Cesari Figari Barberis è dottorando in Relazioni Internazionali e Scienza Politica al Graduate Institute of Geneva. Insieme a Leonardo Zanatta ha svolto uno studio dal titolo “Negotiating Emotions in an Unwelcoming Context: Being Russian in Georgia During Russia ’s Invasion of Ukraine” presentato alla ASN World Convention 2023 – convention annuale della Association for the Study of Nationalities e in futura pubblicazione per Oxford University Press.
In questa intervista, realizzata da Paolo Bottazzi, siamo partiti proprio dal suo studio sulla condizione emozionale dei russi in Georgia oggi per indagare, da un punto di vista inedito, le dinamiche di conflitto nel Caucaso meridionale, esaminando anche la guerra azero-armena del Nagorno Karabakh.
Nello studio che hai svolto hai esaminato la “politica delle emozioni” con riferimento all’esperienza della diaspora russa in Georgia negli anni della guerra di Ucraina. Ci puoi spiegare i concetti di “emotional entitlement” e di “emotional obligation” e come si applicano al caso georgiano?
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina molti russi hanno lasciato il proprio Paese: moltissimi tra loro sono andati in Armenia, dove non ci vuole neanche il passaporto, oppure in Georgia dove ci vuole il passaporto ma non il visto, per cui si può stare per parecchio tempo in Georgia senza problemi.
La Georgia non è l’ambiente più accogliente per i russi. Tra gli anni ’90 e il 2008 i due Paesi hanno combattuto diverse guerre per le regioni separatiste georgiane dell’Ossezia del Sud e dell’Abcasia, e le relazioni fra i due Stati non sono per nulla buone. Tra le popolazioni ci sono sentimenti misti, c’è un po’ di diffidenza, un po’ di rabbia, ma anche buona collaborazione.
Quando è iniziata la guerra in Ucraina, i georgiani hanno associato l’invasione russa dell’Ucraina e l’invasione russa della Georgia nel 2008. Quindi sono apparsi a Tbilisi tantissimi graffiti antirussi: “fuck russians” “russians go home”, “ruski go home”. Però stranamente sono arrivati moltissimi russi, intorno al centinaio di migliaia, soprattutto a Tbilisi, che è la città più grande.
Emotional entitlment è il diritto a una certa emozione. Per esempio, il sentirsi una vittima: in questo caso, i russi sono scappati dal proprio Paese, quindi possono sentirsi vittime del regime russo. Al contempo, sono vittime della xenofobia, del sentimento antirusso presente in Georgia, per cui hanno difficoltà ad aprire un conto in banca, la gente inizialmente non voleva affittargli la casa, magari gli urlavano in faccia cose spiacevoli per strada… abbiamo raccolto molte di queste testimonianze.
Dall’altra parte invece, l’emotional obligation è l’obbligo di sentire una certa emozione, in questo caso il sentimento di vergogna per essere appartenenti alla nazione russa. La Russia ha invaso l’Ucraina, causando molte morti… esiste un obbligo emotivo di sentire vergogna, responsabilità? Nello studio troviamo che esiste, ma creato dai russi stessi: chi tra i russi non sente vergogna viene spinto a farlo dai connazionali. Per quanto riguarda l’entitlement, abbiamo notato che molti russi, soprattutto donne che si trovano in situazioni spiacevoli coi georgiani, si sentono vittime, ma senza il diritto di sentirsi tali. E’ un problema che viene messo sotto il tappeto: la sofferenza degli ucraini per loro è più importante. Se anche alcuni di loro si sentono vittime, è un sentimento che non può essere pubblico.
La Georgia è salita recentemente alle cronache per le ampie manifestazioni filoeuropeiste in opposizione al governo. Secondo te, si è trattato più di sentimento europeista o di un risentimento antirusso?
Le due cose sono correlate, ma una non causa l’altra. Per i georgiani essere europei è un fatto ovvio, per ragioni storiche: la Colchide, i contatti con l’Impero bizantino, il fatto di essere cristiani… Ed entrare nell’Unione Europea è visto come essere legittimati e accettati nella famiglia europea.
Il sentimento antirusso è radicato anche certamente per lo scontro in Ossezia del Sud e in Abcasia, ma ha una storia più antica: l’impero russo inglobò la Georgia gradualmente e per loro la Russia è il nemico storico, che li ha traditi a più riprese.
Sentimento europeo e antirusso si sono uniti moltissimo nelle ultime proteste. Io ero lì in marzo: c’è stata un’esplosione del sentimento europeo e i manifestanti chiamavano i parlamentari “Russevo!”. Russevo è il vocativo plurale di “russi”, quindi stavano gridando “O russi!” come insulto ai parlamentari, perché il governo capitanato da Sogno Georgiano è accusato di essere una pedina di Mosca. C’è stata quindi un’unione di questi due fenomeni ultimamente, ma non necessariamente vanno insieme: i georgiani hanno questo sentimento antirusso perché la Russia è una potenza coloniale almeno dal diciottesimo secolo, e al contempo si sentono naturalmente europei. Oggi, poiché la Russia è diventata il nemico dell’UE, questi due sentimenti si rafforzano a vicenda.
E’ bene chiarirlo, per non cadere nella trappola del “manovrati dall’esterno” …
Sì, ci tengo a sottolinearlo. Spesso si sente dire che queste manifestazioni sono manovrate dall’esterno, oppure che, come dicono molti georgiani, il partito di governo Sogno Georgiano sia controllato dalla Russia. Sono due esagerazioni: Sogno Georgiano vuole mantenere relazioni decenti con la Russia per questioni di convenienza, per limitare i rischi politici, evitare guerre e mantenere le opportunità economiche, ma non è filorusso come talvolta viene descritto. Dall’altra parte, queste proteste non erano eterodirette, non sono state finanziate dall’Unione Europea, sono state molto spontanee, molto organiche e molto trasversali. Si rivolgevano all’estero perché si appellavano all’Europa contro la Russia, ma gli attori erano georgiani.
Ti è mai capitato di confrontarti con persone di altre nazionalità o provenienza sul tema dell’invasione russa? Come muta la percezione rispetto alla visione di un georgiano di Tbilisi?
La seconda città più grande della Georgia è Batumi. Lì, dove ci sono molti turisti russi, il sentimento antirusso è attenuato. Questo sentimento è concentrato soprattutto a Tbilisi, che però in Georgia è dove risiede buona parte della popolazione e avviene quasi tutta l’attività politica ed economica.
Io adesso sono in Armenia, a Erevan, e la situazione è completamente diversa. L’Armenia dipende molto dalla Russia dal punto di vista economico e della sicurezza: oggi nel territorio separatista del Nagorno-Karabakh ci sono circa 2000 peacekeepers russi, che sono l’ultima garanzia di sicurezza per gli armeni rimasti nel Karabakh.
Questa dipendenza dalla Russia influenza la percezione della guerra: gli armeni sono dispiaciuti per l’Ucraina, ma non possono permettersi di andare contro la Russia. Non c’è un grande sentimento antirusso, anzi; la guerra in Ucraina è percepita come una tragedia, ma che non li riguarda più di tanto. Inoltre, gli armeni tendono a lamentare come oggi tutti gli europei guardino alla guerra in Ucraina, mentre durante la guerra del Karabakh del 2020 nessuno ha battuto ciglio.
Anche in Azerbaigian ci sono parecchi legami economici con la Russia, più di quanto si voglia ammettere. Baku fornisce talvolta aiuti economici all’Ucraina ma non può permettersi di fare arrabbiare la Russia. Anche lì non è diffuso il sentimento antirusso: la guerra in Ucraina non è una tragedia particolarmente sentita.
Il conflitto azero-armeno in Occidente viene raccontato con un grado decisamente inferiore di polarizzazione, nonostante la condanna della Corte Penale Internazionale verso Baku. Hai mai percepito delle emotional obligation verso cittadini azeri a Tbilisi o Erevan, o verso armeni a Baku?
La ricerca che io e Leonardo facciamo è possibile perché in Georgia ci sono dei russi. La tua domanda è molto strana per me, perché fondamentalmente non ci sono armeni in Azerbaigian, né azerbaigiani in Armenia. C’è qualche piccola sfumatura: ci sono alcune donne armene in Azerbaigian, che si sono sposate con uomini azerbaigiani quando è iniziata la guerra del Nagorno Karabakh, nel 1988. Le mogli armene dei mariti azerbaigiani sono rimaste; tutti gli altri sono stati uccisi o cacciati. Stessa cosa in Armenia, dove l’unica sfumatura sono i cittadini iraniani di etnia azerbaigiana. Quindi non è possibile fare questa ricerca, perché non ci sono: i pochi che ci sono, sono nascosti.
C’è in Azerbaigian una necessità di odiare l’armeno: l’armeno è un traditore, nemico storico che va odiato. Anche in Armenia vedono malissimo gli azerbaigiani, come un popolo nomadico, barbarico e assetato di sangue. Sono però due contesti completamente diversi. Georgia e Russia hanno avuto più di una guerra, ma riescono avere delle relazioni decenti; ci sono georgiani in Russia e viceversa. Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian è molto più polarizzato e non ci sono minoranze reciproche nei due Paesi.
In Europa tendiamo spesso ad associare Russia e Iran sullo scacchiere globale. Teheran è un “vicino di casa” dei paesi del Caucaso: esiste in Georgia questa visione “atlantista” dell’Iran?
Assolutamente no, quasi nulla. Per i georgiani, l’Iran è un Paese con cui si hanno rapporti, ci sono state delle guerre in passato, ma non è il nemico storico; al limite può essere un problema per l’Azerbaigian. Benché ci sia questa associazione tra Iran e Russia – l’Iran sta anche vendendo i droni HESA Shahed 136 che la Russia sta usando in Ucraina – questo non sembra toccare i georgiani, che non hanno un sentimento anti-iraniano. Per tornare a quanto dicevamo prima: sentimento europeista e sentimento antirusso si sono uniti nell’ultimo periodo e il fatto che l’Iran sia associato alla Russia da parte dell’UE e degli USA non tocca i rapporti tra Georgia e Iran, perché sono discorsi separati, che possono andare insieme, ma non lo sono necessariamente. Quindi no, in generale in Georgia non si sente molto parlare di Iran. Ci sono buone relazioni e non sono cambiate.
Sottoscrivi la tesi secondo cui l’invasione russa in Ucraina ha minato l’influenza di Mosca nello spazio post-sovietico e nel Caucaso meridionale a favore di altri attori?
C’è tantissimo dibattito su questo tema, e sarà il futuro a dare risposte in base a come andrà la guerra. La guerra sicuramente sta facendo perdere terreno alla Russia, che non è più vista come una potenza militare formidabile.
Tuttavia, è vero anche che tutti e tre i Paesi caucasici stanno aiutando la Russia a evadere le sanzioni. Non se ne parla troppo, ma tutti e tre lo stanno facendo a modo loro e i loro legami economici con la Russia sono aumentanti dopo la guerra.
Anche in Georgia?
Anche in Georgia! Sembra paradossale, ma è uscito recentemente un articolo che racconta come Armenia e Georgia aiutino a evadere le sanzioni nel mercato dell’auto[1].
L’Azerbaigian ha guadagnato moltissima credibilità e forza vis à vis l’Unione Europea, ricordiamo la visita della Von Der Leyen la scorsa estate a Baku, in un tentativo di supplire al deflusso di gas russo[2]. Non è però facile esportare con immediatezza tanto gas in più e ci sono ormai prove evidenti che la Russia ha aumentato le vendite di gas all’Azerbaigian, che ha iniziato a esportare più gas verso l’Europa.
Insomma, parrebbe che l’influenza della Russia nel Caucaso sia ancora forte. Se la Russia perde terreno, inevitabilmente la Turchia entrerà in gioco. Ankara ha aiutato Baku a vincere la guerra nel Caucaso e adesso ha un osservatorio congiunto con la Russia in Azerbaigian, vicino alla zona di conflitto. L’Azerbaigian sta aumentando moltissimo i legami con la Turchia e il mondo turcico a detrimento della Russia; la Turchia è il grande partner politico e culturale con cui costruire il grande corridoio turcico che collega Istanbul con l’Azerbaigian e l’Asia Centrale[3].
Riassumendo, la Russia ha perso prestigio come potenza militare, ma l’influenza economica russa è aumentata, e in ultima istanza tutto dipenderà dall’esito della guerra in Ucraina. Se rimane lo status quo, la Turchia avrà guadagnato dei passi, ma la Russia rimarrà un attore importante nel Caucaso. Se la Russia perde la guerra in Ucraina cambia tutto, e allora la Turchia avrebbe un ruolo significativamente più importante.
L’allentamento del patronato russo sull’Armenia sembra confermare la tesi del declino politico di Mosca.
L’Armenia viene ingiustamente descritta come filorussa o come satellite della Russia, ma questo è un giudizio un po’ esagerato. L’Armenia ha una grossa dipendenza dalla Russia, ma parlare di satellite è un po’ strano, proprio perché la Russia sta provando a bilanciare tra Armenia e Azerbaigian e infatti sta perdendo un po’ di appeal tra gli armeni. La Russia viene sempre meno vista come un partner affidabile, ed è invece aumentata la percezione positiva della Francia, in conseguenza delle dichiarazioni pro-Armenia fatte da Macron.
Paolo Bottazzi
Riferimenti
[1] https://www.ft.com/content/0fc846f7-aac8-4a34-a7dd-3b0615bce983
[2] https://www.osservatoriorussia.com/2022/11/28/puo-il-gas-azero-sostituire-quello-russo/
[3] https://www.osservatoriorussia.com/2023/04/23/a-chi-importa-del-corridoio-di-zangezur/