Le elezioni presidenziali in Russia sembrano un affare scontato. Tuttavia, dopo l’ennesimo pacchetto di sanzioni UE, viene spontaneo chiedersi se la campagna militare in Ucraina e l’evoluzione dell’economia russa influenzeranno le decisioni degli elettori. I sondaggi rivelano un quadro positivo per Vladimir Putin, ma la situazione potrebbe nascondere alcune complessità per il regime.
L’esito delle elezioni presidenziali in Russia è dato dalla maggioranza pressoché per scontato. Mentre Vladimir Putin si prepara, secondo i più, ad assumere ancora una volta il comando della Federazione, l’Occidente si interroga se il conflitto in Ucraina e le sanzioni che ne sono seguite possano influenzare il comportamento dei russi alle urne. I dati raccolta finora dal Levada Center parlano chiaro – ma forniscono anche qualche indizio su come le cose potrebbero cambiare.
Un sondaggio condotto dalla ONG russa lo scorso novembre in preparazione al voto di marzo mostra infatti un diffuso sostegno alla candidatura di Putin (che, al tempo, non era ancora stata annunciata): il 78% accoglie con positività una sua eventuale rielezione. Contestualmente, altri due lavori svolti dal Levada Center mostrano che il 74% dei russi sostiene le operazioni militari dell’esercito russo in Ucraina, e che una crescente percentuale della popolazione guarda con serenità sia al proprio futuro sia a quello del Paese. Il consenso per la figura di Putin, intanto, ha raggiunto l’86% nel mese di febbraio 2024.
Tuttavia, questi dati si inseriscono in un contesto in cui, nel mese di novembre 2023, solo la metà dei russi è a conoscenza di quando si terranno le presidenziali e in cui due terzi si dichiarano intenzionati a votare. Più della metà di quel 20% che sicuramente o probabilmente non si presenterà alle urne giustifica la propria scelta affermando di non fidarsi del sistema, spiegando come l’esito del voto sia già deciso oppure lamentando il fatto di non aver individuato un candidato a cui dare il proprio supporto. In questa cornice si inserisce anche un 12% di indecisi.
Allo stesso tempo, nonostante la maggioranza pensi che il proprio Paese goda attualmente di un vantaggio sul campo in Ucraina, il 57% dei russi riconosce la necessità di avviare trattative di pace, contro un 36% che invece porterebbe avanti le operazioni militari. Il primo dato è assolutamente interessante, dal momento che, secondo quanto riportato dal Levada Center, livelli simili di supporto per l’avvio di eventuali negoziati di pace si erano registrati solo nell’ottobre 2022, a seguito della mobilitazione parziale annunciata da Putin nel settembre dello stesso anno, che aveva scatenato un’ondata di panico tra la popolazione. Nel dicembre 2023, in occasione della messa in onda di Linea diretta con Vladimir Putin a seguito della conferenza di stampa di fine anno, il 21% avrebbe voluto chiedere al presidente russo, che durante il programma televisivo risponde alle domande inviate dai cittadini, quando l’“Operazione militare speciale” in Ucraina si sarebbe conclusa. La società russa appare infatti fortemente divisa nei propri sentimenti riguardo alla guerra, che è in grado di scatenare ansia nel 32% e orgoglio per la patria nel 45% dei russi.
A ciò si aggiunge una preoccupazione – per ora quasi di sottofondo – per la qualità della vita. Nel dicembre del 2023, infatti, il 16% dei cittadini avrebbe voluto chiedere a Putin maggiori informazioni sullo stato delle pensioni e della spesa sociale. Inoltre, i russi meno abbienti sostengono con maggiore frequenza che le elezioni di quest’anno non saranno eque. I dati raccolti dal Levada Center mostrano una correlazione tra le autovalutazioni dei cittadini riguardo la propria situazione economica e l’orientamento politico – chi supporta l’attuale regime riporta livelli di soddisfazione più alti o non nota alcun cambiamento nel proprio stile di vita; viceversa, chi è più critico dell’attuale politica russa lamenta minori capacità di adattamento. Infine, nonostante il 57% e il 55% dei russi guardi con serenità rispettivamente al proprio futuro e a quello del Paese, il 41% e il 40% restano turbati dall’avvenire. Il Consumer Sentiment Index (CSI) sviluppato dalla stessa ONG russa conferma questa spaccatura nella percezione dell’economia da parte dei cittadini, i quali mostrano di avere per la maggior parte un’opinione negativa sul futuro. Allo stesso tempo, l’indice è in crescita dall’aprile 2022 – sembra quindi che la guerra e le sanzioni non abbiano scalfito l’umore dei consumatori russi, anzi.
Come spesso accade quando dall’Occidente ci si affaccia sulla politica e sulla società russa, l’immagine che ci viene restituita è sfumata e per certi versi contradditoria. Non resta quindi che provare a fare chiarezza. Una prima considerazione da fare è che è molto poco probabile che questioni legate alla guerra o all’economia capovolgeranno i risultati di queste presidenziali, considerato anche l’attuale livello di repressione del dissenso. È un dato forse scoraggiante per tutti coloro che a ovest del continente o al di là dell’Atlantico speravano che le sanzioni avrebbero smantellato la macchina da guerra russa e indotto al ribaltamento dell’attuale assetto politico. Tuttavia, a scapito di istanze più disfattiste, gli eventi del febbraio 2022 e la successiva risposta occidentale potrebbero aver dato inizio a processi interni di cui vedremo i risultati sul medio e lungo termine, ma di cui abbiamo già alcuni indizi.
Queste elezioni rivestono un significato particolare per Vladimir Putin – non tanto per il risultato, quanto per la possibilità di legittimare a livello popolare la guerra in Ucraina e la presenza russa nei territori annessi, oltre che a stabilizzare l’umore delle élite mostrando di mantenere dopo più di vent’anni un elevato consenso tra i cittadini. A questo scopo il presidente russo ha lavorato molto affinché la guerra non entrasse nella vita di tutti i giorni nei cittadini russi, specialmente nelle grandi città come Mosca o San Pietroburgo – dove il rischio di dover fronteggiare accese proteste è più alto. Allo stesso tempo, però, alcuni esperti sottolineano come in questo momento la necessità di mantenere un’opinione pubblica favorevole al Cremlino potrebbe portare a una situazione in cui la guerra non è più strumento del regime, ma il regime è uno strumento della guerra.
Nonostante la spesa militare da record approvata a novembre, durante la campagna elettorale Putin ha promesso di destinare l’equivalente di 126,5 miliardi di dollari all’assistenza sociale, al rinnovamento delle infrastrutture e al settore industriale e tecnologico. Il finanziamento di questo programma richiederà probabilmente un aumento delle imposizioni fiscali. In generale, l’approccio di Mosca, basato su un aumento della spesa pubblica a sua volta finanziata dalla crescita della domanda interna, può essere sostenuto solamente da un’economia di guerra – diminuire la spesa militare stravolgerebbe l’attuale funzionamento del sistema. Allo stesso tempo questo modello, considerate le caratteristiche dell’economia russa, potrebbe portare a condizioni sfavorevoli alla crescita della produttività e agli investimenti, e ad aumentare il carico sulle spalle dei cittadini. Ed è qua, forse, che il Cremlino rimarrebbe ingarbugliato nel dover spiegare ai russi, il cui consenso è cruciale per la stabilità del regime, perché dovrebbero allocare crescenti risorse a una guerra che teoricamente non avrebbe dovuto avere alcun impatto sulla loro quotidianità. Questo sforzo sarà reso più difficile, forse, da un contesto in cui alcuni servizi pubblici saranno ridimensionati – il ministero della Difesa britannico ha riportato a gennaio che il settore della sanità stava già iniziando ad accusare i primi colpi.
Il verificarsi di una situazione di questo tipo – se accadrà – richiederà comunque tempo. Per ora, Putin potrebbe scommettere sulle tornate elettorali di quest’anno in Occidente, e sperare che un Parlamento Europeo più populista e l’ingresso di Trump alla Casa Bianca diano all’economia russa e alla campagna militare in Ucraina un più ampio margine di manovra, spegnendo eventuali preoccupazioni riguardo l’evoluzione dell’opinione pubblica.