L’uscita della Federazione Russa dal Consiglio Euro-Artico di Barents ha segnato in definitiva la fine della cooperazione di Mosca con gli altri paesi della regione artica. Sempre più isolata dall’Occidente, anche per la ricerca scientifica e accademica, la Russia si trova a doversi reinventare, andando a consolidare sempre più la collaborazione con i “paesi amici”, i BRICS.
Già dallo scorso aprile, la società russa del carbone artico, Arktikugol, ha fatto circolare su Telegram la notizia dell’apertura di un nuovo centro di ricerca scientifica nelle isole Svalbard. Il centro farà parte del progetto “Снежинка” (Snežinka) lanciato nel 2020 a Jamal, nella siberia nord-occidentale, insieme all’Istituto di Fisica e Tecnologia di Mosca. “Avremo una stazione “Snežinka” a Jamal, ci aspettiamo di creare una moderna stazione di ricerca che risolverà problemi simili nelle Svalbard. Speriamo che questo sarà un progetto internazionale”, così ha commentato il ministro dello Sviluppo dell’Estremo Oriente russo Alexej Chekunkov a giugno in un’intervista alla TASS. Il desiderio della cooperazione con i “paesi amici” è stato poi espresso dalla Società geografica russa durante la IV Conferenza Internazionale Scientifica e Pratica “Sicurezza dei confini artici: ecologia, storia, immagini del futuro”, tenutasi a Murmansk il 26 e 27 ottobre. In quest’occasione, il vice direttore di Arktikugol Dmitri Negrutsa ha rivelato che “gli interessi per il centro sono venuti dalle comunità scientifiche dei paesi BRICS, tra cui Cina, Brasile e India, così come Turchia e Tailandia”. La ricerca sarà incentrata su: clima, biologia, geologia, ricerca spaziale geofisica, meteo, ecologia, inquinamento e studi storico-culturali. Va ricordato che Cina e India sono già partner nella comunità scientifica artica Ny-Ålesund, la principale della Norvegia sulle isole Svalbard. Seppur il centro sia esplicitamente rivolto alla ricerca accademica, l’iniziativa russa risulta al Barents Observer come una nuova mossa geopolitica nella regione artica. “La Russia sta cercando di rivitalizzare la sua presenza nelle Svalbard. L’estrazione del carbone è inefficace e costosa e lo Stato russo vede la ricerca come una strada per aumentare la sua presenza nell’arcipelago”, commenta l’esperto di sviluppo della sicurezza artica Andreas Østhagen. Non si esclude che ci sia genuino interesse per la ricerca accademica, ma la possibilità dell’utilizzo delle stazioni di ricerca “per condurre la raccolta di informazioni per i governi stranieri”, a detta di Østhagen, dovrebbe perlomeno mettere in allerta le autorità norvegesi. Si ricorda, infatti, che le relazioni tra la Russia e la Norvegia si trovano a un minimo storico ora che Mosca ha declassato il paese confinante da “ostile” a “molto ostile” per aver condotto “azioni ostili rivolte contro gli uffici di rappresentanza diplomatica e consolari russi all’estero”.
Alla conferenza di Murmansk è stata resa nota la località che ospiterà il nuovo centro, ovvero l’abbandonata città sovietica Pyramiden (“Piramida” in russo). L’arcipelago delle Svalbard è passato sotto piena sovranità norvegese nel 1920 con il Trattato delle Svalbard, con cui veniva concesso a tutti i firmatari, tra cui l’URSS, di svolgere attività commerciali sulle isole e sfruttarne le risorse. Mosca ha acquistato l’insediamento di Pyramiden nel 1927 dagli svedesi con motivo ufficiale l’estrazione del carbone. In realtà, la scelta può considerarsi più strategica che altro. La quantità di carbone presente nel territorio si trova sotto il permafrost del ghiacciaio di Nordenskjøldbree, che fa da sfondo allo stabilimento, in percentuali nettamente minori a quello che può essere ricavato nella Siberia sud-occidentale.
Nel 1934 viene poi acquistata la miniera di carbone di Barentsburg dalla compagnia statale sovietica Arktikugol. Con la caduta dell’URSS, la Russia ha dato sempre meno importanza a Pyramiden, preferendo Barentsburg per la sua collocazione sulla costa occidentale priva di ghiaccio, che rende più efficiente l’estrazione del carbone. La comunità di Pyramiden è stata poi chiusa in definitiva da Arktikugol a seguito di un grave incidente aereo nel 1996, in cui sono morti 141 minatori e le loro famiglie, appartenenti a entrambe le città. Ad oggi, solo circa 40 persone soggiornano a Pyramiden durante i mesi più caldi, principalmente impegnate alla gestione dell’attività turistica e nella manutenzione di edifici e infrastrutture. La città è stata riaperta al turismo dal 2011 e gestito per la maggior parte dalla compagnia GoArctica, fondata da Arktikugol nel 2015. Il turismo è uno dei settori che Mosca vuole privilegiare nell’ex stabilimento sovietico, insieme al nuovo impegno nella ricerca scientifica che coinvolgerà i BRICS.
La Russia ha infatti deciso di ridurre drasticamente la produzione di carbone nella sua area di 251 km² sulle Svalbard entro la fine del 2023. Si stanno cercando ora soluzioni alternative in materia energetica nel Kola Science Centre di Barentsburg, filiale dell’Accademia Russa delle Scienze. Dmitri Negrutsa ha nuovi piani anche per Barentsburg, dove verrà costruita una struttura di servizio navale per la riparazione e manutenzione dei pescherecci. Per via delle sanzioni, i pescherecci da traino russi non possono più servirsi nei cantieri navali norvegesi.
Come menzionato in precedenza, alcuni BRICS sono già operativi nell’Artico, e la Cina in primis avrà una carta in più da giocare per stabilire la sua influenza nell’Artico. Dal 2018, Pechino si dichiara una nazione “vicino all’Artico”, e nell’ultimo periodo ha stretto sempre più la collaborazione con la Russia per quanto riguarda la Northern Sea Route (NSR). Sono stati fatti anche tentativi di investimento con altri paesi artici, quali Danimarca e Canada, che sono stati rifiutati. Allo stesso modo, l’India punta ad investire nella NSR, così come allo sviluppo del corridoio marittimo orientale (EMC), che collegherebbe la Russia alla città portuale indiana di Chennai.
Dei 5 BRICS, solo il Brasile non è firmatario del Trattato delle Svalbard. La nazione sudamericana esporta attrezzature per l’estrazione di petrolio e gas nelle acque artiche, e ha un grande interesse nell’approfondire il suo coinvolgimento nella regione. Per questo, sta lavorando per ratificare il trattato, oltre che richiedere l’adesione al Consiglio Artico.
Per il momento, non molto si sa sulla posizione delle new entry. Arabia Saudita, Egitto ed Argentina sono firmatari del Trattato, ma non si sono ancora espressi sul dibattito artico.