La disconnessione elettrica dei Paesi baltici dal sistema russo è solo l’ultimo passo di una separazione in atto da tre anni, e ormai quasi del tutto compiuta. Risultati? Kaliningrad è un’isola energetica autosufficiente, Moldova e Transnistria resistono con l’aiuto europeo, la Slovacchia protesta per la fine delle sue imposte di transito. La reversibilità del processo non è dietro l’angolo.
Sabato 8 febbraio, il sistema elettrico delle tre repubbliche baltiche di Estonia, Lettonia e Lituania si è disconnesso dalla rete elettrica controllata da Mosca e, dopo 24 ore di operatività in “modalità isolata”, si è allacciato a quella europea entrando nella Continental Europe Synchronous Area (CESA). Tre anni fa, il 16 marzo 2022, Moldova e Ucraina completavano lo stesso passaggio connettendosi al sistema europeo (ENTSO-E) in tre settimane, accelerando un processo che era iniziato nel 2017 e che, dopo l’invasione dell’Ucraina, si sarebbe dovuto concludere in qualche mese.
L’integrazione del sistema elettrico dei Paesi baltici con quello russo risaliva al 1950, costituendo un’eredità dell’epoca dell’Unione Sovietica che non era stata modificata né dal collasso dell’URSS e l’indipendenza delle tre repubbliche ottenuta nel 1991, né dall’adesione all’Unione Europea e alla NATO nel 2004. Nel 2001, i tre Paesi avevano rinnovato l’accordo BRELL (la rete che prende il nome dall’acronimo degli Stati collegati, ovvero Bielorussia, Russia, Estonia, Lettonia e Lituania) e solo nel 2007 hanno iniziato il procedimento per disconnettersi. Nel gennaio del 2019 la Commissione Europea ha approvato il finanziamento del 75% dei 1,6 miliardi di euro necessari per la prima fase del progetto di sincronizzazione, accelerato in seguito all’annessione russa della Crimea nel 2014 e, successivamente, con l’invasione dell’Ucraina nel 2022.
Aver completato il disaccoppiamento dalla rete russa, per le tre repubbliche ex-sovietiche, corrisponde a un ulteriore traguardo verso l’indipendenza energetica da Mosca, da cui avevano cessato di acquistare l’elettricità già nel 2022. I leader dei Paesi baltici hanno valorizzato il contenuto simbolico di questo passaggio con una cerimonia che ha avuto luogo a Vilnius, accanto ai presidenti della Polonia e della Commissione Europea. In un discorso di Ursula von der Leyen, le parole “Questa è libertà, libertà dalle minacce, libertà dai ricatti” hanno riassunto la volontà dell’UE di sottrarre al Cremlino ogni possibile utilizzo dei rifornimenti energetici come arma.
Quello dell’energia costituisce uno dei settori dal valore strategico più importante e che da decenni connette con accordi e infrastrutture Russia e Unione Europea. In seguito all’invasione dell’Ucraina, il tema è salito ulteriormente tra le priorità dell’agenda politica di entrambe le parti non solo in termini economici, ma anche di sicurezza.
Per gli Stati europei rendersi indipendenti da Mosca è diventato un obiettivo primario per due ordini di ragioni: evitare di finanziare l’invasione ucraina – e in questo senso possiamo citare il REPowerEU, un piano proposto dalla Commissione Europea nel 2022 per tagliare l’importazione dei combustibili fossili dalla Russia, diversificando le risorse energetiche – e rendersi meno vulnerabili alle decisioni del Cremlino in merito alle forniture energetiche.
Per la Russia la vendita delle risorse energetiche comporta una quota rilevante del finanziamento bellico. Negli ultimi tre anni Mosca ha dovuto ridistribuire l’esportazione di gas e petrolio per sopperire al declino della domanda da parte degli Stati europei, e a tal fine ha messo in atto dei metodi per aggirare le sanzioni occidentali. Tra questi l’impiego di una flotta ombra, ovvero di navi battenti bandiera di Paesi terzi che si sospetta siano utilizzate per trasportare il petrolio russo e per compiere dei sabotaggi alle infrastrutture marittime. L’ultimo caso noto riguarda la nave delle Isole Cook, l’Eagle S, che è stata fermata e accusata di essere la responsabile del danneggiamento al cavo sottomarino Eastlink 2 per il trasporto dell’elettricità dalla Finlandia all’Estonia. Nonostante le continue smentite da Mosca, i sempre più frequenti cyberattacchi e danni arrecati alle infrastrutture energetiche fanno pensare ad atti di una guerra ibrida portata avanti dalla Russia e hanno portato alla decisione della NATO di aumentare la propria presenza nel mar Baltico.
Il primo ministro estone Kristen Michael aveva espresso il timore che il danneggiamento del cavo Eastlink 2 dovuto al trascinamento di un’ancora sul fondale rappresentasse un avvertimento russo in vista della disconnessione dalla rete BRELL. A posteriori, il cambio della rete elettrica è stato un passaggio senza intoppi, come previsto dal ministro dell’energia lituano Žygimantas Vaičiūnas, nonostante gli allarmi su possibili ritorsioni di Mosca sotto forma di cyberattacchi, campagne di disinformazione o danneggiamenti – a loro volta seguiti dalle rassicurazioni di essersi “preparati per molti possibili scenari di rischio” come riferito da Gert Auväärt – capo del Centro di Cyber Sicurezza estone.
Anche la Russia si è dovuta preparare all’evento: il distacco delle tre repubbliche ha reso l’Oblast di Kaliningrad – avamposto strategico di Mosca sul mar Baltico – un’isola energetica dall’8 febbraio. Dal 2016 ad ogni modo sono state implementate nuove infrastrutture energetiche, e ad oggi la capacità delle cinque centrali elettriche presenti nella regione raggiunge i 1,88 GW. Permettendo così – riferisce l’agenzia di stampa russa TASS – di sostenere fino al doppio del picco di consumo dell’area.
L’allacciamento della rete dei Paesi baltici al sistema europeo non è l’unico importante atto di separazione tra il sistema energetico russo e quello del nostro continente: dal 1° gennaio 2025 l’Europa non riceve più gas proveniente dalla Russia via condotto. Come preannunciato da Volodymyr Zelens’kyj, Kiev non ha rinnovato l’accordo di transito per il gasdotto Urengoy-Pomary-Uzhhorod che portava il gas proveniente dai giacimenti siberiani in Europa, passando per il territorio ucraino – responsabile del trasferimento di circa il 5% delle importazioni nel Vecchio Continente.
Il flusso di gas passante per l’Ucraina via gasdotto ammontava a 15 miliardi di metri cubi, di cui 13 miliardi destinati all’Europa tramite la Slovacchia e i restanti diretti in Moldova, rendendo i due Paesi tra i più colpiti dalla decisione. Il primo ministro slovacco Robert Fico è il leader europeo che ha criticato maggiormente Zelens’kyj: Bratislava ha perso il ricavato derivante dalle tasse di transito e Fico si è espresso in merito al mancato rinnovo definendolo come una decisione che “avrà un impatto drastico” più sull’economia dell’Unione Europea che su quella russa, minacciando di limitare gli aiuti umanitari all’Ucraina e le forniture elettriche di emergenza.
La Moldova, insieme alla Transnistria, ha dovuto affrontare il rischio di una grave carenza di energia. Anche se dal 2022, con il taglio di due terzi ai rifornimenti via Gazprom della Russia, Chişinău aveva cominciato ad acquistare gas da Paesi europei, otteneva ancora l’80% del fabbisogno di elettricità dalla sua regione separatista filorussa. Con la chiusura del gasdotto, la Transnistria è rimasta priva delle forniture che Mosca le garantiva senza costi e la Moldova ha perso il suo fornitore maggiore. Per fronteggiare la crisi, Bruxelles e Chişinău si sono accordate su una Strategia Globale d’Indipendenza e Resilienza energetica. Dei fondi già stanziati, 20 milioni di euro sono stati indirizzati all’acquisto emergenziale di gas per la popolazione della Transnistria. Sul lungo termine, il piano si svilupperà in tre fasi e ha come obiettivo il sostegno dell’ex repubblica sovietica verso una maggiore indipendenza energetica, in linea con le altre politiche messe in atto dall’UE negli ultimi tre anni.
Dall’inizio della guerra, gli sforzi dei Paesi europei per diversificare i fornitori e adattare le proprie infrastrutture hanno portato a un calo della dipendenza dal gas russo: prima del 24 febbraio 2022 l’Europa importava da Mosca il 40% del suo fabbisogno, nel 2023 la quota è diventata pari all’8%, grazie alla drastica riduzione di afflusso del gas via tubo. Attualmente, il gas che proviene ancora dalla Russia è principalmente quello naturale liquefatto (Gnl), ma Bruxelles sta cercando di ridurre la quota importata in favore di altri fornitori, con l’obiettivo di cessare ogni impostazione di gas dalla Russia entro il 2027. Per quanto riguarda il petrolio, durante il 2022 l’importazione dalla Russia è diminuita del 21,75% e la percentuale di petrolio greggio importata dall’UE proveniente da Mosca è passata dal 31% prebellico al 3% nel 2023.
Gli adattamenti messi in atto sono procedimenti lunghi e costosi, che difficilmente potranno essere reversibili in tempi brevi, anche dopo la fine della guerra. L’invasione russa dell’Ucraina ha innescato o accelerato dei processi già avviati di sconnessione delle infrastrutture e dei mercati delle materie prime che ha invertito, almeno in parte, l’interdipendenza creata nei decenni della globalizzazione. La trasformazione del settore energetico in uno strumento bellico sta portando ad una progressiva separazione tra i settori energetici dell’Unione Europea e della Russia, dove ciascuna parte si richiude nel proprio regionalismo e nella ricerca di nuove (inter)dipendenze.
Anna Franzutti