Il mandato del presidente ucraino è scaduto lo scorso 20 maggio, e Mosca ne ha subito approfittato per mettere in dubbio la legittimità del suo potere e porre nuovi paletti alle trattative. Ma il vero problema di Zelens’kyj non è la legalità del suo operato, bensì la sua sostenibilità politica.
In questi due anni e mezzo di guerra in Ucraina, uno dei giochetti più praticati e stucchevoli è stato quello del “sono favorevole ai negoziati, peccato che…”. L’ultimo “peccato che” è scattato il 20 maggio, quando è scaduto il mandato presidenziale di Volodymyr Zelens’kyj. Vladimir Putin, durante la visita di Stato in Cina, ha precisato che “il problema della legittimità di Zelens’kyj dev’essere risolto dal sistema istituzionale ucraino” ma ha aggiunto che “questa situazione interessa alla Russia perché accordi importanti si possono fare solo con poteri legittimi”. Appunto: peccato che…
Resta però il fatto che, dal 20 maggio, l’Ucraina si trova in una situazione oggettivamente particolare. Il 20 maggio è scaduto il mandato del presidente e prima ancora, nell’ottobre 2023, era scaduto quello del Parlamento. Né l’uno né l’altro sono stati rinnovati: era impossibile organizzare, nel Paese devastato dalla guerra, in parte occupato dai russi, con milioni di profughi interni e di rifugiati all’estero, elezioni degne di tal nome. E tutti i più recenti sondaggi hanno mostrato che a grande maggioranza gli ucraini concordano con tale posizione, più volte espressa dallo stesso Zelens’kyj: secondo un sondaggio dell’Istituto internazionale di Sociologia di Kiev, addirittura nella misura dell’81%. Di fatto, i massimi organismi istituzionali del Paese vivono ora in uno stato di sospensione. Tutto questo li rende illegittimi?La risposta è no. L’articolo 106 della Costituzione ucraina spiega in modo molto chiaro, e per 31 punti, che le prerogative maggiori del capo dello Stato riguardano la politica estera e la politica di difesa e che tocca a lui, in caso di necessità, su proposta del Consiglio di sicurezza e previa un voto di conferma del Parlamento, promulgare la legge marziale. E la legge marziale, la n.389-VIII approvata il 12 maggio del 2015 ai tempi della presidenza di Petro Poroshenko, stabilisce chiaramente (articolo 10) che “mentre è in vigore la legge marziale non possono essere revocati i poteri del presidente dell’Ucraina, della Verkhovna Rada (Parlamento, n.d.r.) ucraina, del Gabinetto dei Ministri dell’Ucraina, della Banca Nazionale dell’Ucraina, del Commissario per i diritti umani della Verkhovna Rada ucraina, dei tribunali, delle procure, degli organi che svolgono attività operative e investigative eindagini preliminari, e delle agenzie di intelligence e delle agenzie le cui divisioni svolgono attività di controspionaggio”. Non vi può quindi essere dubbio alcuno sulla legittimità della permanenza al potere sia del Parlamento sia dell’attuale presidente ucraino. E, come vediamo dal testo della legge, anche delle altre figure essenziali per il funzionamento dello Stato.Per tornare a votare, sia per il Parlamento sia per il presidente, bisognerà aspettare che la legge marziale non sia più in vigore. E qui il discorso, da tecnico, si fa politico. Nella storia dell’Ucraina indipendente, la legge marziale è stata proclamata solo due volte. Il 26 novembre del 2018, per la durata di 30 giorni e sul territorio di 10 regioni (l’Ucraina suddivide il proprio territorio in 24 regioni, due città metropolitane che sono Kiev e Sebastopoli e la regione autonoma di Crimea), su decreto del presidente Poroshenko, in una delle fasi calde del conflitto con la Russia nel Donbass. E poi il 24 febbraio del 2022, il giorno stesso dell’invasione russa, con un decreto del presidente Zelens’kyj che è poi stato reiterato fino a oggi ogni novanta giorni.
La legge marziale, giustificata dall’aggressione del Cremlino e dalla necessità di difendere il Paese, è però a sua volta caduta su una situazione che già era particolare. Ci sono pochissimi Paesi al mondo in cui il partito del presidente gode anche della maggioranza assoluta in Parlamento. Il che ha messo nelle mani di Zeles’kyj un potere quasi assoluto. Ottenuto per via perfettamente democratica, fatto importante. Ma che non cambia la sostanza. Tale potere si è poi molto ampliato con la proclamazione della legge marziale. Questa stabilisce che la “gestione” del regime di legge marziale sia affidata in primo luogo al comandante in capo delle forze armate (che viene nominato dal presidente della Repubblica, vedi Costituzione, art. 106 comma 17); e che lo stesso presidente abbia il diritto di costituire delle “amministrazioni militari” nelle regioni e nei comuni dove questo si rende necessario. Amministrazioni militari che, com’è ovvio, prendono il posto, per le funzioni essenziali, di quelle civili.
Questo è proprio ciò che è successo in Ucraina, con una conseguenza non secondaria. Eleggendo Zelens’kyj e poi premiando in modo massiccio il suo partito Servo del popolo, gli ucraini avevano fatto una scelta precisa. Un’altra scelta altrettanto precisa, al momento di votare per le amministrazioni locali, la fecero l’anno dopo ma di segno opposto: in tutta l’Ucraina, in quasi tutte i comuni e le regioni, da Nord a Sud, da Est a Ovest, Servo del popolo fu sonoramente sconfitto. Anche nella capitale Kiev. Con la formazione delle amministrazioni militari, Zelens’kyj è riuscito a neutralizzare quella forma di opposizione interna che si era fatta sentire in diverse fasi della sua presidenza pre-guerra, per esempio durante la lunga stagione del Covid. Dove questo non è bastato, sono arrivati gli altri poteri offerti dalla legge marziale: in nome della lotta contro i corrotti e le spie, decine di funzionari locali sono stati rimossi quando non arrestati, con l’ovvia conseguenza di mettere al loro posto funzionari di sicura fede zelenskiana.
Non sono pochi quelli che si domandano se domani, finita la guerra, l’ex attore diventato politico sarà disposto, novello Cincinnato, a deporre l’enorme potere accumulato in circostanze tanto difficili. Il siluramento del generale Valentin Zaluzhny, già comandante in capo delle forze armate ucraine, in questo senso non è stato un bell’episodio: è sembrato dovuto più a una rivalità politica che a questioni militari, soprattutto perché il successore di Zaluzhny, il generale Syrsky, ha poi detto e fatto esattamente le cose che Zaluzhny proponeva di fare. E c’è già qualcuno che si domanda se l’indisponibilità di Zelens’kyj a qualunque forma di negoziato che non preveda la resa della Russia (si veda il suo famoso “piano di pace”) non sia anche dovuta alla riluttanza a mettere in discussione proprio quel grande potere.
Ma la vera questione, oggi, riguarda la sorte del Paese. In una Ucraina in guerra tutto verrà prima o poi giudicato alla luce dei risultati ottenuti, in altre parole alla luce della vittoria o della sconfitta. Siamo convinti da sempre che questa guerra non avrà vincitori, ma c’è modo e modo di non perdere. Se fosse drammatico, la situazione di sospensione istituzionale che abbiamo prima descritto diventerebbe un’aggravante nella distribuzione delle responsabilità. E il calo di popolarità che tutti i sondaggi hanno registrato nei confronti di Zelens’kyj potrebbe essere solo la prima avvisaglia.
Fulvio Scaglione