Storia e obiettivi dell’intesa tra Mosca e Pechino, che hanno bruciato le tappe per mandare un segnale all’Occidente. Difficilmente, tuttavia, uno dei due Paesi scenderebbe in guerra per difendere l’altro.
Tra il 10 e il 16 settembre la Marina russa si è impegnata nell’esercitazione strategica di comando e controllo “Ocean 2024”, svoltasi nelle acque del Pacifico e dell’Artico, nel Mar Mediterraneo, nel Mar Caspio e nel Mar Baltico. L’esercitazione, guidata dall’ammiraglio Aleksandr Moiseyev, aveva come obiettivi principali la verifica della prontezza della Marina e delle forze aeree e spaziali russe nel comando e controllo di diversi task group, la risoluzione di compiti operativi non standard, l’utilizzo di armi di precisione e, infine, l’espansione dell’interazione con le forze navali dei Paesi partner. Un punto, quest’ultimo, che è stato ben presto concretizzato con la partecipazione della Cina. Le forze russe sono state raggiunte, infatti, da quindici aerei e quattro unità navali della Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione: l’incrociatore CNS Wuxy, il cacciatorpediniere CNS Xining, la fregata CNS Linyi e la petroliera Taihu.
Da parte sua, Mosca non si è risparmiata. Alla vigilia dell’esercitazione, gli annunci diffusi dal Ministero della Difesa russo ventilavano la partecipazione di più di 400 navi da guerra, sottomarini e navi di supporto, oltre 120 aerei e più di 90.000 militari. Numeri che l’avrebbero qualificata come la prima grande esercitazione navale russa dai tempi della Guerra Fredda – non a caso il nome dell’esercitazione, “Ocean” (Okean in russo), fa riferimento alle grandi manovre condotte su larga scala dalla Marina sovietica negli anni antecedenti al crollo dell’URSS.
Una corvetta di classe Bujan (Flottiglia del Caspio). Fonte: Ministero della Difesa russo.
Sebbene le cifre in questione abbiano sollevato più di qualche dubbio (secondo le stime, la Marina russa dispone di circa 300 navi di tutte le classi e tipi, e il numero delle unità operative è sempre più ridotto), con questa esercitazione Mosca ha lanciato un chiaro messaggio: non solo ha le capacità perrispondere ad eventuali minacce alla propria sicurezza, ma può contare anche sull’aiuto di “Stati amici”, come, appunto, la Cina. Destinatari di questo messaggio sono, ovviamente, gli Stati Uniti, accusati da Putin di aumentare assieme ai loro alleati regionali la presenza militare vicino ai confini occidentali della Russia, nell’Artico e nella regione Asia-Pacifico – il tutto, secondo il presidente russo, “con il pretesto di contrastare la presunta minaccia russa e di contenere la Repubblica Popolare Cinese”. In questo contesto, dunque, la collaborazione – nel corso di un’esercitazione così significativa – fra i due principali antagonisti di Washington non sorprende affatto. Ma, del resto, azioni simili non rappresentano certo una novità. I legami militari tra Russia e Cina risalgono infatti alla metà del Novecento, e la loro natura è alquanto articolata; essi si fondano su una triade costituita dalla fornitura di aiuti militari, la vendita di armi e, appunto, le esercitazioni congiunte.
Sono in particolare i primi due elementi ad affondare le proprie radici nella storia. I primi aiuti militari tra i due Paesi risalgono al 1950, quando la Cina, impegnata nella guerra di Corea, si è rivolta all’Unione Sovietica per ricevere supporto militare. Accolta la richiesta, Mosca ha fornito alla Cina l’equivalente di 1,5-2 miliardi di dollari in assistenza ed equipaggiamento (costituito da circa 700 caccia MiG-15 e 150 bombardieri leggeri Tu-2). Inoltre, sebbene non sia mai arrivata al punto di inviare alla neonata Repubblica Popolare armi nucleari, l’Unione Sovietica ha sostenuto lo sviluppo nucleare cinese tramite la formazione di scienziati locali, l’assistenza nella progettazione e produzione delle testate, nonché il supporto nei processi di arricchimento dell’uranio e di riprocessamento del plutonio. Sempre incoraggiata da Mosca, la Cina ha iniziato ben presto a produrre armi “indigene”, come il J-4, il primo aereo da combattimento cinese creato nel 1956 sul modello del MiG-17 sovietico.
Nel 1960, differenze ideologiche e politiche hanno portato all’interruzione dei rapporti fra i due Paesi, che si riavvicineranno solo nel 1989. Fattore chiave, nel rafforzamento dei legami politici fra le parti, è stato il secondo elemento della triade, ovvero la vendita di armi. Se, da una parte, l’Unione Sovietica è stata uno dei pochi Paesi produttori di armi disposti a fare affari con Pechino dopo la sanguinosa repressione di Piazza Tienanmen, dall’altro lato la Cina, con la vendita delle proprie armi, ha alleviato gli stenti dell’industria della difesa russa dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Negli anni Novanta e nei primi Duemila la vendita di armi fra i due Paesi si è intensificata notevolmente. Destinataria di gran parte delle importazioni è stata la Cina: secondo alcune stime dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), tra il 1990 e il 2005 più dell’83% delle importazioni cinesi di armi proveniva proprio dalla Russia. Oltre a circa 270 caccia Su-27 e Su-30, migliaia di missili e diversi sistemi missilistici terra-aria, Pechino ha richiesto a Mosca l’invio di otto sottomarini diesel di classe Kilo e quattro cacciatorpediniere di classe Sovremenny, cruciali per la marina cinese in seguito alla crisi dello Stretto di Taiwan.
Il nuovo afflusso di importanti sistemi d’arma russi ha consentito a Pechino di colmare alcune gravi lacune di modernizzazione dell’Esercito Popolare di Liberazione, stimolando, al contempo, lo sviluppo dell’industria della Difesa cinese. Quest’ultimo aspetto ha portato, com’è ovvio, ad una drastica diminuzione delle importazioni russe, non più necessarie come un tempo. Anche perché Pechino, con grande disappunto di Mosca, nel corso degli anni si è resa protagonista di numerosi furti di tecnologia e di proprietà intellettuale militare russa tramite spionaggio e attacchi informatici, prendendo di mira soprattutto le tecnologie aerospaziali. Oltre a ciò, è emerso che la Cina ha frequentemente violato gli accordi con i fornitori di armi russi, copiando illegalmente l’equipaggiamento militare della controparte: secondo Rostec – il colosso industriale dell’Aerospazio e Difesa russo – tra il 2002 e il 2019 la Cina avrebbe realizzato 500 copie non autorizzate delle sue attrezzature militari (tra queste, motori per aerei, sistemi di difesa aerea, jet navali, missili, e aerei Sukhoi).
Ça va sans dire, la Russia ha iniziato a guardare la Cina con sospetto. I rapporti tuttavia non sono stati interrotti, anche perché, in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, la situazione ha subito un notevole rivolgimento. Oltre al crollo delle proprie esportazioni di armi dovute alle sanzioni occidentali, Mosca ha subito ingenti spese per l’industria della Difesa: per farvi fronte, pare che si stia affidando sempre di più alla massiccia capacità produttiva cinese. Secondo i dati dell’Ufficio del DNI (Director of National Intelligence) statunitense, numerose aziende statali cinesi sarebbero coinvolte nella spedizione di attrezzatura e componenti tecnologiche (come droni, semiconduttori e tecnologie per il jamming) verso le controparti russe. Questa nuova tendenza sembrerebbe assumere le sembianze di una vera e propria dipendenza dalla Cina, con tutto ciò che ne consegue – nello specifico, l’aumento del potere contrattuale cinese per l’acquisto di alcune tecnologie militari russe. I due Paesi, insomma, appaiono più legati che mai, almeno dal punto di vista militare; a corroborare ulteriormente questo rapporto, infine, contribuisce il terzo ed ultimo elemento della triade, ovvero le esercitazioni militari congiunte.
Diversamente dagli aiuti militari e dall’invio di armi, che hanno segnato – tra alti e bassi – la storia dei legami tra i due Paesi, le esercitazioni militari sono un elemento relativamente recente: la prima di queste manovre risale al 2003, anno in cui la Russia ha preso parte alla “Coalition 2003”, una serie di esercitazioni antiterrorismo che riuniva circa 1300 soldati provenienti, oltre che dalla Russia e dalla Cina, da tre repubbliche centroasiatiche (Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan). A livello bilaterale, invece, i due Paesi hanno svolto la prima esercitazione congiunta due anni più tardi, con la “Peace Mission 2005”: iniziata a Vladivostok e proseguita nella penisola di Shandong, l’esercitazione ha visto il coinvolgimento, in operazioni sia terrestri che anfibie, di circa 10.000 soldati (8000 cinesi e 2000 russi).
Il progressivo rafforzamento dei legami fra Mosca e Pechino è andato di pari passo con l’incremento del numero – e tipologia – di esercitazioni. Secondo i dati del Center for Strategic and International Studies (CSIS), Cina e Russia hanno partecipato, fino a luglio 2024, ad almeno 102 esercitazioni militari congiunte, il cui teatro operativo si è progressivamente esteso: se le prime si svolgevano prevalentemente sui terreni montuosi dell’Asia centrale, le più recenti – come “Ocean 2024” – sono state di tipo navale, impegnando i due Paesi in svariati punti del ben più esteso dominio marittimo. La prima di queste manovre navali congiunte – “Peace Shield 2009” – si è tenuta nelle acque del Golfo di Aden; altra importante operazione di questo tipo è stata “Joint Sea 2016”, un’esercitazione navale che simulava la conquista di alcune isole nel Mar Cinese Meridionale.
Esercitazione congiunta antiterrorismo tenuta nel 2019 a Novosibirsk. Fonte: cnsphoto.
“Ocean 2024” rappresenta uno degli ultimi esempi di questo tipo di operazione, ma, data la crescente complessità dell’arena internazionale in cui si è svolta, e avendo chiaro il contesto delle relazioni militari sino-russe, merita qualche riflessione più approfondita. La “teatralità” di questa esercitazione – esemplificata dal nome riecheggiante fasti passati, nonché dal numero di forze dispiegate – è stata intesa, come già accennato, come un messaggio rivolto agli Stati Uniti. Elemento chiave del messaggio è, beninteso, l’esplicita cooperazione militare tra Pechino e Mosca (tutt’altro che recente, come si è visto), ma a questo proposito è bene precisare che la profondità del suddetto legame è discutibile. Come affermato dal Generale Kevin B. Schneider, Comandante delle Pacific Air Forces, sarebbe più opportuno parlare di “partnership di convenienza”, dato che le relazioni fra Cina e Russia non sono alla pari con quelle che intercorrono tra Washington e i suoi alleati regionali nel Pacifico o con la NATO. Quest’ultima, inoltre, vanta un altro importante aspetto che, per ora, manca alla partnership sino-russa: l’interoperabilità, prerogativa fondamentale dell’Alleanza Atlantica.
Ma perché, quindi, definire questa partnership “di convenienza”? Di base, perché i benefici sono reciproci: grazie alle esercitazioni congiunte, Cina e Russia hanno l’opportunità di imparare l’una dall’altra (la Russia con la sua esperienza sul campo di battaglia, la Cina, invece, con le tecnologie militari elettroniche sempre più avanzate); inoltre, condividendo l’idea che l’Occidente miri a sopprimere i loro interessi fondamentali, entrambi i Paesi vogliono dimostrare che i rispettivi eserciti stanno diventando sempre più integrati, e che qualsiasi sfida a uno dei due rischia una risposta combinata. Ciò potrebbe allarmare gli Stati Uniti nel caso di una guerra nel teatro dell’Asia-Pacifico, dove la Cina punta al controllo di Taiwan e al dominio del Mar Cinese Meridionale.
Questo sarebbe il vero banco di prova per la solidità della partnership sino-russa: nel caso di un attacco cinese a Taiwan, per esempio, l’esercito russo sosterrebbe quello di Pechino? È improbabile. Nella regione – sempre più cruciale per gli equilibri internazionali del prossimo futuro – i due Paesi hanno interessi geopolitici differenti: basti pensare agli stretti legami di Mosca con l’India, rivale della Cina. In caso di conflitto regionale, la partnership sino-russa si dimostrerebbe valida più per un sostegno di tipo diplomatico ed economico – come avvenuto da parte cinese con la guerra in Ucraina – che su un piano militare. Ciò dimostra che la cooperazione militare tra Russia e Cina, platealmente esibita nel contesto delle esercitazioni congiunte, è ben lontana da una vera e propria alleanza. Il suo obiettivo principale, per ora, rimane solo uno: l’invio di un forte e chiaro segnale politico all’Occidente.
Isabella Chiara