Nell’imminente tornata elettorale non vi saranno veri oppositori in grado di scardinare il sistema di potere edificato da Vladimir Putin. Qualsiasi critica è ormai messa a tacere. Da “Mezzogiorno contro Putin” alle donne di “Put’ Domoj” fino ai picchetti individuali. Dopo Naval’nyj, cosa resta effettivamente del dissenso russo a pochi giorni dal voto?
“Vogliamo che questo momento buio finisca. Vogliamo un futuro sereno e normale. Ma noi, cittadini del nostro paese, con il nostro dolore e la nostra speranza, non siamo visibili né alle autorità né a nessun altro”. Recita così l’incipit dello straziante e soffocato grido di protesta della campagna “Mezzogiorno contro Putin” sull’omonimo sito web. Nato dall’idea dell’ex deputato dell’Assemblea legislativa di San Pietroburgo Maksim L’vovič Reznik, il sito è adesso oscurato in Russia dalla rigida censura del Roskomnadzor.
Una chiamata alle armi, quella di Reznik esule e condannato all’onta dell’epiteto di “agente straniero”, che prevederebbe una sollevazione dal basso su scala nazionale. A mezzogiorno di domenica 17 marzo, l’ultimo giorno di votazioni, “dimostreremo agli altri e a noi stessi che siamo in molti”. Un richiamo echeggiato anche da Aleksej Naval’nyj, che ai primi giorni di febbraio dalla cella di una colonia penale del distretto autonomo di Jamalo-Nenec chiedeva che le proteste si estendessero fino all’ultimo quartiere dell’ultima città della Federazione.
L’attivismo del dissenso russo all’estero non ha precedenti nella Russia post-sovietica. E mentre la vedova di Naval’nyj chiede a gran voce alla platea del Parlamento europeo di non riconoscere i risultati delle votazioni, in molti in Occidente hanno già intravisto in Julija Naval’naja il volto della nuova opposizione russa. Ma la vicenda del marito ci insegna quanto quella frangia di popolazione russa che vive oltre la nuova cortina di ferro spesso possa essere poco influente sui processi interni alla Federazione. “Non ho nessun’altra patria”, lamentava il critico di Putin nell’ormai lontano 2013 sullo sfondo di Piazza Bolotnaja, avendo compreso quanto la sua Russia non sarebbe mai cambiata se fosse rimasto all’estero. Per quanto abbia dimostrato a più riprese di avere l’allure per portare avanti la battaglia del marito, Julija Naval’naja rischia solo di rappresentare l’ennesima immagine del dissidente russo con cui auspichiamo di dialogare. Ma si tratta dell’ennesimo wishful thinking occidentale incapace di comprendere quanto un personaggio come Julija potrebbe non incontrare il favore della maggioranza in patria. Solo uno scossone dall’interno potrebbe oggi modificare radicalmente gli assetti del potere al Cremlino.
Ma con un’opposizione politica non strutturata intorno a figure con un’agenda ben chiara e in grado di raccogliere consensi reali, le possibilità di un cambiamento realistico dall’interno diventano piuttosto risicate. Scomparso Naval’nyj, due personaggi di spicco in grado di far convergere le aspirazioni di una fetta della popolazione come Vladimir Vladimirovič Kara-Murza e Il’ja Valer’evič Jašin sono oggi costretti al confino degli istituti penitenziari. Mentre Jašin sta scontando una pena di otto anni e mezzo in un penitenziario della capitale della Repubblica dell’Udmurtia Iževsk, la presa di posizione di Kara-Murza contro la guerra è arrivata a costargli una severa condanna a venticinque anni di reclusione.
Vladimir Kara-Murza in carcere @ Reuters
L’imminente tornata elettorale non vedrà dunque né veri oppositori né candidati ostili all’”Operazione militare speciale”. Sebbene le possibilità di una vittoria fossero praticamente nulle, la raccolta firme in favore del candidato antiguerra Boris Nadeždin aveva riaperto uno spiraglio di luce nei taciuti ambienti che aspirano ad una Russia diversa. “Non state negando me, ma decine di milioni di persone che sperano nel cambiamento”, ha commentato così Nadeždin la decisione della Commissione centrale elettorale di respingere la propria candidatura. Tagliato fuori dalla corsa presidenziale agli inizi di febbraio, Nadeždin avrebbe quanto meno restituito credibilità alla competitività delle prossime elezioni.
In molti, convinti che il destino delle elezioni sia già scritto con la vittoria di Putin e intimoriti da possibili rappresaglie, non intendono presentarsi alle urne. Chiusa qualsiasi finestra di opportunità di sfidare l’assolutismo putiniano, parte del dissenso potrebbe scaricarsi attraverso la diserzione dei seggi, simbolo dell’insorgere di una certa stanchezza di fronte all’irrigidirsi della verticale del potere.
Ma per raggiungere l’affluenza del 70-80% auspicata dal Cremlino a riconferma della narrazione putiniana sulla fortezza Russia, si è già messa in moto la macchina dei fedelissimi del presidente. Gli iscritti al partito Russia Unita dovranno essere in grado di raccogliere almeno dieci elettori a testa. Per far ciò il partito ha diffuso tra i propri affiliati l’applicazione Geo-SMS, ufficialmente per monitorare l’affluenza generale alle urne. Una volta giunti ai seggi, gli elettori dovranno confermare la propria presenza tramite Geo-SMS, mantenendo la geolocalizzazione attiva. In totale violazione del libero esercizio del diritto di voto e del principio di segretezza del voto, l’applicazione mira principalmente a tenere sotto controllo l’affluenza alle urne dei dipendenti pubblici.
Altro utile strumento ai fini della cooptazione dei dipendenti pubblici e delle grandi aziende è la trovata del voto elettronico a distanza (DEG – Distancionnoe elektronnoe golosovanie). Tra le ventinove regioni comprese nel programma sono state infatti incluse alcune tra le regioni più irrequiete e in cui si protesta più frequentemente, come la remota Oblast’ di Irkutsk, dove dal 24 febbraio 2022 si sono tenute diverse manifestazioni per la pace. Il voto online assicura così non solo il controllo sull’esito delle votazioni, ma funge anche da precauzione in vista di eventuali disordini.
“A favore di chiunque tranne Putin”, così recita la locandina che sta facendo la propria apparizione in diversi centri abitati russi da San Pietroburgo a Togliatti. Di fronte ad una repressione sempre più efferata e spietata, ciò che resta al dissenso russo sono ormai infatti manifestazioni spontanee che provengono dal basso e che, tuttavia, non possono costituire una minaccia sistemica alla macchina del potere costruita da Vladimir Putin negli ultimi venticinque anni.
“A favore di chiunque tranne Putin per vivere pacificamente” @ Vesna Demokrat
Del dissenso interno alla Federazione ormai rimangono gli sporadici picchetti individuali, i manifesti deteriorati dal freddo affissi ai muri delle città da Krasnojarsk a Samara, i graffiti contro le ostilità in Ucraina e i fiori deposti in silenzio sulla Pietra Soloveckij di Mosca dedicata alle vittime della repressione politica sovietica. Rimangono i raduni delle mogli del movimento Put’ domoj (“La strada verso casa”) del sabato a mezzogiorno. Rimane l’impronta di quei russi che ancora hanno la forza di aspirare ad un Paese diverso.
Rimangono le lunghe file di coloro che sono scesi in strada per porgere l’estremo saluto ad Aleksej Naval’nyj sfidando il soffocante clima di repressione. Ma la rotta dell’iniziale atteggiamento di laissez-faire delle autorità russe è già stata invertita. L’iniziale volontà di prendere le distanze dalla responsabilità legata alla morte di Naval’nyj e la necessità di fornire una parvenza di normalità mentre la Federazione si trovava sotto i riflettori del mondo intero hanno già lasciato il posto all’ennesima occasione per reprimere i manifestanti. È già cominciata l’identificazione dei partecipanti al funerale, possibile attraverso il riconoscimento facciale delle telecamere apposte in città.
Un’eventuale contestazione diffusa a mezzogiorno di questa domenica avrebbe dunque un valore più simbolico che effettivo. Ad oggi, in una Russia impegnata in una crociata contro l’Occidente, non riescono ad attecchire voci o movimenti organizzati in grado di offrire una visione diversa per il futuro del Paese. Ma non mollare la presa, seppur simbolicamente, serve a mantenere le élite al potere sul chi vive. Un atto di protesta a mezzogiorno di domenica alle urne nonostante l’esito già scritto significa ribadire che esiste e resiste, seppur circoscritto, un retroterra disposto al cambiamento. Anche se i tempi non sono maturi per una rivoluzione e, probabilmente, non lo saranno ancora per molto.