Breve riassunto dei cambiamenti di sentimento, tra esaltazione e pessimismo, degli analisti e osservatori occidentali sulla guerra in Ucraina. Il fatto che aspettative eccessive siano state deluse non deve oscurare la circostanza che l’Ucraina è ancora invitta.
«L’Ucraina non è ancora morta, né la sua gloria, né la sua libertà». Così recita la prima strofa originale dell’inno nazionale ucraino.
Bisognerebbe pur ripeterlo, ogni volta che si dà la partita ucraina per persa. Le valutazioni sulle prospettive del Paese di fronte all’invasione russa sono state variabili e alternanti – tra il pessimista e l’euforico – sin dall’inizio del conflitto. Oggi è prevalente una narrazione pessimistica in seguito al fallimento della controffensiva d’estate. Vale la pena di ricapitolare quante volte il sentimento di analisti ed osservatori è cambiato.
Prima della guerra, l’aspettativa in molti ambienti era che se la Russia avesse invaso l’Ucraina, l’avrebbe rapidamente schiacciata grazie alla superiore quantità e qualità di uomini e materiali. Per molte ragioni ciò non è accaduto, ma allora sembrava altamente probabile. Nondimeno, già dal 15 febbraio 2022 tutti gli occidentali avevano evacuato Kiev (con la sola lodevole eccezione del nostro ambasciatore Zazo), dando un preoccupante segnale di via libera ai russi.
Poi, mentre l’Ucraina difendeva con successo Kiev e le truppe russe facevano pasticci ovunque, la narrazione si spostava nuovamente, verso un esercito russo incompetente che non aveva alcuna possibilità e che sarebbe rapidamente caduto a pezzi. Questa euforia ha dominato da aprile per alcuni mesi dell’anno scorso.
Ad aprile 2022 il segretario alla difesa USA dichiarava: “Vogliamo vedere la Russia indebolita al punto di non poter fare il tipo di cose che ha fatto con l’invasione dell’Ucraina”. In pratica si dava mandato all’Ucraina non solo di recuperare il suo territorio, ma di mettere la Russia in condizioni di non nuocere per sempre. Davide contro Golia.
Successivamente, mentre la Russia si concentrava nuovamente sul Donbass e accettava forti perdite a Severodonetsk e Lysychansk, si rafforzava la sensazione di trovarsi di fronte a una potenza inarrestabile.
Di nuovo, la fulminante offensiva di Kharkiv ha portato a preconizzare una rapida vittoria ucraina. La caotica mobilitazione della Russia e la successiva liberazione di Kherson hanno fatto sembrare imminente il collasso totale delle forze d’invasione.
Una volta esaurita la forza di quelle offensive, c’è stata la dura battaglia di Bakhmut per oltre sei mesi, con la Russia apparentemente in grado di sacrificare quantità infinite di uomini e imporre vittorie ad ogni costo. Ancora una volta, siamo tornati alla Russia inarrestabile.
A giugno, la “marcia per la Giustizia” su Mosca del leader del gruppo Wagner Yevgeny Prigozhin, ha suscitato per 24 ore la speranza di un cambio di regime al Cremlino.
Quest’estate è stato il momento della controffensiva, una campagna sorprendentemente annunciata in anticipo e presentata come risolutiva: l’assalto ucraino avrebbe sfondato le linee russe e liberato un vasto territorio.
Ora, con la controffensiva fallita, siamo tornati al catastrofismo: il sostegno occidentale in declino, lotte intestine in Ucraina, i russi di nuovo all’offensiva dopo aver superato la tempesta.
C’è anche spazio per il ‘regret’, con le dichiarazioni di Davyd Arachamija e Oleksij Arestovyč secondo i quali l’accordo con la Russia era vicino, e fu Boris Johnson a insistere per continuare le ostilità. L’ex primo ministro britannico è il perfetto villain su cui si può sparare a zero, avendo dimostrato una eccezionale dose di faciloneria ed incompetenza, a partire dalla gestione del Covid. Ma si dimentica che, se l’accordo di pace era effettivamente vicino, lo era alle condizioni della Russia, che ne sarebbe uscita vincitrice.
Cosa ci insegnano tutti questi repentini cambiamenti di umore, che un buon psicologo potrebbe definire maniaco-depressivo?
Innanzitutto, che non è possibile affrontare un fenomeno come la guerra con spirito di tifoseria. Degli analisti seri dovrebbero considerare i fatti, al netto delle loro preferenze per l’evoluzione in determinati scenari piuttosto che in altri.
Sottolineare che l’Ucraina aveva dall’inizio scarse chances di vittoria non è segno di putinismo. Riconoscere che – rispetto alle aspettative iniziali – il Paese si è comportato in modo sorprendente non significa incoraggiarlo alla guerra totale in vista della disintegrazione della Federazione Russa.
Eccessive euforie hanno danneggiato la causa ucraina anziché favorirla: quando la sua riscossa sembrava inarrestabile si sono levate le preoccupazioni per la sorte politica di Putin e della Russia. Di conseguenza si sono negate all’Ucraina armi che probabilmente sarebbero state risolutive.
Oggi, una sobria constatazione dello stato dei fatti dovrebbe considerare la realtà sul terreno: che non è allegra, ma nemmeno disperata.
Il potere al Cremlino ci appare monolitico, mentre quello alla Casa delle Chimere (residenza ufficiale del presidente ucraino) sembra discusso, incerto e frammentato: ma l’Ucraina è una democrazia, e piuttosto trasparente, mentre del potere russo vediamo solo ciò che ci viene mostrato.
Una nazione di 32 milioni di persone ne ha fermata una di 147 milioni. Un Paese che non ha una Marina ha affondato e distrutto navi nemiche e costretto la flotta russa a ritirarsi in parte dalla base di Sebastopoli. L’esercito aggressore resiste trincerato su una linea di difesa. Al momento l’Ucraina vince ai punti, se non per KO. D’ora in poi è soprattutto una guerra di nervi.
L’Ucraina non ha fallito, ha solo deluso aspettative che sin dal primo momento erano irrealistiche ed eccessive. Questa non è una buona ragione per negarle le risorse di cui ha bisogno per continuare a combattere.
L’Ucraina non è ancora morta, né è stata ancora sconfitta.
Dario Quintavalle