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Home Energia e Ambiente

L’energia nucleare galleggia nell’Artico russo

di Redazione
13 Febbraio 2025
in Artico, Energia e Ambiente, Russia
Tempo di lettura: 5 mins read
L’energia nucleare galleggia nell’Artico russo

Mosca ha investito molte risorse nell’approvvigionamento energetico delle sue regioni più remote, puntando sul nucleare e su una peculiare forma di sfruttamento di tale energia – le centrali galleggianti. Efficienza, potenzialità e rischi dell’impresa, riassunti nel caso della Akademik Lomonosov.

Nel gennaio 2025, la Akademik Lomonosov, la prima centrale nucleare galleggiante al mondo, ha completato il suo primo ciclo di combustibile. Il combustibile nucleare inserito nei reattori all’inizio della loro operatività si è esaurito ed è stato quindi sostituito con nuovo materiale fissile. L’operazione è stata eseguita nel porto artico di Pevek, nella regione della Čukotka, dove la centrale fornisce elettricità e calore dalla fine del 2019.

La centrale è equipaggiata con due reattori KLT-40S, derivati dalla stessa tecnologia che consente la propulsione delle rompighiaccio russe più moderne. Ognuno ha una potenza di 35 MW e utilizza uranio a basso arricchimento, facendo in modo che, in media, il combustibile debba essere sostituito solo ogni – circa – cinque anni. Il rifornimento ha comportato la rimozione del combustibile esaurito e l’introduzione di nuovi elementi, un processo che segue procedure di sicurezza molto specifiche per minimizzare il rischio di contaminazione.

L’energia prodotta dalla Akademik Lomonosov alimenta la città di Pevek e supporta le attività industriali nella regione, incluse le miniere e gli impianti di lavorazione del giacimento Baimskij. Questo è il più grande deposito di rame e oro al mondo, tanto che le sue riserve stimate ammontano a 23 milioni di tonnellate di rame e a 2000 tonnellate di oro. Il nuovo combustibile è stato trasportato attraverso la Rotta Marittima Settentrionale in contenitori speciali, in conformità con le normative internazionali sul trasporto di materiali radioattivi.

La Akademik Lomonosov

La Akademik Lomonosov è una centrale nucleare galleggiante non autopropulsa, lunga 144 metri e larga 30, con un dislocamento di 21.500 tonnellate e un equipaggio di 69 persone. Oltre alla produzione di elettricità, la centrale può fornire fino a 60 MW di potenza termica per il riscaldamento tramite condutture collegate a terra. Inoltre, è in grado di produrre fino a 240.000 metri cubi al giorno di acqua dolce desalinizzata. Per parlare in termini più comprensibili, la centrale da sola consentirebbe di soddisfare pienamente il fabbisogno energetico di una città delle dimensioni di Ancona per almeno tre anni senza necessità di essere rifornita.

La costruzione della centrale iniziò nel 2007 presso i cantieri navali Sevmash di Severodvinsk. Già nel 2008, tuttavia, i lavori erano stati trasferiti ai cantieri navali Baltijskij di San Pietroburgo, fortemente specializzati, tra le altre cose, nella costruzione di rompighiaccio. La centrale fu quindi varata nel 2010 e i reattori installati nel 2013. Dopo una lunga serie di test e operazioni di rifornimento a Murmansk, la centrale fu finalmente trainata fino al porto di Pevek, in Čukotka, dove è entrata in funzione nel dicembre 2019.

La Akademik Lomonosov è stata progettata per fornire energia elettrica e termica alle isolate comunità locali – la popolazione della Čukotka è di 50mila persone – e per sostenere le attività industriali nell’Estremo Oriente russo. In una regione così particolare, preda di un inverno impietoso per la maggior parte dell’anno e tanto distante da centri abitati degni di nota, un approvvigionamento energetico stabile è fondamentale per l’elettricità e il riscaldamento residenziali e l’alimentazione di infrastrutture pubbliche. La disponibilità di energia affidabile e continua è però essenziale anche per le operazioni minerarie e di lavorazione dei minerali, punto che acquisisce un’importanza particolare in una regione tanto ricca di risorse.

Dalla sperimentazione sovietica alle centrali galleggianti

L’utilizzo dell’energia nucleare nell’Artico non è, naturalmente, un fenomeno recente. Già durante la Guerra fredda, l’Unione Sovietica investì ampiamente nello sviluppo di reattori nucleari per applicazioni civili e militari in ambienti estremi. Le rompighiaccio a propulsione nucleare, introdotte a partire dal 1959 (la prima fu la Lenin), rappresentarono la prima applicazione su larga scala della tecnologia nucleare per la navigazione nell’Artico.

Parallelamente, l’energia nucleare fu impiegata per alimentare basi militari e insediamenti remoti. Negli anni Settanta, l’URSS installò reattori terrestri in alcune aree isolate tra cui Bilibino, situata proprio in Čukotka. La centrale nucleare di Bilibino, operativa dal 1974, la più piccola e la più settentrionale del mondo, fu costruita per fornire energia agli insediamenti minerari della regione ed è tuttora in funzione, anche se in fase di dismissione. La Akademik Lomonosov è destinata a prenderne gradualmente il posto.

L’idea delle centrali nucleari galleggianti risale anch’essa all’epoca sovietica, ma ha trovato concreta applicazione solo negli ultimi anni. La centrale ancorata a Pevek rappresenta la prima realizzazione operativa di questa tecnologia e costituisce un’evoluzione rispetto alle precedenti soluzioni “tradizionali”. Rispetto ai reattori terrestri, infatti, le unità galleggianti offrono maggiore flessibilità, potendo essere spostate in base alle necessità e riducendo l’impatto ambientale derivante dalla costruzione di nuove infrastrutture nelle regioni artiche.

Anche altri Paesi stanno valutando l’impiego di reattori nucleari mobili. La Cina ha annunciato piani per lo sviluppo di centrali galleggianti destinate al Mar Cinese Meridionale, mentre negli Stati Uniti e nell’Unione Europea si studia il possibile utilizzo di piattaforme nucleari offshore per fornire energia a comunità remote o a infrastrutture industriali in aree prive di reti elettriche affidabili.

Maneggiare con cautela

L’uso dell’energia nucleare in ambienti estremi come l’Artico pone, come è facile immaginare, sfide importanti. Uno dei problemi principali riguarda lo smaltimento del combustibile esaurito. I reattori nucleari, terrestri o galleggianti che siano, producono rifiuti altamente radioattivi che richiedono un trattamento sicuro e uno stoccaggio a lungo termine. In un contesto remoto e climaticamente ostile come l’Artico, garantire infrastrutture adeguate per la gestione di queste scorie è complesso. Inoltre, la storia della Russia nella gestione dei rifiuti nucleari è stata tutt’altro che priva di criticità: episodi di smaltimento inadeguato e incidenti, eredità del periodo sovietico, possono sollevare preoccupazioni sulle misure effettive adottate per minimizzare i rischi.

Anche il trasporto del combustibile, sia fresco sia esaurito, rappresenta un fattore di rischio. Le condizioni meteorologiche estreme, il ghiaccio marino e le lunghe distanze aumentano le difficoltà logistiche e il potenziale per gli incidenti. Le procedure internazionali prevedono protocolli rigorosi per il trasporto di materiali radioattivi, ma la loro applicazione concreta in aree remote dipende in larga parte dall’efficienza delle autorità e delle catene logistiche locali.

Il rischio ambientale legato a possibili incidenti non può essere ignorato. Eventuali guasti o fuoriuscite di materiale radioattivo avrebbero conseguenze devastanti in un ecosistema fragile come quello artico, dove il freddo rallenta la dispersione e la degradazione degli inquinanti, amplificando i danni a lungo termine. In caso di emergenza, le capacità di intervento sarebbero limitate dalla distanza dai principali centri abitati e dalle difficoltà operative imposte dall’ambiente.

Tommaso Bontempi

Tags: ArticonucleareRussia
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