Mentre Bruxelles saluta con entusiasmo la vittoria del fronte europeista, Chişinău continua ad essere divisa tra Russia e Occidente. I numeri delle presidenziali e del referendum costituzionale parlano di un Paese complesso, diverso dalla versione che ne dà l’Europa.
Il doppio appuntamento elettorale del 20 ottobre ha messo in luce le sfumature di un Paese difficile da capire. Con un’affluenza appena superiore al 50%, i cittadini moldavi hanno confermato la Presidente uscente Maia Sandu, vincente al ballottaggio del 3 novembre contro l’ex procuratore generale Aleksandr Stoianoglo, e l’interesse per un cammino europeo (seppur con soli 13000 voti di scarto). Critiche e criticità non sono mancate. Anzitutto, l’opposizione – rappresentata dai partiti minori vicini al Cremlino e dal Partito dei Socialisti della Repubblica di Moldova (PSRM), filorusso e sostenitore di Stoianoglo – ha accusato Sandu di strumentalizzare il referendum.
Quest’ultimo, infatti, si è tenuto lo stesso giorno delle elezioni presidenziali (grazie a una modifica ad hoc del codice elettorale) e a soli dieci giorni di distanza dall’annuncio di Bruxelles di un pacchetto di aiuti da 1,8 miliardi di euro. La presidente uscente avrebbe così tentato di associare ancora di più la propria figura alla volontà di entrare in UE (prospettiva che ha costantemente ottenuto un consenso popolare di circa il 60% negli ultimi anni), mentre il suo gruppo politico di centrodestra, il Partito di Azione e Solidarietà (PAS), non riusciva più a superare il 35%, rischiando di vedere svanire la propria maggioranza assoluta in Parlamento con le elezioni previste per l’anno prossimo.
La strategia sembra essere stata solo in parte vincente, considerando lo scarto risicato, il sostegno popolare all’integrazione europea più scarso del previsto e le incertezze riguardo all’operato del suo primo mandato ancora ben presenti. Controversa anche la scelta del Ministero degli Esteri moldavo di aprire solo due seggi in Russia (a Mosca), ufficialmente per motivi di sicurezza, a fronte dei 62 aperti nella sola Italia. Dal canto suo, il governo moldavo ha denunciato interferenze “senza precedenti” da parte del Cremlino, che avrebbe condotto numerose campagne di disinformazione, offerto incentivi economici agli elettori e organizzato voli charter per i moldavi residenti nella Federazione verso altri Paesi per permettere loro di recarsi ai seggi.
Nonostante saltuarie irregolarità, come pressioni, intimidazioni e mancanza di segretezza, gli osservatori dell’OSCE hanno descritto un clima elettorale tendenzialmente ordinato. Anche i conteggi dei voti sono stati giudicati in buona parte regolari, salvo sporadiche criticità procedurali. Dietro la vittoria del fronte europeista si celano tutte le contraddizioni che caratterizzano la Moldova. Un esempio su tutti: al ballottaggio Stoianoglo ha ottenuto il maggior numero di voti nel territorio nazionale (51,34% dei consensi), mentre è stata la diaspora moldava (circa il 20% dell’elettorato) a sancire la vittoria di Sandu con un voto di massa (82,92%). Ma da dove arrivano queste ambiguità?
Storia di una tardiva e incompleta identità nazionale
Con il Trattato di Bucarest del 1812, il Governatorato di Bessarabia, una provincia a maggioranza romena del Principato di Moldavia, a sua volta sotto l’influenza ottomana, passa all’Impero russo. La terra tra il fiume Prut e il Nistru (in russo Dnestr) diventa così, per la prima volta, un’entità politica a sé stante. Dopo una breve parentesi romena (1918-1940) l’odierna Moldova torna tra le braccia di Mosca, questa volta sotto il nome di Repubblica Socialista Sovietica di Moldavia. Un vero e proprio risveglio nazionale si ha con l’indipendenza dall’URSS nel 1991. Proprio allora, con spirito nazionalistico e antisovietico, il Paese decide di cambiare nome: dalla dizione di origine latina “Moldavia”, comune a quasi tutte le lingue romanze e ad alcune non romanze come tedesco, ungherese e russo, a quella romena di “Moldova” (ufficialmente Repubblica Moldova).
Oggi, ad oltre 30 anni dall’indipendenza, la ricerca identitaria della Moldova continua e ogni governo cerca, apparentemente senza troppo successo, di colmare il vuoto lasciato dall’ideologia sovietica. Il PAS di Maia Sandu ha tentato di enfatizzare la componente filoccidentale, semplificando però l’identità sfaccettata del suo popolo, che non può prescindere totalmente dall’elemento russo-sovietico. Un esempio su tutti di questa complessità è stato il fallimentare tentativo di trasformare il 9 maggio, giorno sovietico per eccellenza dedicato alla vittoria sul nazifascismo, nella “Giornata dell’Europa”. In Moldova, infatti, la Russia non ha rappresentato una semplice interruzione di una storia nazionale più ampia, come per la Polonia o i Paesi Baltici, ma ha condizionato in maniera importante la formazione dell’identità di questa terra, un tempo una piccola provincia dell’Impero Ottomano.
Non si è scelto tra il male e il bene, non si è scelto tra Russia e Occidente
Stoianoglo non è mai stato visto come una figura apertamente filorussa, al contrario di Igor Dodon, presidente dal 2016 al 2020 e attuale leader del PSRM. I socialisti, infatti, hanno scelto di presentare un candidato unitario, favorevole all’integrazione europea, ma determinato a ristabilire un dialogo con Mosca, ancora ritenuta, secondo un sondaggio, fra i partner commerciali imprescindibili per Chişinău dopo UE e Romania. La questione, effettivamente, è sia politica che economica. Nonostante la Moldova abbia incominciato da alcuni anni un progressivo avvicinamento all’Occidente, con conseguente distacco dall’orbita russa anche in termini commerciali, permangono importanti legami sia etnico-culturali (il 10% della popolazione parla esclusivamente il russo, che non è lingua di Stato) che, soprattutto, energetici: l’80% dell’elettricità consumata in Moldova è prodotta da una centrale elettrica in Transnistria (“Cuciurgan”, in russo “Moldavskaja GRES”), di proprietà della compagnia statale russa RAO EĖS, che brucia gas fornito gratuitamente da Gazprom e che il governo di Tiraspol’ vende a Chişinău. La complessità del tema moldavo risalta particolarmente proprio in Transnistria e nella regione meridionale della Găgăuzia.
Transnistria e Găgăuzia: gli ultimi baluardi russi in Moldova
La Transnistria ospita 1500 soldati russi e il più grande deposito di armi dell’Europa orientale. Dopo la dissoluzione sovietica nel 1991 dichiara l’indipendenza dalla Moldova, dando inizio a un contenzioso tuttora in corso. Nonostante il 97% dei transnistriani possieda anche un passaporto moldavo, il sentimento filorusso è molto più forte rispetto al resto della Moldova. Qui Stoianoglo ha ottenuto quasi l’80% dei consensi, cifra che supera addirittura il 97% in Găgăuzia. In entrambe queste “roccaforti russe” la presenza di Mosca negli anni è però fortemente diminuita. Per l’export gagauzo mercati quali quello turco, romeno o ucraino hanno guadagnato in peso e importanza. Inoltre, una regione il cui budget dipende per il 70% dal governo di Chişinău difficilmente perseguirà velleità indipendentistiche filorusse.
Pur rimanendo il secondo Paese di destinazione dell’export, le importazioni dalla Russia sono diminuite anche in Transnistria, registrando un calo del 7% nel 2022, seguito da un ulteriore -39% nel 2023. Come accennato, altro nodo fondamentale è la questione energetica che vede Tiraspol’ del tutto dipendente dalla Russia. Uno spostamento verso i mercati europei, infatti, sebbene non impossibile, sarebbe certamente catastrofico per l’economia transnistriana, viste le abissali differenze di costi. Tuttavia, grazie a una maggiore diversificazione, con nuove forniture da Romania e Polonia, il gioco energetico di Mosca sta divenendo gradualmente meno vincolante anche per la Moldova.
Prima di decidere dove andare, la Moldova deve capire chi vuole essere
Le attuali contingenze storiche stanno aprendo una finestra di opportunità per Chişinău. Dal 2022, le tensioni con la Russia non sono che aumentate: l’invasione dell’Ucraina ha suscitato forti critiche verso Mosca, mentre il taglio delle forniture di Gazprom nell’ottobre dello stesso anno ha accelerato la virata a occidente della Moldova, Transnistria inclusa. Se da un lato l’inflazione al 30% ha alimentato proteste pro-Russia, dall’altro la possibile interruzione delle forniture di gas attraverso l’Ucraina, a causa della scadenza del contratto di transito nel 2025, obbliga anche Tiraspol’ a cercare alternative. La guerra e la chiusura del confine con l’Ucraina hanno aumentato la dipendenza della Transnistria da Chişinău.
Maia Sandu e il PAS restano determinati a proseguire il cammino verso l’Europa, tanto da dirsi pronti a rinunciare alla Transnistria, cosa che non farebbe altro che spalancare le porte all’influenza russa nella regione. Mentre Bruxelles celebra il trionfo europeista in Moldova, la sfaccettata identità moldava persiste e resiste anche alle narrazioni più polarizzanti, con parte della popolazione che continua a tendere lo sguardo verso Mosca. Tuttavia, persino i partiti filorussi come il PSRM hanno compreso la necessità di presentare candidati più moderati che riconoscano l’utilità e forse l’inevitabilità del percorso europeo senza attuare, però, drastiche cesure dal mondo russo e senza abbandonare la neutralità formale del Paese. Sostenuta, tra l’altro, dalla stragrande maggioranza della popolazione.
Le tante contraddizioni della Moldova si riflettono spesso nella sua politica: partiti filorussi possono sostenere l’adesione all’UE, mentre schieramenti filoccidentali ottengono talvolta il sostegno di chi simpatizza per il Cremlino; transnistriani e gagauzi rivendicano la loro peculiarità, ma sono disposti a far parte della Moldova. Continuare a dipingere il Paese come un’entità spaccata tra Russia e Occidente non giova a nessuno, tanto meno ai moldavi. Chişinău non può avanzare verso Bruxelles senza il supporto di due regioni chiave come Transnistria e Găgăuzia. Al contempo, ignorare le necessità di queste popolazioni solo per contrapporsi a Mosca rischia di creare profonde fratture in cui il Cremlino non avrebbe difficoltà a inserirsi.
La Moldova vive oggi una fase critica e si trova davanti a una scelta. Non però tra Russia e Occidente, ma tra un discorso polarizzante e all’insegna della russofobia e un pragmatismo degno della più tradizionale delle realpolitik. Davanti all’apparente bivio tra Bruxelles e Mosca, la strada giusta per i moldavi potrebbe essere la terza, quella che porta a Chişinău. Invece di mantenere un approccio conflittuale, sarebbe auspicabile che la Moldova adotti un atteggiamento più aperto e pragmatico verso Transnistria e Găgăuzia, mostrando un reale impegno per il miglioramento delle condizioni e delle prospettive della popolazione locale.
Andrea Stauder