Terminata la lunga parabola delle proteste che hanno fatto seguito alle elezioni presidenziali bielorusse del 2020, classificate come manipolate dall’opposizione e dalla comunità internazionale, i riflettori mediatici internazionali su Minsk si sono praticamente spenti. Mentre gli occhi del mondo sono puntati altrove, l’opposizione bielorussa continua a battersi per la libertà del proprio Paese. Anche la diaspora bielorussa in Italia è molto attiva in questo senso. Ne parliamo con Yuliya Yukhno, rappresentante dell’Ambasciata popolare della Belarus in Italia, fondatrice dell’Associazione Talaka ed ex detenuta politica nella Bielorussia di Lukašenko.
Ciao Yuliya, quale è il motivo che ti ha portata ad avvicinarti all’opposizione bielorussa e quello che invece ti ha portata in Italia?
Ciao! Io evito di chiamarci opposizione, perché prima di tutto, siamo sempre stati la maggioranza. Seconda cosa, Lukašenko è il presidente illegittimo, non può rappresentare il popolo bielorusso. Sviatlana Tikhanovskaja è la presidente eletta. La presidente eletta non può essere oppositrice. La penso così.
Per quanto riguarda la domanda: ho sempre seguito quello che stava accadendo nel mio Paese anche vivendo all’estero. Perciò quando ci siamo attivati per la campagna elettorale di Sviatlana è avvenuto in un modo molto naturale. Non ero mai stata contenta dal regime di Lukašenko, però non vedevo la forza che avrebbe potuto provare a cambiare qualcosa. Invece nel 2020 ho visto che c’eravamo finalmente.
In Italia sono arrivata direi per caso. Dopo essere stata costretta a scappare dalla mia patria volevo dimenticare tutto l’orrore vissuto e svuotare un po’ la testa, capire come continuare la mia vita, cosa fare, come farlo. Non è facile cominciare una vita da zero. Siccome quando ancora ero in Belarus[1] facevo collegamenti online e Zoom con la diaspora bielorussa in Italia, ho chiesto di poter venire nel vostro Paese per un po’ di tempo. Mi hanno accolta le nostre attiviste e poi ho iniziato ad essere coinvolta nell’attività dell’associazione ‘Supolka’, l’associazione Iscos, il sindacato CISL e così pian piano sono arrivata al punto dove mi trovo ora.
Lo scorso maggio i rappresentanti delle Ambasciate popolari della Belarus si sono incontrati con Sviatlana Tikhanovskaja. In quanti e quali Paesi sono presenti le ambasciate? Che tipo di coordinazione esiste tra loro e che ruolo svolge oggi l’Ambasciata popolare della Belarus in Italia?
Siamo presenti in circa 24 Paesi. È un’iniziativa indipendente che collabora con tutte le forze democratiche, però ovviamente stiamo quasi sempre in contatto con Sviatlana e il Gabinetto congiunto per questioni varie. In ogni Paese l’ambasciata popolare funziona in modo particolare, perché il numero dei rappresentanti è diverso. Ognuno ha la sua specificità a seconda del Paese della rappresentanza, ognuno è impegnato in modo diverso: per alcuni è l’attività principale, per altri part-time.
In Italia l’Ambasciata popolare della Belarus si occupa di questioni relative a rifugiati, ma fa anche attività politica e diplomatica. L’obiettivo è creare legami con i diplomatici dei vari Paesi e i politici italiani per sviluppare un assetto collaborativo, portare avanti la causa, cercare modi per aiutare le persone che scappano dalla Belarus. È lavoro per il futuro, che dobbiamo fare oggi non aspettando quando il regime cadrà. Se i bielorussi sul territorio hanno problemi, li aiutiamo a trovare un modo per risolverli. Siamo diffusi in tutta Italia e non è così facile aiutare a distanza, però ci proviamo. Per esempio, nel caso del bielorusso arrestato dall’Interpol, è stata l’Ambasciata popolare ad aiutarlo attivando subito tutti i canali possibili.
Lo scorso aprile a Firenze è nata Talaka. Cosa è Talaka e come è nata questa idea?
Talaka è un’associazione che si occupa di attività umanitarie e culturali. L’Ambasciata è uno dei progetti dell’associazione, però l’attività principale dell’associazione è sempre umanitaria. Stiamo organizzando gli eventi culturali e cerchiamo opportunità per portare in Italia i bambini dei prigionieri, aiutare ai rifugiati e le famiglie oppresse in Bielorussia. L’idea è nata in poco tempo: l’anno scorso seguivo alcuni progetti umanitari in collaborazione con l’associazione Iscos, ma ad un certo punto ho capito che non si sarebbe potuto continuare così. Quando ho ricevuto i documenti da rifugiata è stata fondata l’associazione. Talaka è una tradizione bielorussa legata all’aiuto reciproco tra le persone. Dei sinonimi potrebbero essere solidarietà, partecipazione, unità. È quello che cerco in Italia ed è quello di cui abbiamo bisogno.
Lo scorso 20 maggio a Roma si è tenuta una manifestazione in occasione della giornata dei prigionieri politici alla quale ha partecipato la diaspora bielorussa. Qual è la situazione dei prigionieri politici in Belarus oggi? E perché, a tuo avviso, se ne parla così poco in Italia?
La situazione dei prigionieri è sempre più grave. Ormai da oltre due mesi non sappiamo dove si trova Viktor Babaryko, ex candidato per la presidenza condannato a 14 anni di carcere. Non sappiamo neanche dove si trovano Maria Kalesnikova, Ihar Losik e tante altre persone. I prigionieri si trovano in condizioni disumane […]. Poco prima del Giorno dei prigionieri politici in Belarus è morto in carcere Nikolaj Klimovič, condannato a un anno per un commento sotto una caricatura di Lukašenko (praticamente uno smile).
I prigionieri non hanno accesso alle cure mediche, sono sempre oppressi. E molto spesso sono portati in celle punitive dove non vedono la luce, subiscono il freddo e la musica a volume altissimo per tutto il giorno, non hanno letti ma pavimenti bagnati di acqua con cloro. Non possono poi contattare gli avvocati né i parenti, non hanno corrispondenza. La lista è lunga. Quando i nostri prigionieri politici vengono liberati non hanno l’opportunità di lavorare perché nessuno li vuole assumere. Si trovano in grande difficoltà, perché in carcere hanno perso la salute, l’opportunità di lavorare, non hanno soldi e non sanno come continuare a vivere. Scappano via ma neanche qui all’estero trovano tranquillità. […] Anche se stiamo lavorando per dare loro una mano si vede che non è abbastanza. Dobbiamo impiegare più forze per aiutarli ad integrarsi nella società e non sentirsi soli.
Riguardo la seconda domanda: in Italia si sa poco della Belarus, chissà perché e di chi è la colpa. Forse l’ambasciata ufficiale non ha fatto abbastanza, o forse ci sono vari altri motivi. Ora abbiamo noi la responsabilità di informare la società italiana. E così forse potremmo trovare il sostegno e la solidarietà. Noi ci consideriamo come gli europei, perciò credo che possiamo contare sulla società del continente.
Nell’ultimo mese diversi analisti e personaggi di spicco tra cui Valerij Tsepkalo hanno ipotizzato la malattia, morte ed avvelenamento di Aleksandr Lukašenko. Cosa succederebbe in caso di morte di “Bat’ka”?
“Bat’ka” è proprio brutto. Nessuno lo chiama così in Belarus, è una narrazione ucraina e russa. Sono loro a chiamarlo così, non noi.
Tornando alla domanda: è difficile fare ipotesi sinceramente. Visto ciò che è successo l’altro giorno in Russia, nessuno sa mai come possono andare le cose, perché ogni tanto mi sembra che lì non seguano alcuna logica. E allora anche in caso di morte di Lukašenko potrebbe succedere di tutto. Potrebbero mettere un altro “burattino” di Putin, probabilmente. E questo sarebbe grave per la Belarus – che ora non sta partecipando alla guerra contro l’Ucraina per un motivo chiaro: la paura di mandare l’esercito bielorusso lì. Se invece immaginassimo un’altra figura filorussa al posto di Lukašenko, non credo avrebbe questa paura. Poi certamente dipende dall’esercito bielorusso e da vari fattori e circostanze della guerra che cambiano ogni giorno, se non ogni ora. Detto questo vorrei aggiungere che non sono un’analista professionista, perciò è solo la mia opinione personale.
[1] L’opposizione bielorussa preferisce chiamare il proprio Paese “Belarus” perché tale termine rappresenta una forma di identità nazionale e distinzione culturale rispetto al nome “Bielorussia”, storicamente utilizzato durante il periodo sovietico (e in sé legato a una maggiore assimilazione culturale e politica con la Russia).