Le prospettive e gli obiettivi dei nuovi attacchi russi nel nord-est dell’Ucraina, mentre questa è alle prese con le altalenanti forniture occidentali. Le ipotesi di trattative e la possibile svolta degli F-16. A Kiev però c’è sempre meno tempo per discutere.
Kharkiv, la seconda città più grande dell’Ucraina, è nuovamente sotto attacco. Trovandosi a soli 20 km dal confine russo, la città aveva già visto, a inizio dell’invasione, l’arrivo delle truppe di Mosca, che si erano spinte fino alle sue porte. Da allora, ampie aree dell’omonimo Oblast sono state riconquistate dall’esercito ucraino, ma nelle ultime settimane la regione è di nuovo in allarme: il 10 maggio l’esercito russo ha ripreso una pesante offensiva di terra, cogliendo Kiev di sorpresa. I soldati di Mosca hanno conquistato diversi villaggi limitrofi (guadagnando più di 75 chilometri quadrati di territorio), con la conseguente evacuazione di circa 11.000 abitanti.
Negli ultimi giorni, l’offensiva su Kharkiv si è intensificata notevolmente: nel giro di una settimana, si sono susseguiti due attacchi ravvicinati che hanno coinvolto obiettivi civili. Giovedì 23 maggio i missili russi hanno colpito la tipografia Vivat, causando la morte di sette persone; sabato 25, invece, l’esercito russo ha bombardato un centro commerciale, uccidendo sedici persone e ferendone alcune decine.
L’accanimento su Kharkiv non è casuale. Oltre ad essere una grande città a ridosso del confine, Kharkiv è sede di importanti industrie, tra cui spiccano quelle militari; l’attacco sferrato da Mosca su una delle città più strategicamente – e storicamente – rilevanti per il Paese ha comportato un immediato dispiegamento di forze ucraine nella regione. Ciò ha inevitabilmente instillato il dubbio, negli osservatori occidentali, che la mossa del Cremlino fosse quella di dare il via ad un attacco diversivo, che impegnasse l’esercito ucraino su fronti diversi dal principale (quello di Donetsk).
Questa ipotesi sembra aver trovato riscontro in alcune dichiarazioni del presidente Zelens’kyj, il quale ha affermato, in seguito all’attacco del 25 maggio, che la Russia si sta preparando a lanciare azioni offensive a 90 km a nord-ovest di Kharkiv, ed è in procinto di radunare un altro gruppo di truppe vicino al confine. Sebbene non si conosca ancora il luogo di questo raduno, pare che possa trattarsi dell’area di Grayvoron-Borisovka-Proletarskiy, nell’Oblast occidentale di Belgorod. Questa zona permetterebbe all’esercito russo di lanciare operazioni offensive in due diverse direzioni: a sud, verso Zolochiv e Bohodukhiv (due città ucraine a nord-ovest di Kharkiv), e a ovest, verso gli insediamenti lungo l’autostrada P-45 che collega Bohodukhiv alla città di Sumy.
Secondo Andrei Demchenko, rappresentante del servizio di frontiera ucraino, l’Oblast di Sumy, così come come le aree dell’Oblast di Kharkiv ad esso confinanti, potrebbe essere il target di operazioni offensive da parte dell’esercito russo: ciò avrebbe lo scopo di attirare – e fissare – le truppe di Kiev lungo l’ampia zona di confine internazionale dell’Ucraina nord-orientale. In quest’area, le forze russe – e, nello specifico, il Raggruppamento delle Forze Settentrionali, composto da circa 30.000 unità – pare si stiano riunendo proprio per lanciare potenziali azioni offensive lungo l’asse Sumy-Kharkiv.
Nel frattempo, a nord dell’Oblast di Kharkiv si stanno susseguendo alcuni combattimenti “posizionali”: il 26 maggio le forze ucraine hanno riconquistato le posizioni nei pressi di Lyptsi (cittadina a nord di Kharkiv), respingendo l’esercito russo in direzione di Strilecha-Hlyboke. Una piccola vittoria, dunque, ma le truppe iniziano a dare segni di cedimento: le perdite, unite all’allungamento del fronte, stanno mettendo a dura prova la resistenza ucraina.
Del resto, la situazione sta diventando sempre più complessa. Se, da un lato, l’esercito di Kiev deve fare i conti con armi e munizioni che, a causa delle restrizioni, arrivano a poco a poco (questione per cui il presidente Zelens’kyj non nasconde la propria frustrazione), dall’altro lato è ormai chiaro che l’economia russa sia prevalentemente orientata a sostenere lo sforzo bellico. La nomina dell’economista Andrej Belousov a ministro della Difesa pare confermare, agli occhi di alcuni analisti militari e politici occidentali, l’ipotesi che la Russia voglia adattare la propria economia ad un conflitto di lungo periodo. Nel frattempo, è stato reso noto che l’industria della difesa russa abbia intenzione di produrre, nel 2024, un numero di proiettili d’artiglieria tre volte superiore a quello prodotto dall’Occidente: 4,5 milioni rispetto a 1,3 milioni prodotti collettivamente da Stati Uniti e Paesi europei. A questi si aggiungerebbero le munizioni fornite dalla Corea del Nord, già responsabile dell’importazione, da parte di Mosca, di 1,5 milioni di munizioni. Sebbene in generale la qualità dei proiettili russi sia ritenuta – sia da certi analisti occidentali che da alcuni militari russi – discutibile (le munizioni sarebbero prevalentemente obsolete o in cattive condizioni), il differenziale numerico rimane notevole.
Mosca, dunque, continua a sparare. Eppure, il portavoce di Putin Dmitrij Peskov in una recente dichiarazione ha affermato che il Paese non vuole la “guerra eterna”: sarebbe proprio per questo che Putin avrebbe recentemente ventilato, nel corso di una conferenza stampa in Bielorussia, l’idea di un cessate il fuoco. Secondo il presidente russo, i negoziati dovrebbero basarsi sulle “realtà sul campo”: in altre parole, l’Ucraina dovrebbe accettare l’annessione permanente alla Russia delle quattro regioni sudorientali del Paese (Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson).
Zelens’kyj, ovviamente, ha respinto le condizioni di Putin: secondo il presidente ucraino – che nel 2022 aveva firmato un decreto in cui dichiarava formalmente “impossibili” i colloqui con la controparte russa – l’integrità territoriale dell’Ucraina non può essere oggetto di negoziati. Ad ogni modo, l’ipotesi di un cessate il fuoco da parte di Putin non sembra essere stata presa particolarmente sul serio dall’establishment ucraino: il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba ha infatti sostenuto che, con le sue dichiarazioni, il leader russo voglia far fallire il vertice di pace previsto in Svizzera il mese prossimo. Questo vertice – cui i funzionari russi non sono stati invitati – vedrà la partecipazione di circa 70 Paesi e si concentrerà sulla formula per garantire all’Ucraina “una pace giusta e duratura”. Tuttavia, in attesa che ciò avvenga – e in assenza di un cessate il fuoco – la Russia non solo non mollerà la presa sui territori conquistati, ma, secondo alcune fonti russe vicine al governo, tenterà di spingersi ben oltre, aumentando la pressione sull’Ucraina fino a quando Zelens’kyj non proporrà un accordo favorevole alla Russia.
Questo scenario, al momento, non sembra essere contemplato. Sebbene la pesante offensiva su Kharkiv abbia fiaccato non poco il morale delle truppe e della popolazione ucraina – si tratta di posizioni perse, riconquistate e ora di nuovo perse – il Paese conta sull’appoggio dell’Occidente. Che però, intanto, è alle prese con il dilemma dell’utilizzo delle armi. Dall’inizio della guerra, infatti, gli alleati di Kiev hanno richiesto che le loro armi non venissero utilizzate dall’Ucraina per colpire il territorio russo, temendo un allargamento del conflitto nel resto d’Europa. In questi giorni, però, il Segretario generale della NATO Stoltenberg ha dichiarato che questa restrizione andrebbe riconsiderata: ciò permetterebbe alle forze armate ucraine di combattere senza quella che ha definito “una mano legata dietro la schiena”. A fare presto eco alle affermazioni di Stoltenberg, naturalmente, è stato Zelens’kyj, che il 28 maggio ha ribadito la necessità per il suo Paese di rispondere in maniera adeguata agli attacchi russi.
I Paesi alleati tentennano, divisi tra quelli che temono un’escalation del conflitto e quelli che, invece, sostengono che l’Ucraina abbia bisogno di tutta la potenza di fuoco possibile per respingere la Russia. Tale potenza di fuoco sarebbe garantita non solo dall’impiego di missili Storm Shadow e ATACMS (già in dotazione all’esercito ucraino), ma soprattutto dagli F-16: questi caccia supersonici – che Kiev attende da quasi due anni – permetterebbero all’Ucraina di livellare le forze in campo. Il problema, come sempre, sono le tempistiche: oltre alla lentezza della consegna, infatti, questi aerei presuppongono l’addestramento dei relativi piloti – un processo che, al fine di garantire l’adeguato apprendimento delle procedure, richiede tempo. E di tempo l’Ucraina ne ha sempre meno.
Isabella Chiara