Il vuoto lasciato in Africa dai Paesi occidentali, Francia su tutti, è stato facilmente colmato da Mosca, con la promessa di garantire ai governi locali l’agognata stabilità. La lotta al jihadismo non ha ancora portato i risultati sperati, ma ciò potrebbe andare persino a vantaggio degli stessi russi. Che intanto lavorano sul fronte del soft power e della propaganda.
La guerra in Ucraina non ha ridimensionato le ambizioni geopolitiche della Russia nella regione africana del Sahel. Al contrario, il conflitto che ormai imperversa da quasi tre anni sembra aver incentivato il governo russo a perseguire i propri interessi nei Paesi dell’area con maggiore determinazione rispetto al passato. La rottura dei rapporti tra Mali, Burkina Faso e Niger e i Paesi occidentali, in primis Francia e Stati Uniti, ha rappresentato per il Cremlino l’opportunità di estendere la propria influenza nell’area, che oggi rappresenta una priorità della sua politica estera. Mosca ha saputo abilmente capitalizzare su problemi già esistenti che, unitamente all’impiego di strumenti politici, militari e, in misura minore, economici, le ha permesso con successo di prendere il posto delle potenze occidentali nella regione. L’annuncio recente, avvenuto il mese scorso, circa la volontà di aprire un’ambasciata in Niger rappresenta solamente l’ultima mossa della Russia volta a rafforzare la propria presenza nel Sahel.
L’interesse verso i Paesi saheliani si può spiegare innanzitutto con l’obiettivo di Mosca di allargare la propria area di influenza e, più in generale, riprendersi un ruolo di primo piano negli affari globali, una posizione che ritiene convintamente di meritare. Nel contesto del conflitto in Ucraina, la cooperazione con Mali, Burkina Faso e Niger ha lo scopo di dimostrare alla comunità internazionale che la Russia non è un Paese isolato. Ma anche di raccogliere il sostegno di questi Paesi in seno alle istituzioni internazionali,come le Nazioni Unite, al fine di ottenere voti favorevoli alla sua linea circa l’“Operazione speciale” in Ucraina. Allo stesso tempo, il supporto degli Stati del Sahel rappresenterebbe un ulteriore punto di appoggio per la Russia per proiettare la propria influenza sul continente africano. Tali aspetti assumono ancor più rilevanza alla luce di quella che rappresenta l’ambizione ultima dell’élite russa, ovvero ciò che il presidente Vladimir Putin ha definito come la creazione di un “ordine mondiale multipolare”. L’intento del Cremlino è anche ottenere supporto per tale visione. Un’ulteriore motivazione che spiega l’interessa russo verso il Sahel sono le abbondanti risorse naturali di cui questa regione dispone, quelle che oggi trovano impiego in settori cruciali dell’economia e nella produzione di beni di uso quotidiano, tra cui petrolio, uranio e oro; quest’ultimo, in particolare, fondamentale per aggirare le sanzioni occidentali e continuare a finanziare la macchina bellica.
La penetrazione della Russia nel Sahel è stata possibile grazie alla deriva intrapresa dalle relazioni tra Mali, Burkina Faso e Niger e le potenze occidentali, soprattutto la Francia ma anche gli Stati Uniti. Mosca si è dimostrata abile nello sfruttare a proprio favore i preesistenti rapporti complicati delle capitali africane con Parigi e Washington, la cui presenza era giustificata principalmente dal supporto ai governi locali nella lotta al fenomeno jihadista. I colpi di stato che hanno interessato la regione negli ultimi tre anni hanno radicalmente ridefinito le politiche e le alleanze dei governi di Bamako, Ouagadougou e Niamey. Nel maggio 2021, in Mali, il golpe militare ha costretto alle dimissioni il presidente Bah Ndaw, alla guida di quello che doveva essere un governo di transizione a seguito di un altro colpo di stato avvenuto nove mesi prima. Nel gennaio 2022 è stata la volta del Burkina Faso, dove l’esercito ha rovesciato il governo democraticamente eletto di Roch Marc Christian Kaboré. Infine del Niger, dove i militari hanno destituito il presidente Mohamed Bazoum, anche qui dopo un altro colpo di stato, avvenuto due anni prima.
Una delle prime misure adottate dalle nuove giunte al potere è stato quello di ritirarsi dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) per creare l’Alleanza degli Stati del Sahel (AES), ed espellere i Paesi occidentali dal proprio territorio – inclusa la Francia, il bastione delle operazioni antiterrorismo nella regione. In parallelo all’uscita di scena di francesi e americani, il Cremlino ha messo a disposizione i mercenari del gruppo Wagner, oggi ribattezzato Africa Corps, a sostegno delle nuove leadership saheliane. In Mali, dove la ex Wagner è presente almeno dal 2020, vi sono tutt’oggi circa mille mercenari russi. A gennaio 2024, le forze irregolari del Cremlino sono arrivate in Burkina Faso e pochi mesi dopo, ad aprile, in Niger. In entrambi questi Paesi vi sarebbero almeno qualche centinaio di unità. Gli Africa Corps svolgono un ruolo cruciale nella sopravvivenza dei nuovi regimi, che include la protezione dei leader, spesso sotto forma di corpi di guardia personali, e la lotta al terrorismo islamico, su cui le giunte hanno costruito la propria credibilità e legittimità. Oltre a ciò, i mercenari del Cremlino forniscono armi ed equipaggiamento militare, addestrano le truppe locali e offrono consulenza politica alle élite. La Russia ha offerto di fatto ai Paesi del Sahel un supporto incondizionato con la promessa di non interferire negli affari interni. Oltre al dispiegamento degli Africa Corps, il Cremlino ha fornito materiale bellico – dai sistema di difesa aerei ed elicotteri d’attacco ai satelliti per le telecomunicazioni e la sorveglianza – tecnici e istruttori militari, e dato la propria disponibilità a cooperare in molti settori, come quelli minerario, tecnologico ed energetico.
Le campagne di propaganda condotte da Mosca hanno svolto un ruolo fondamentale nel rafforzarne l’influenza. La narrativa del Cremlino fa leva sui diffusi sentimenti anticoloniali e antioccidentali degli Stati saheliani, e mira ad offrire un’immagine di sé come partner affidabile e sinceramente interessato allo sviluppo della regione, un benefattore non macchiato dei crimini coloniali. Oltre ad accordi con canali di comunicazione come televisione e social media locali, le attività dell’African Initiative sono uno degli strumenti chiave per diffondere la propaganda di Mosca. L’African Initiative, fondata nel 2023, è ufficialmente un’agenzia di stampa il cui direttore e caporedattore è Artem Kureyev, identificato come un agente dell’FSB, il Servizio federale per la sicurezza. L’associazione non solo detiene siti di notizie e canali sulle piattaforme social, ma promuove anche corsi per l’insegnamento della lingua russa nelle scuole, competizioni di sambo, l’arte marziale sovietica, seminari sul primo soccorso, festival di vario genere, e i cosiddetti “press tour”, con cui giornalisti e blogger dei Paesi del Sahel si recano nei territori ucraini occupati per riportare notizie sulla guerra secondo una prospettiva prettamente russa.
Più recentemente, anche la Chiesa ortodossa russa ha iniziato a svolgere un compito importante nel divulgare l’ideologia del Cremlino. La sinergia tra quest’ultimo e il Patriarcato di Mosca ha aperto un ulteriore canale per far veicolare il messaggio russo e, se è vero che la presenza della Chiesa russa nel Sahel è ad oggi modesta, è anche vero che sta progressivamente espandendosi. Nel 2021, il Patriarcato moscovita ha istituito un esarcato in Africa comprendente tutti i Paesi del continente; comunità e chiese ortodosse sono già presenti in Burkina Faso. La narrativa della Chiesa russa, che riecheggia quella del Cremlino a cui il patriarca Kirill ha dato la propria benedizione, si fonda soprattutto sulla promozione del cosiddetto Russkij Mir, il “mondo russo”, e dei valori ritenuti tradizionali, in contrapposizione a quelli liberali delle società democratiche occidentali.
Infine la diplomazia, l’altro mezzo privilegiato con cui Mosca sta consolidando la propria presenza nella fascia del Sahel. Fino a poco tempo fa, l’unica ambasciata russa nella regione si trovava nella capitale maliana Bamako. In linea coi mutati scenari geopolitici, a fine 2023 la Russia ha riaperto dopo trent’anni l’ambasciata a Ouagadougou, in Burkina Faso, e il mese scorso ha annunciato l’intenzione di aprire una sede anche in Niger, nella capitale Niamey.
Il supporto incondizionato alle giunte militari, il dispiegamento degli Africa Corps, la vendita di materiale bellico, gli accordi per la cooperazione, l’utilizzo massiccio di campagne di disinformazione e il rafforzamento in corso del corpo diplomatico hanno dunque permesso alla Russia di incrementare la propria influenza nella regione. Come indicato nel documento sulla linea di politica estera della Federazione Russa, aggiornato nel 2023, la volontà è quella di rafforzare la cooperazione con i Paesi del continente africano e sviluppare i rapporti con le organizzazioni regionali. La presenza di Mosca è dunque destinata ad aumentare. Oltre a questo, è importante notare come la lotta al terrorismo jihadista non stia andando come previsto, anzi, il ritiro dei Paesi occidentali è coinciso con un aumento di intensità e violenza degli attacchi da parte dei gruppi islamisti, a cui la Russia non ha saputo porre un freno. Qualora la situazione non dovesse migliorare, la probabilità che le giunte militari di Mali, Burkina Faso e Niger facciano ancor più affidamento sui mercenari russi è senz’altro alta. In pratica, la dipendenza dal supporto di Mosca accrescerebbe e il rischio di uno scenario in cui la sopravvivenza dei nuovi governi del Sahel dipenda interamente da Mosca si farebbe certamente concreto.
Lorenzo Asquini