione formale da parte russa della Cina come “Stato quasi-artico“, con tutte le relative implicazioni. Nel 2018, infatti, la Cina ha pubblicato un libro bianco interamente dedicato alla regione coniando il neologismo che ha provocato irritazione sia a Mosca che a Washington. Se inizialmente il Cremlino ha opposto ferma resistenza alle mire espansionistiche cinesi nell’Artico, il crescente isolamento diplomatico, economico e commerciale dovuto all’invasione dell’Ucraina ha costretto la Russia ad accettare una cooperazione più corposa con la Cina sia per ciò che concerne la questione dei finanziamenti, sia per facilitare un’apertura verso Est delle rotte commerciali. Fino ad ora, le relazioni commerciali tra i due paesi ammontano ad un totale di circa 110 miliardi di dollari: l’aggiunta dell’Artico come area di cooperazione ulteriore coprirà sicuramente la ricerca tecnologia e le attività di esplorazione, come stabilito sin dal 2018.
Il progetto Yamal LNG
A livello infrastrutturale, i legami bilaterali nella regione hanno subito un notevole impulso grazie ad investimenti economici per la ferrovia di Belkomur, il porto di Arkhangelsk e la costruzione di una ferrovia lunga 1161 km dalla città siberiana occidentale di Solikamsk attraverso Syktyvkar fino ad Arkhangelsk. Uno dei principali punti di svolta per la cooperazione sino-russa nell’Artico è sicuramente rappresentato dalla partecipazione congiunta al progetto Yamal LNG, che si ritiene possa fruttare circa 926 miliardi di metri cubi di gas naturale. Si tratta indubbiamente di un progetto ambizioso sia per ciò che concerne la gestione dei costi e l’efficienza, sia per quanto riguarda l’attrattività per le compagnie internazionali: il successo del megaprogetto a partire dal 2017 si deve alla National Petroleum Corporation cinese (CNPC) e il Silk Road Fund di proprietà statale, in collaborazione con la russa Novatek e la francese Total. È inoltre in corso la costruzione di Arctic LNG-2, il cui lancio è previsto per il 2023. Le compagnie petrolifere statali cinesi detengono una partecipazione totale del 20% in Arctic LNG-2, insieme a Novatek, Total e Japan Arctic LNG, un consorzio di Mitsui e Japan Oil, Gas and Metals National Corporation. La China National Chemical Engineering e la società russa Neftegazholding hanno firmato nel 2019 un contratto per la costruzione di infrastrutture nel giacimento petrolifero di Payakha, con un investimento totale di 5 miliardi di dollari in quattro anni e un lancio previsto per il 2023. I due Stati collaborano inoltre al progetto sul gasdotto Power of Siberia (Sila Sibiri) che collegherà la regione di Blagoveshensk al confine cinese con il giacimento di gas siberiano nella Repubblica di Yakutia. L’accordo è stato firmato da Putin e dal vicepremier cinese Zhang Gaoli e comprende altre possibili esplorazioni, in particolare il giacimento di Vankor, che sarà collegato da un accordo con la cinese CNPC.
La Northern Sea Route
L’apertura della Northern Sea Route (NSR) fa parte delle priorità strategiche del Cremlino in quanto scorciatoia per arrivare dall’Europa all’Asia: la rotta riduce significativamente la distanza tra Yamal e l’Asia rispetto alla classica rotta del Canale di Suez. Collegando gli oceani Atlantico e Pacifico da nord, recenti studi hanno confermato che la rotta artica sia dal 30% al 50% più breve delle rotte del canale di Suez e del canale di Panama per i traffici Est-Ovest, con tempi di transito ridotti di circa 14-20 giorni. Se da un lato l’apertura di queste rotte può considerarsi l’esito di un disastro ambientale, dall’altro può rappresentare un’opportunità per l’ambiente. Se le acque artiche internazionali si scaldassero abbastanza da rendere efficaci le rotte artiche, le compagnie di navigazione potrebbero ridurre le loro emissioni di gas a effetto serra di circa il 24%, un risultato quasi paradossale. Peraltro, l’effetto dirompente del cambiamento climatico aveva già fornito alla Russia un’opportunità non indifferente di rilancio della rotta artica: già nel 2008 veniva pubblicato un documento politico che inquadrava lo “sfruttamento della Northern Sea Route come una via di trasporto unitaria nazionale“. L’obiettivo fissato per il 2024 dai vertici russi è un aumento del traffico della NSR a 80 milioni di tonnellate all’anno: se la tempistica dell’obiettivo potrebbe anche non sembrare realistica, si potrebbe comunque affermare che entro il 2030 la NSR emergerà sicuramente come una rotta commerciale fondamentale. Una maggiore percorribilità della NSR non solo amplierebbe lo spazio di manovra della Federazione Russa dal punto di vista geografico, ma faciliterebbe ulteriormente l’accesso russo al mare – spina nel fianco di Mosca sin dai tempi dell’Impero.
Nella prospettiva cinese, invece, l’apertura di una rotta dall’Estremo Oriente russo consentirebbe di porre fine all’annoso “dilemma dello Stretto di Malacca” per la penetrazione commerciale. A tal fine Pechino ha costruito e testato nel 2018 la sua prima nave rompighiaccio Xuelong 2. Nel 2017 si è avuto un impegno congiunto sino-russo a migliorare la navigazione della NSR attraverso la congiunzione dell’Unione Economica Eurasiatica, a guida russa, e della Belt and Road Initiative sotto egida cinese: un’opportunità eccellente per le due potenze per allineare i loro interessi reciproci promuovendo al contempo lo sviluppo economico di un’area per molti versi critica. Gli investimenti cinesi nell’Estremo Oriente russo poco sviluppato hanno fornito ulteriori motivi per rendere appetibile la cooperazione agli occhi della Federazione Russa. Dall’altro lato, l’espansione dei progetti BRI nella regione aprirebbe le porte alla “Via della Seta Artica” cinese che, però, non passa solo per la Russia: si tratta invece di un ampio sforzo di Pechino per investire in tutto l’Artico e i mercati dei Paesi europei sono tra i principali destinatari di questa strategia.
Al netto degli scambi commerciali, la Cina ha inoltre perseguito attivamente una cooperazione bilaterale per la ricerca scientifica con altri Stati artici. In Svezia, la Cina gestisce dal 2016 la Remote Sensing Satellite North Polar Ground Station a Kiruna, a nord del Circolo Polare Artico. Nel 2018 la Cina ha inoltre firmato un accordo con la Finlandia per la creazione di un centro di ricerca congiunto a Sodankyla, nel nord della Finlandia, per l’osservazione spaziale dell’Artico e i servizi di condivisione dei dati. A Karholl, nel nord dell’Islanda, l’Osservatorio scientifico artico Cina-Islanda è operativo dal 2018. Sulle strategiche isole Svalbard, al largo della costa nord-occidentale della Norvegia, si trova la stazione di ricerca cinese Yellow River. Pur perseguendo i propri interessi artici attraverso una diplomazia multivettoriale, Pechino è riuscita in generale a tenersi alla larga dalla rivalità geopolitica tra la Russia e gli Stati artici occidentali membri della NATO e ciò spinge diversi analisti a ritenere che l’interesse cinese nell’Artico non abbia, almeno per il momento, una connotazione militare. Per questo motivo, la Russia costituisce ancora l’apripista della RPC nella regione artica.
Cosa aspettarci dal futuro
Si ritiene che l’Artico contenga fino a un quarto del petrolio e del gas ancora da scoprire nel pianeta: con l’impatto del cambiamento climatico, lo scioglimento dei ghiacci offre chiaramente nuove opportunità per la corsa all’approvvigionamento delle risorse ed al dominio delle rotte di navigazione. Grazie ad una schiacciante presenza militare sapientemente adattata ad una topografia unica, il dominio di Mosca nella regione è, fino ad ora, incontrastato. Inoltre, i progetti Yamal LNG e l’apertura della Northern Sea Route per migliorare il trasporto marittimo Asia-Europa e la cooperazione con Pechino per la “Via della seta polare” fanno parte della “Grande pianificazione artica della Russia” di Putin. Dall’altra parte, l’investimento multimiliardario di Pechino nel progetto Yamal ha curato le ferite del Cremlino causate delle sanzioni occidentali dopo l’annessione della Crimea nel 2014 e sarà al centro della strategia di salvataggio dell’economia russa dopo lo scoppio del conflitto. Le sanzioni occidentali, ad esempio, hanno determinato una dipendenza sempre maggiore della Russia nei confronti della Cina non solo in qualità di investitore finanziario ma anche come fornitore di tecnologia civile strategica, compresi i sistemi 5G.
Diretto corollario della prospettiva qui descritta è un aumento della presenza statunitense nella regione artica nel prossimo futuro. Infatti, le due potenze revisioniste si troveranno a fare i conti con gli alleati degli USA e della NATO, preoccupati per la crescente militarizzazione dell’Artico e per le rivendicazioni russe sulla Northern Sea Route. A tal proposito, i piani statunitensi di stazionare gli F-35 in Alaska per aumentare gli F-22 già presenti e l’installazione di sistemi radar in Groenlandia mostrano l’insoddisfazione dell’Occidente nei confronti della “Russia dissidente”: di recente, il Primo Ministro canadese ha dichiarato che “la decisione della Russia di rovesciare quasi 70 anni di pace e stabilità invadendo un vicino pacifico ha cambiato il modo in cui dobbiamo guardare all’Artico”. Sulla stessa linea, si può anche affermare che probabilmente nessun altro Paese beneficia dell’attuale confronto tra Russia e Occidente più della Cina, che ha ora l’opportunità di aumentare il proprio potere sulla Federazione Russa e di riaffermare in tal modo il suo status di parte superiore nelle loro relazioni bilaterali. È chiaro che maggiore diviene l’isolamento della Russia, maggiore diverrà la dipendenza dai capitali cinesi. La superiorità relativa della Federazione Russa nell’Artico nei confronti della Cina potrebbe risentire di questi cambiamenti strutturali in maniera non indifferente.
Fabiola Bono
[1] Si ricorda che gli Stati Uniti, insieme a Federazione Russa, Norvegia, Danimarca, Finlandia, Canada, Islanda e Svezia fanno parte del Consiglio Artico, un forum internazionale di alto livello istituito nel 1996 per promuovere cooperazione, coordinamento e interazione tra i paesi artici, le comunità indigene e gli altri popoli artici. L’obiettivo del Consiglio è garantire alla regione artica “uno sviluppo sostenibile ambientale, sociale ed economico”. La Cina detiene lo status di osservatore.
Riferimenti bibliografici
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Greenwood, J., & Luo, S. (2022, Aprile 4). Could the Arctic be a wedge between Russia and China? Tratto da War on the Rocks: https://warontherocks.com/2022/04/could-the-arctic-be-a-wedge-between-russia-and-china/
News, V. (2022, Agosto 26). NATO Head Warns About Russian, Chinese Interest in Arctic. Retrieved from VOA News: https://www.voanews.com/a/nato-head-warns-about-russian-chinese-interest-in-arctic/6718667.html
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Sorensen, C., & Klimenko, E. (2017). Emerging Chinese-Russian cooperation in the Arctic: Possibilities and Constraints. SIPRI Policy Paper 46 , p. 35 – 36.