“La politica è tornata, e questo è il problema”, sostiene Rostyslav Šurma, consigliere di Zelens’kyj per la politica economica ed energetica. A due anni dall’inizio dell’invasione riemergono divisioni e ambizioni personali che la riscoperta unità nazionale di fronte al nemico comune sembrava aver sedato. Non la politica in sé, dunque, ma quel tratto che prima del 2022 era stato così caratteristico della politica ucraina. E nell’Ucraina della legge marziale e della (solo in parte conseguente) restrizione del dibattito pubblico, dove il potere politico coincide con il presidente e la sua cerchia, i contrasti non potevano che sorgere tra questo e l’unico altro polo alternativo possibile, ovvero quello militare.
Le divergenze tra Zelens’kyj e l’ormai ex capo di stato maggiore Valerij Zalužnyj hanno dominato i media ucraini e internazionali a partire dallo scorso autunno, quando l’idilliaca unità del presidente in tenuta militare e del suo generale ha iniziato a incrinarsi. Scelto dallo stesso Zelens’kyj nel luglio 2021 quando al crescere delle tensioni con la Russia il presidente sentiva il bisogno di stringere una più forte alleanza con i militari, Zalužnyj, giovane, cresciuto nelle forze armate dell’Ucraina indipendente e sostenitore degli standard NATO, rappresentava una soluzione migliore rispetto al predecessore Ruslan Khomčak, spesso in conflitto con il Ministero della Difesa.
Eppure, a qualche mese dall’invasione russa, quando la minaccia sulla capitale iniziava a dissiparsi, la popolarità e l’indipendenza decisionale del generale iniziarono a destare qualche sospetto sulle sue presunte ambizioni politiche. Che sembrarono confermarsi quando Zalužnyj creò una propria fondazione di beneficenza. L’anno successivo poi, le divergenze di opinioni sulla battaglia di Bakhmut, quando Zalužnyj consigliava la ritirata per evitare inutili perdite umane, mentre Zelens’kyj dichiarava che non avrebbe ceduto neanche un centimetro della città all’invasore. Oltre ai dubbi del generale su una controffensiva tanto sponsorizzata invece dal presidente, che sosteneva (e prometteva) il ritorno ai confini del 1991.
Quando però è diventato chiaro che la controffensiva non avrebbe portato i risultati sperati e occorreva attribuirne la responsabilità, la disputa si è intensificata. Casus belli, l’ormai celebre intervista di Zalužnyj per The Economist in cui il generale dichiarava lo stallo della controffensiva. Mentre Zelens’kyj, appena dipinto dal Time come leader sempre più solo e isolato dalla realtà, ne celebrava i successi sperando di ottenere il supporto finanziario e militare gli alleati. E poi le critiche di Zalužnyj sul licenziamento dei funzionari regionali addetti al reclutamento voluto da Zelens’kyj e le divergenze sulla tanto dibattuta legge sulla mobilitazione, ritenuta necessaria dal generale, ma di cui il potere politico per ovvie ragioni vorrebbe non assumersi la responsabilità. Qualche segnale a Zalužnyj era già arrivato, dalle voci secondo cui l’amministrazione presidenziale stava prendendo contatto diretto con altri generali scavalcando Zalužnyj, alla microspia nel suo ufficio, oppure il pacco-bomba al suo assistente Hennadij Častjakov (attribuito ai russi) e il licenziamento di Viktor Khorenko, capo delle Forze speciali, vicino a Zalužnyj.
Senza tuttavia che gli attacchi più o meno espliciti dell’élite politica scalfissero la sempre crescente popolarità del generale che lo scorso dicembre riscuoteva la fiducia del 94% della popolazione ucraina. Danneggiando forse più le autorità civili e il presidente stesso, i cui consensi – già in calo – nello stesso periodo erano crollati al 77% (dal 90% del maggio 2022). In generale, gli ucraini riconoscono maggiore fiducia alle autorità militari piuttosto che a quelle politiche. È ai militari, innanzitutto, che viene attribuito il successo nel respingere l’aggressore. E il fatto che nelle Forze Armate stiano ora combattendo cittadini comuni contribuisce a rendere i militari “svoji”, “dei nostri”. Ma soprattutto, a renderli “svoji” è il fatto che non siano dei politici, nei confronti dei quali la diffidenza del popolo ucraino ha radici profonde.
Catalizzatore di tanto sostegno popolare, Zalužnyj non poteva che essere percepito come un rischio in via Bankova. Per quanto il generale non avesse espresso esplicite ambizioni politiche (e forse anche per questo ha riscosso tanta fiducia tra gli ucraini). Così, con il nuovo anno sono iniziate a circolare voci su una sua possibile rimozione. Immediatamente smentite dall’amministrazione presidenziale e dal Ministero della Difesa: forse qualche difficoltà nel prendere una decisione oppure un modo per testare la reazione pubblica. Per lo più negativa: secondo i sondaggi il 72% degli ucraini sarebbe stato contrario alle dimissioni di Zalužnyj.
Ciononostante, – o proprio per questo – l’8 febbraio viene annunciata la rimozione di Zalužnyj, nell’ambito di un più ampio rinnovamento della leadership militare, necessario per dare slancio alla controffensiva. Forse mai prima d’ora Zelens’kyj aveva preso una decisione tanto impopolare. Le reazioni si sono confermate negative. All’interno dell’Ucraina, con diverse manifestazioni a favore del generale, ma anche all’esterno, nei Paesi alleati dove diversi commentatori hanno sottolineato i rischi di tale decisione per l’andamento stesso della guerra. Per quanto Kiev abbia probabilmente ricevuto una qualche green light da Washington, dove quella di Zelens’kyj è stata definita una “scelta sovrana”.
In patria, nel disallineamento tra il presidente e il popolo, l’ormai quasi completamente silente (o silenziata) opposizione ucraina ha intravisto un’opportunità e si è schierata immediatamente a favore di Zalužnyj. Il sindaco di Kiev, Vitalij Klyčko ha dichiarato: “Spero che il governo spieghi questi cambiamenti al pubblico (…). In un momento in cui una società unita ha bisogno di autorità di cui si fidi”. Rigirano il coltello nella piaga della calante fiducia nelle autorità politiche le opposizioni, ben consapevoli che cooptare Zalužnyj, unico possibile rivale di Zelens’kyj oggi, rappresenta la loro unica chance. Ben poco margine di manovra rimane infatti a Klyčko con le numerose accuse di corruzione rivolte ai suoi collaboratori e le regolari perquisizioni dei suoi uffici. Per non parlare dell’ex presidente Porošenko, sulla cui testa pende ancora un’indagine per tradimento. Che in ogni caso, sentiti ancora parte della “vecchia politica”, non riscuotono grande fiducia nella popolazione: rispettivamente il 45% e il 31%. Ma non se la passa meglio Oleksyj Arestovych, ex consigliere di Zelens’kyj e ora suo rivale politico, considerato un’opzione in Occidente forse, molto meno in Ucraina (11%), dove la sua proposta di congelare il conflitto non è evidentemente stata apprezzata.
A ispirare più fiducia è Serhij Pritula (61%). Anche lui ex attore e presentatore TV, ha lasciato il partito “Holos” per fondare a inizio febbraio 2022 un nuovo partito “24 Agosto” e dopo l’invasione russa si è distinto nella racconta fondi da destinare alle Forze Armate ucraine.
Ma con un sistema mediatico controllato dallo Stato, emergere nel dibattito politico rimane difficile. Nonostante gli ucraini stiano manifestando sempre più frustrazione nei confronti della Telemarathon, l’unica fonte televisiva di notizie nel Paese, sempre più percepita come propagandistica, in particolare per la lettura troppo ottimistica che è stata fornita della controffensiva. Al punto che molti ucraini preferiscono informarsi su Telegram. Di cui, non a caso, il segretario del Consiglio di sicurezza ucraino, Oleksyj Danilov, ha suggerito il blocco.
Non solo quindi il fallimento della controffensiva, che comunque non viene attribuito ai militari, ma alle pretese dei politici, ma anche una copertura propagandistica dei fatti (non tanto diversa dunque da quella di cui è accusato l’aggressore). Cui si aggiungono gli scandali legati alla corruzione che continuano ad essere parte della politica ucraina e di cui il presidente che aveva fatto della lotta alla corruzione la sua missione deve rendere conto (agli ucraini, ma anche agli alleati occidentali). Oltre al timore per una nuova mobilitazione, in un contesto in cui sempre più frequenti sono gli episodi di persone portate con la forza presso i centri di reclutamento. In questo quadro, la quota di ucraini che ritiene che il Paese stia andando nella giusta direzione è scesa dal 54% a dicembre 2023 al 44% a febbraio 2024.
Sentimenti che si traducono nel calo dei consensi nei confronti della classe politica ritenuta responsabile. Calo che come detto non risparmia neanche Zelens’kyj (che pure mantiene un livello di fiducia alto rispetto ai livelli pre-guerra) che dal 77% di dicembre 2023 è calato al 64% a febbraio 2024. E si ritiene che con il licenziamento di Zalužnyj abbia perso ulteriori quattro punti.
A maggior ragione perché l’eroe della resistenza ucraina è stato sostituito con un generale dalla reputazione piuttosto negativa nell’esercito, ritenuto disposto a subordinare le esigenze militari a quelle politiche, anche a scapito della vita dei suoi soldati. In questo senso, Zelens’kyj avrebbe eliminato un potenziale rivale politico per sostituirlo con un generale che, considerata la sua fama, non sarebbe in grado di sfidarlo politicamente e sarebbe invece disposto ad eseguirne gli ordini. Potenzialmente anche ad assumersi la responsabilità della necessaria mobilitazione.
Oleksandr Syrs’kyj, celebrato da Zelens’kyj per la difesa di Kiev e per la controffensiva di Kharkiv, trae la sua reputazione dalla disfatta di Bakhmut (e ancora prima dalla ritirata di Debal’ceve del 2015). Russo d’origini, cresciuto nelle forze armate sovietiche e ritrovatosi in Ucraina solo a seguito della dissoluzione sovietica, potrebbe non attrarre troppe simpatie nemmeno tra i più nazionalisti, il cui ruolo in Ucraina non è da sottovalutare (come ha appreso anche Zelens’kyj). E con cui Zalužnyj aveva imparato a trattare.
Diametralmente opposti per reputazione, i due non si erano in realtà troppo distinti nelle (poche) dichiarazioni sull’andamento della guerra.
Tant’è che la prima decisione del nuovo comandante in capo è stata rinunciare alla difesa a oltranza (sperimentata a Bakhmut) e annunciare invece il ritiro da Avdiivka il 16 febbraio. Ritiro che era stato sostenuto da Zalužnyj e osteggiato da Zelens’kyj. Che questa volta ha invece appoggiato la decisione del nuovo generale dichiarando che l’obiettivo è stato “salvare i nostri soldati”.
Come a dire: non è solo Zalužnyj ad avere a cuore la vita dei soldati e al contrario, una volta estromesso, secondo un rischio calcolato, torna ad esserci unità tra la leadership politica e quella militare.
Zelens’kyj cerca di recuperare legittimità politica, in un momento in cui questa sembra vacillare. A maggior ragione con l’avvicinarsi della scadenza del suo mandato e considerato che non è chiaro quando nuove elezioni potranno ristabilire tale legittimità. Soprattutto, consapevole di come gli ucraini possono reagire quando non considerano pienamente legittimi i propri leader.
Per certi versi, la situazione viene in aiuto a Zelens’kyj, che non ha mancato di ricordare che un nuovo maidan sarebbe solo un vantaggio per il nemico. E del resto, gli stessi ucraini sembrano condividere l’obiettivo di non fermarsi fino a quando non saranno ristabiliti i confini del 1991, cui Zelens’kyj ha vincolato la sua stessa legittimità politica. Sa di poter contare sulla ben nota resilienza ucraina. Ma la stanchezza nei confronti della guerra inizia a farsi sentire. “Sopporta cosacco e diventerai ataman”, recitava un antico proverbio cosacco. Ma, la Storia insegna, meglio non sfidare la pazienza cosacca