Il più democratico degli -Stan tiene fede alla sua rinomata e storica instabilità, con un 2023 finora piuttosto turbolento e caratterizzato da tensioni politiche domestiche e internazionali sempre pronte ad esplodere. Un tentato golpe e una discussa proposta di legge coronano un primo semestre decisamente complesso per il Kirghizistan.
“Tranquillità” non è la parola che più si addice alla vita politica e sociale del Kirghizistan. Massicce proteste o possibili rivoluzioni sembrano essere ormai scontate alternative per la fragile democrazia centro-asiatica, quasi fossero secondi turni elettorali. Da ultime abbiamo visto le importanti manifestazioni che, dopo le elezioni parlamentari dell’ottobre 2020, hanno portato l’ex-presidente Sooronbay Jeenbekov alle dimissioni, alla scarcerazione di alcuni importanti oppositori e a nuove votazioni, che hanno visto vincitore proprio uno degli amnistiati, Sadyr Japarov. L’effetto stabilizzante che il travagliato avvento del nuovo presidente sembrava aver portato, tuttavia, è durato ben poco.
Nei primi due anni di mandato Biškek, pur tentando di invertire alcune tendenze, è stata la protagonista di un film già visto:
- reiterati scontri di confine con i vicini tagiki si sono alternati con la discussa ratifica delle frontiere con l’Uzbekistan;
- la corruzione endemica, talvolta sventolata strumentalmente contro personaggi sempre più invisi al governo, non si placa;
- gli inquieti flussi migratori in entrata si sono riattivati tra pandemia e guerra in Ucraina:
- solite equidistanze passive tra Russia e Cina sono state mantenute nei vari consessi internazionali dell’Asia centrale.
Tutto ciò ha accompagnato il ritorno del Paese, nel 2021, al presidenzialismo, e il conseguente consolidamento del potere di Japarov, in senso sempre più autoritario. Niente di nuovo sotto il sole (a 40 punte) del Kirghizistan, che sembra seguire dinamiche comuni al contesto eurasiatico.
Qualche mese di clemenza
Eppure, il 2023 sembrava essersi aperto sotto il segno della pacificazione. Nello scorso febbraio, nel giro di una settimana, Japarov è sembrato voler azzerare i conti con il passato, facendo tabula rasa dei conti più o meno recenti rimasti in sospeso. Il 14 febbraio l’ex-presidente Almazbek Atambaev è stato rilasciato dal carcere in cui era detenuto da quasi tre anni per sottoporsi a cure mediche all’estero, mentre la Corte suprema kirghisa ha annullato la condanna a 11 anni emessa nei suoi confronti nel 2020. Durante la rivoluzione del 2020, va ricordato che Atambaev fu fatto evadere dai manifestanti, così come l’allora politico dell’opposizione Sadyr Japarov, ma a differenza dell’attuale presidente, fu nuovamente arrestato pochi giorni dopo e ricondotto in prigione. Il caso di Atambaev, malato e vittima di violenza in carcere, è stato seguito da vicino dai dirigenti dell’Internazionale socialista, di cui faceva parte il Partito Socialdemocratico dell’ex presidente.
Pochi giorni dopo, Japarov è volato negli Emirati Arabi Uniti, dove in territorio neutrale ha organizzato un incontro decisamente inatteso. L’attuale presidente kirghiso ha invitato singolarmente tutti e cinque i suoi predecessori, senza svelare le reciproche presenze e lasciando credere agli invitati di essere convocati a un colloquio privato con lui e il numero uno dei servizi di sicurezza, Kamčybek Taščev. Si sono dunque ritrovato attorno allo stesso tavolo Askar Akaev, primo presidente del Kirghizistan indipendente e alla guida del paese fino al 2005, anno in cui la rivoluzione dei tulipani lo portò a fuggire a Mosca, Kurmanbek Bakiev, al potere fino alla rivoluzione del 2010 e da allora in esilio in Bielorussia, Roza Otunbaeva, presidente ad interim fino alle elezioni del 2011, il già citato Almazbek Atambaev, che ha deviato il suo viaggio medico verso la Spagna, e il predecessore di Japarov, Sooronbay Jeenbekov, costretto a dimettersi dalla terza rivoluzione kirghisa.
Come annunciato sul suo profilo Facebook, Japarov ha affermato di aver voluto, con questo gesto inaspettato, ricomporre l’unità del paese: «Naturalmente, gli ex presidenti si sono scambiati parole dure, hanno espresso rancore e ammesso i propri errori. Ma ciò che è più importante, è che si sono perdonati l’un l’altro». Una conclusione serafica, che tuttavia resta difficile da credere, considerata la storia travagliata del giovane stato e le acerrime rivalità tra i vecchi leader. Così come sembra molto improbabile l’assoluzione del popolo kirghiso, in particolare nei confronti di Bakiev, la cui feroce repressione delle proteste di piazza del 2010 ha provocato oltre cento morti e gli è costata una condanna all’ergastolo in contumacia.
Una legge sempre più di tendenza
La cosiddetta “legge sugli agenti stranieri”, adottata in Russia nel 2012, sembra conoscere nuova, recente fortuna nello spazio post-sovietico. Similmente a quanto avvenuto negli scorsi mesi in Georgia, dove il disegno di legge è stato ritirato a seguito delle imponenti proteste popolari e il mancato sostegno della presidente Salome Zurabišvili, anche il governo kirghiso ha tentato di introdurre il progetto nei propri codici. La proposta di legge avanzata a Biškek, così come a Tbilisi, non è ovviamente l’esatta copia del testo russo, ma ne ricalca essenzialmente i passi e le finalità.
La bozza di legge ha iniziato a circolare nei palazzi governativi kirghisi già nello scorso novembre, ed è solamente a maggio che, forte del sostegno di oltre 30 parlamentari, il disegno è stato presentato al Žogorku Kengešč (il parlamento unicamerale kirghiso). Se approvata, la legge richiederebbe alle organizzazioni che ricevono finanziamenti dall’estero (che siano esse ONG o media) e svolgono attività politica di registrarsi presso il Ministero della Giustizia come “rappresentanti stranieri”. La proposta di legge definisce le generiche attività di questi enti come “azioni volte a cambiare la politica dello stato e plasmare l’opinione pubblica per questi scopi“, lasciando una vaghezza fortemente criticata da molte associazioni a tutela dei diritti politici e civili, nazionali e internazionali. Effettivamente, stante tale definizione, qualsiasi attività potrebbe rientrare nel campo di applicazione della legge, e i conseguenti usi strumentali di essa sono facilmente intuibili. In caso di infrazioni, il progetto di legge prevede sanzioni penali che vanno dalla multa fino a 10 anni di reclusione, ma anche la sospensione delle attività dell’organizzazione e il congelamento dei suoi conti bancari per un massimo di sei mesi in caso di mancata registrazione.
Con tale misura traspare chiaramente la volontà di Japarov di rafforzare la propria presa sul Paese. Già nel giugno 2021, il presidente kirghiso ha tacitamente approvato nuovi requisiti di rendicontazione finanziaria per le ONG, nonostante la capillarità di quelli già esistenti. È seguita poi, nell’agosto 2021, la cosiddetta “legge sulle notizie false”, che nel 2022 è stata utilizzata per bloccare e chiudere la locale sede di Radio Free Europe/Radio Liberty.
Japarov non ha tuttavia l’esclusiva sul disegno in discussione. Il primo tentativo di far passare una “legge sugli agenti stranieri” in Kirghizistan risale al 2013 e, nonostante le forti preoccupazioni espresse, fu approvata nelle prime due letture in parlamento nel 2015, ma alla fine ha fallito la terza nel 2016.
Come detto, anche l’attuale disegno di legge non scampa da aspre critiche, al seguito delle quali già alcuni parlamentari avrebbero ritirato il proprio sostegno alla proposta. Oltre ai sempre più numerosi appelli di enti e osservatori internazionali che denunciano le possibili implicazioni della legge e invitano a monitorare la situazione, non sembrano esserci novità in sede parlamentare. Il Žogorku Kengešč dovrebbe chiudere il 1° luglio per la sosta estiva, e sembra sempre più probabile il rinvio della discussione oltre tale data.
Astinenza dai tumulti
L’inizio di questo mese ha riservato al Kirghizistan un ulteriore aumento della tensione. L’agenzia di sicurezza nazionale kirghisa UKMK ha infatti confermato di avere arrestato, a partire da lunedì 5 giugno, almeno trenta persone che sarebbero state coinvolte in un piano per “prendere il potere con la forza”. Secondo il UKMK, a capo dei golpisti ci sarebbe la leader del partito di opposizione Eldik Keneš (Assemblea Popolare) Roza Nurmatova, che secondo Radio Free Europe/Radio Liberty avrebbe confessato la propria colpevolezza. Data la scarsità di ulteriori informazioni, restano difficili da capire le dinamiche del tentato golpe e altri dettagli sulle catture, così come l’effettiva esistenza di piani criminosi o il possibile tentativo di Japarov di colpire l’opposizione per serrare le file in vista dell’approvazione della legge prima citata e così discussa.
Gli arresti sono avvenuti in concomitanza con la visita del presidente del Consiglio Europeo Charles Michel nel Paese, dove ha incontrato anche Japarov e preso parte alla seconda conferenza UE-Asia Centrale a Cholpon-Ata, nel nord del Paese. A fare da contraltare, Mosca è stato la prima ad interessarsi alla situazione nel vicino centroasiatico, con il portavoce del Cremlino Peškov che dichiarato di monitorare da vicino gli sviluppi. Gli allarmi, tuttavia, sembrano essere rientrati molto velocemente nelle giornate successive.
Uno sventato golpe o presunto tale e una spinosa legge da dibattere aprono la calda estate kirghisa, che paradossalmente potrebbe avere tregua grazie proprio all’interruzione dei lavori parlamentari prevista nelle prossime settimane.