Le elezioni del prossimo marzo saranno un test di relativa rilevanza, a prescindere dalle possibilità che Boris Nadezhdin – “perfetto candidato di bandiera” avrà di sfidare Putin. Il presidente (mai davvero) uscente ha dalla sua un consenso non facilmente quantificabile, ma che i media occidentali hanno poca voglia di raccontare.
Tira una brutta aria per Boris Borisovič Nadeždin, il candidato pacifista che vorrebbe contendere a Vladimir Putin la presidenza nelle elezioni in programma nei giorni 15-17 marzo. La Commissione elettorale centrale ha trovato irregolare il 15,4% delle firme certificate in appoggio alla sua candidatura. Nikolaj Bulaev, vice-presidente della Commissione stessa, si è spinto a dichiarare che «quando si vedono decine e decine di firme di persone che sono morte, sorge una domanda sull’integrità degli standard etici utilizzati da parte di coloro che raccolgono le firme». Nadeždin ha ovviamente respinto ogni addebito ma le sue prospettive, in un’elezione concepita per essere nulla più che un referendum sulla decisione del Cremlino di muovere guerra all’Ucraina (l’obiettivo è il solito: 70% di affluenza alle urne e 70% di preferenze per Putin), a questo punto sono davvero scarse.
Il sito ufficiale della candidatura di Nadeždin (https://nadezhdin2024.ru/), offre un programma in otto punti: fine della guerra, piena autonomia amministrativa per comuni e regioni, elezione diretta di sindaci e governatori, priorità ai problemi interni della Russia, amnistia per i detenuti politici (Naval’nyj e non solo), politica di sviluppo e reintegrazione degli emigrati, ritorno al dialogo con l’Occidente e ripresa di distanze dalla Cina, costruzione di una Russia di cui i giovani possano andar fieri. Un perfetto candidato di bandiera, insomma, un programma certo gradito alla borghesia e all’intelligencija delle grandi città russe. In una recente intervista, al giornalista che parlava di un consenso tra l’1 e il 10%, Nadeždin ha risposto che se il suo seguito fosse fermo all’1% non gli farebbero tante storie con le firme. Ed è possibile che abbia ragione.
Detto questo, la domanda è: Boris Borisovič Nadeždin, chi era costui? E la risposta è: fino a due mesi fa nessuno. Di lui i media occidentali non si occupavano e di colui che è stato deputato alla Duma (1999-2003) e poi consigliere comunale di Mosca si ignorava serenamente l’esistenza. Poi, di colpo, presentandosi alle elezioni con una piattaforma che è all’opposto del mainstream putiniano, quest’uomo coraggioso è diventato “l’uomo che fa paura a Putin”. Quando i media occidentali incoronano qualcuno con tale definizione, il malcapitato di turno farebbe bene a correre a rifugiarsi da qualche parte. Un piccolo elenco: Naval’nyj era “l’uomo che fa paura a Putin”. Boris Nemcov (al quale in qualche modo Nadeždin si ispira) anche. Negli ultimi tempi, hanno fatto paura a Putin gli oligarchi che con la guerra perdevano un sacco di soldi, Prigožin con la rivolta del Gruppo Wagner, i manifestanti della Bashkyria indignati dai progetti minerari e dalla russificazione, le mogli dei soldati mobilitati. E adesso, appunto, Nadeždin.
Di paura in paura, Putin è sempre là, con ogni probabilità farà il presidente a vita o giù di lì e il suo ruolo personale, per non parlare della verticale del potere che lo tiene al vertice, non sembra affatto in crisi. Quindi, al di là dell’ostilità verso un leader che consideriamo tiranno e guerrafondaio, che cosa ci spinge a raccontarci di un Putin perennemente in ansia di fronte a personalità e fenomeni che hanno la loro importanza e spesso grandissima dignità ma poco peso specifico rispetto al Cremlino? Che cosa ci spinge, per dirla in breve, a spacciar lucciole per lanterne? A confondere i desideri con la realtà?
Credo che il problema sia il solito: siamo così convinti che il nostro sistema sia il migliore (vero: nessun altro garantisce un simile rapporto tra diritti individuali e benessere collettivo) da credere che tutti ambiscano a essere come noi (falso). Che pensino le cose che pensiamo noi e vogliano quelle che vogliamo noi. Tradotto in russo, ci siamo fatti l’idea che i russi che sostengono Putin o votano per lui lo facciano solo perché hanno una baionetta alla schiena. Perché altrimenti la penserebbero tutti come Nadeždin: smetterla con la guerra e rifare la pace con l’Occidente. Tra un mese e mezzo si andrà a un’elezione finta. Propaganda, leggi speciali e repressione di qualunque forma di dissenso, oltre alla sproporzione di mezzi tra Putin e gli altri candidati, sono fin troppo evidenti. Ma questo non vuol dire che non ci siano russi che la pensano come Putin. Anzi: ce ne sono molti. Altrimenti come si spiegherebbero i risultati che i sondaggi del Centro Levada (dalle autorità russe inserito nella lista degli “agenti stranieri” perché riceve finanziamenti dall’estero) raccolgono da anni e anni e che ad agosto del 2023 registrava un tasso di approvazione per il presidente dell’80%? Perché nel 2014, subito dopo la riannessione manu militari della Crimea, il tasso di approvazione di Putin andò al 90%?
La riluttanza a indossare le scarpe dei russi e a fare qualche pezzo di strada con quelle, per capire che cosa loro provano davvero e sperimentano nella vita quotidiana, è un vecchio problema. Eravamo tutti innamorati di Mikhail Gorbačëv e ammiravamo il suo tentativo di riformare il pachiderma sovietico. Ma Gorby, oggi, è una delle figure più detestate dal russo medio, che identifica la perestrojka con il collasso di un mondo, non con la nascita di un mondo nuovo. Noi possiamo credere, anche con buone ragioni, tutto ciò che vogliamo ma alla fine in Russia conta più ciò che pensano i russi di ciò che pensiamo noi. Idem come sopra più avanti, quando Putin (ancora solo primo ministro) stroncò nel sangue la ribellione autonomista della Cecenia. Per noi una pagina buia e crudele, per i russi la salvezza rispetto alla tanto temuta disgregazione della Federazione. Tanto che anche allora, proprio come sarebbe successo vent’anni dopo con la Crimea, il rating di Putin schizzò alle stelle: dal 60 all’87%.
In conclusione: ci piaccia o no, elezioni finte o no, Putin gode e ha sempre goduto di una percentuale di consenso spontanea, naturale. Quantificarla, dentro quella che è stata a lungo una demokratura e adesso è un regime autoritario in assetto di guerra, è quasi impossibile. Gli farebbe vincere le elezioni, in una competizione libera e leale? Chissà… Però facciamoci un favore: non dimentichiamo mai che esiste.
Fulvio Scaglione