Una nuova legge ucraina proibisce l’operato della Chiesa ortodossa ucraina legata al Patriarcato di Mosca. Le posizioni pro-belliche e imperialiste della Chiesa russa sono alla base di questo atto legislativo che ha destato preoccupazioni a causa del suo carattere potenzialmente lesivo della libertà di religione. Ma è davvero così?
Il 20 agosto 2024 la Verchovna Rada, il parlamento ucraino, ha votato una legge contro le organizzazioni religiose russe che propagandano l’idea del cosiddetto “mondo russo” (russkij mir). Bersaglio di tale legge è la Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca, ramo ucraino della Chiesa ortodossa russa. Perplessità su questo atto legislativo sono state espresse da più parti a causa del suo carattere potenzialmente lesivo delle libertà di espressione e di religione. Si tratta di una questione complessa, dove la tutela delle libertà fondamentali si intreccia alle esigenze di sicurezza e di convivenza di diverse visioni del conflitto russo-ucraino.
L’intervento dello Stato è avvenuto in un contesto religioso composito, fatto di tre diverse confessioni ortodosse coesistenti in seguito alla dissoluzione dell’URSS: la già citata Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca, la Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Kiev e la Chiesa ortodossa autocefala ucraina. Nel periodo post-sovietico diversi tentativi di giungere a un’unità della comunità ortodossa ucraina sotto una Chiesa indipendente da Mosca o, secondo la terminologia propria dell’ortodossia, autocefala, si sono rivelati vani. Un obiettivo divenuto ancora più urgente dopo il 2014. La Chiesa ortodossa russa, infatti, non ha esitato a giustificare l’operato della Russia in Ucraina orientale e in Crimea. In particolare, il patriarca Kirill ha identificato nel conflitto uno scontro esistenziale tra la civiltà occidentale, atea, e quella russa, imperniata su valori religiosi. L’opposizione all’Occidente “decadente” e l’unità di russi, ucraini e bielorussi costituiscono, infatti, il nucleo attorno al quale ruota l’idea del mondo russo proposta dallo stesso Kirill fin dagli inizi del suo patriarcato nel 2009. La Chiesa ucraina legata a Mosca ha oscillato invece tra una posizione ufficiale di condanna verso le azioni russe in Ucraina e casi di membri del clero che hanno criticato il governo insediatosi nel Paese dopo l’Euromaidan o che hanno mostrato sostegno per le cosiddette repubbliche di Donec’k e Luhans’k.
La risposta ucraina è stata duplice. Da un lato, l’allora presidente Petro Porošenko ha promosso il processo di autocefalia della Chiesa ortodossa dell’Ucraina, nata dall’unione della Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Kiev e la Chiesa ortodossa autocefala ucraina e riconosciuta dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli come autocefala nel 2019. Dall’altro lato, sono state approvate nel corso del tempo leggi volte a favorire la neonata Chiesa rispetto a quella subordinata al Patriarcato di Mosca, obbligando quest’ultima a esplicitare l’affiliazione a Mosca nel proprio nome ufficiale – che è semplicemente ‘Chiesa ortodossa ucraina’ – e facilitando il passaggio delle singole parrocchie da quest’ultima organizzazione alla Chiesa autocefala.
L’invasione russa su larga scala dell’Ucraina ha ancora una volta avuto effetti sulla vita religiosa del Paese. La Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca ha dichiarato nel maggio 2022 di avere eliminato nel proprio statuto qualsiasi riferimento alla Chiesa ortodossa russa e di considerarsi, perciò, indipendente da essa. Tuttavia, diversi casi di collaborazione da parte del clero con le forze occupanti russe sono stati scoperti e condannati a partire dal febbraio 2022. A seguito di episodi in cui preti e chierici della Chiesa ortodossa ucraina hanno raccolto e trasmesso all’esercito russo informazioni sulla posizione delle truppe ucraine e sul loro equipaggiamento, o giustificato l’invasione e diffuso materiali di propaganda russa tra i fedeli, l’idea che la Chiesa legata a Mosca sia una minaccia per l’Ucraina si è fatta sempre più strada.
Risultato delle votazioni della legge contro il Patriarcato di Mosca alla Verchovna Rada. Fonte: Varta1.com.ua.
È così che si è giunti alla legge dell’agosto 2024. Essa proibisce l’attività di organizzazioni religiose con sede in Russia che sostengano direttamente o indirettamente, anche attraverso discorsi pubblici di leader o di altri organi decisionali, l’aggressione armata contro l’Ucraina. Un articolo della legge fa esplicito riferimento alla Chiesa ortodossa russa, definita “un’estensione ideologica del regime dello Stato aggressore”, proibendone l’attività in Ucraina. Altro riferimento è all’“ideologia del mondo russo”, ritenuta “contraria agli interessi della sicurezza nazionale e pubblica e all’integrità territoriale dell’Ucraina”. Di conseguenza, le organizzazioni religiose che predicano questa ideologia sono state proibite.
La messa al bando si estende agli organismi operanti in Ucraina che sono affiliati a organizzazioni religiose russe e che giustificano l’invasione dell’Ucraina. Si fa ovviamente riferimento alla Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca. La legge prevede, inoltre, la possibilità per un’istituzione affiliata di continuare ad operare nel Paese a condizione di recidere qualsiasi legame con la struttura religiosa russa pro-bellica. Dopo nove mesi dall’entrata in vigore della legge possono essere avviati procedimenti legali contro l’organizzazione che non abbia reciso i legami con l’istituzione russa, portando eventualmente alla sua proibizione.
Tra le conseguenze della messa al bando vi è l’interruzione di contratti di affitto di beni di proprietà statale come chiese e monumenti. La questione dell’uso di beni statali è rilevante perché i contratti di affitto stipulati dallo Stato con organizzazioni religiose legate a istituzioni russe verranno interrotti prima dell’inizio dei procedimenti legali per bandire le strutture legate alla Russia, a partire da sessanta giorni dopo l’entrata in vigore della legge.
La motivata necessità ucraina di tutelare la propria sicurezza anche in campo religioso, specie di fronte all’operato della Chiesa ortodossa russa, che sposa una posizione imperialista e sovrapponibile a quella del Cremlino, sembra difficilmente conciliabile con la difesa della libertà di espressione di individui e di gruppi e, quindi, anche della libertà di religione. L’Ucraina è infatti firmataria della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la quale, all’articolo 9, garantisce la libertà di religione e di manifestare pubblicamente, in maniera individuale o di gruppo, la propria appartenenza religiosa. Tale libertà, secondo l’articolo, può essere limitata solo per attuare “misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza”. Il Patto sui diritti civili e politici, cui pure l’Ucraina aderisce, contiene disposizioni praticamente uguali: l’articolo 18 garantisce libertà di religione con limitazioni solo per necessità di sicurezza pubblica.
Proprio questa necessità, si può argomentare, è alla base del provvedimento contro la Chiesa russa. Tuttavia, da un breve sguardo a precedenti sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di libertà di religione, emerge che solo in pochi casi un intervento come quello ucraino è giustificabile. In particolare, in una sentenza del 2000 relativa a un caso di rivalità tra due comunità musulmane in Bulgaria risolto tramite il riconoscimento statale di una sola delle due organizzazioni, la Corte, nel condannare la Bulgaria, riconosceva che “l’esistenza autonoma di comunità religiose è indispensabile per il pluralismo in una società democratica”.
Ancora più significativa è una sentenza della Corte di Strasburgo del 2001 circa il rifiuto da parte delle autorità della Moldova di riconoscere legalmente la Chiesa metropolitana di Bessarabia, parte della Chiesa ortodossa rumena, a favore della Chiesa metropolitana della Moldova, branca del Patriarcato di Mosca. I giudici di Strasburgo condannarono Chișinău per non aver agito in maniera neutrale e imparziale verso le confessioni religiose. La giustificazione della Moldova per il suo atteggiamento, il fatto, cioè, che una volta riconosciuta la Chiesa afferente a Bucarest avrebbe posto un pericolo alla sicurezza nazionale e all’integrità territoriale della Moldova, fu ritenuta inaccettabile dalla Corte in quanto frutto di una semplice ipotesi e non corroborata da sufficienti prove.
Da un lato, queste sentenze sono state emanate in tempo di pace, in Paesi non soggetti all’aggressione armata di un altro Paese che sfrutta il fattore religioso per scopi strategici come la Russia fa in Ucraina. D’altronde, anche le disposizioni in materia di libertà di religione del diritto europeo prevedono limitazioni per la tutela della sicurezza che sembrerebbero applicabili alla situazione ucraina. Dall’altro lato, dubbi sull’ammissibilità della legge sono stati espressi da vari enti, tra cui l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, la Commissione degli Stati Uniti d’America per la libertà di religione e il Vaticano. In questo contesto, la diffusione di un’immagine dell’Ucraina come Paese che viola certi diritti umani è conveniente per il Cremlino. A tal proposito, è utile notare che anche in Russia si adottano politiche restrittive verso particolari organizzazioni religiose. Degna di nota è la dichiarazione dell’organizzazione dei Testimoni di Geova come estremista e la sua messa al bando decisa dalla Corte suprema nel 2017.
Una posizione di sintesi tra libertà di religione e sicurezza è quella espressa dal capo della Chiesa greco-cattolica ucraina Svjatoslav Ševčuk, il quale ipotizza che la persecuzione della Chiesa ucraina legata a Mosca possa addirittura giovare a essa, oltre che alla Russia. Un concetto che egli esprime così: “se volete perpetuare il Patriarcato di Mosca in Ucraina, mettetelo al bando”. Senza bandire in toto la Chiesa legata a Mosca, si potrebbero comunque combattere le minacce alla sicurezza del Paese continuando, come fatto dall’inizio dell’invasione su larga scala, a identificare ed eventualmente processare i singoli membri del clero che collaborano con le forze occupanti. Ciò sarebbe probabilmente più in linea con l’esigenza di tutelare le libertà di espressione e di religione che devono essere garantite da uno Stato democratico.
Matteo Fusco