Da tempo la Turchia persegue l’obiettivo di rafforzare la propria influenza in Asia centrale. Questo progetto si avvale anche di mosse che si basano su legami storici e culturali, incluso il ricorso a denominazioni geografiche che rifiutano una visione “eurocentrica” della regione.
A ottobre dello scorso anno, il ministero dell’istruzione di Ankara ha disposto l’introduzione nei manuali scolastici del termine Turkestan in sostituzione del più diffuso Asia centrale.[1] Tale mossa, richiamando un senso di unità turca,[2] promuove una forma di regionalismo alternativo a quello proposto dalla denominazione prevalente, più evocativa di un passato di occupazione e disuguaglianza, ma anche di russificazione, che si è affermato con l’espansione dell’impero zarista e consolidato durante il periodo sovietico (con la sola, parziale, eccezione della politica delle nazionalità promossa nei primi anni Venti).[3]Ampiamente utilizzata prima del XIX secolo, la denominazione Turkestan significa “Patria dei turchi”, a indicazione della regione natia delle prime popolazioni turche, centro culturale ed economico sull’antica Via della Seta.[4] La sua diffusione è diminuita dopo il 1843, quando il geografo Alexander von Humboldt impiegò per la prima volta il termine Asia centrale, adottato poi ampiamente tra i Paesi occidentali.[5] Questa sostituzione terminologica ha contraddistinto il capovolgimento delle sfere di influenza regionali a svantaggio della dimensione turca e ha accompagnato il consolidamento di una percezione per lo più russocentrica dell’Asia centrale, prevalente ancora oggi.[6]
L’atteggiamento della Turchia nei confronti dell’Asia centrale tuttavia ha attraversato fasi diverse e solo nel nuovo secolo si è orientato verso un senso di identità comune. Negli anni successivi alla fine della Guerra Fredda, infatti, la regione non era univocamente percepita come un’unità a sé stante, ma era associata al Caucaso meridionale e ancora inserita in un contesto in via di ridefinizione. È negli anni Duemila che Ankara, dando maggiore spazio all’idea aggregante di “mondo turco”, la separa dal Caucaso.[7]In quest’ottica, la Turchia ha cercato di modellare la propria politica estera per collocarsi in una posizione di fratellanza con i Paesi centroasiatici turcofoni. Facendo leva sul potere unificante di lingua, religione e storia ha puntato a costruire in Asia centrale accordi in condizioni di parità che rafforzassero anche legami strategici, di tipo economico e politico.[8]
Per perseguire tale intento Ankara ha fondato diverse istituzioni, delle quali l’Organizzazione degli Stati Turchi (OTS) è la più significativa, creata nel 2009 con lo scopo di promuovere la cooperazione tra gli Stati turcofoni.[9] Dalla sua fondazione, l’organizzazione si è riunita in undici summit, l’ultimo tenutosi a novembre dello scorso anno a Biškek. Essa dispone di una sua bandiera e vanta 28 aree di cooperazione, tra cui politica, economia, digitalizzazione, salute, campo energetico, fino al settore spaziale.[10] Ne fanno parte Kazakistan, Kirghizistan, Azerbaigian e Uzbekistan, mentre Turkmenistan e Ungheria (e Cipro Nord) sono osservatori. Resta escluso il Tagikistan, unico paese dell’Asia centrale a risentire maggiormente dell’influenza persiana da un punto di vista etnico-linguistico.[11] [12]
Da sinistra: il segretario generale dell’OTS, Kubanyčbek Omuraliev; il presidente dell’Azerbaigian, Il’cham Aliev; il presidente del Kazakistan, Kasym-Žomart Tokaev; il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan; il presidente del Kirghizistan, Sadyr Žaparov; il presidente dell’Uzbekistan, Šavkat Mirziëev; il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán; l’ambasciatore del Turkmenistan a Biškek, Nury Golliev; il presidente di Cipro Nord, Ersin Tatar. 11° vertice a Biškek, Kirghizistan, 6 novembre 2024. (Foto: Organizzazione degli Stati turchi – OTS)
Un importante sviluppo compiuto dall’OTS verso la creazione di politiche culturali comuni è stata l’adozione nel 2024 di un unico alfabeto turco di 34 lettere a base latina:[13] un avanzamento cruciale verso l’unificazione linguistica, che favorisce l’integrazione tra i Paesi membri in ambito accademico ma anche amministrativo e doganale. Questi sforzi denotano il successo della strategia di Ankara di investire nella valorizzazione del mondo turco per avere un accesso privilegiato all’Asia centrale. Oltre alla base ideologica improntata alla realizzazione di una comune identità turca, è bene ricordare che il regionalismo alternativo che essa propone si avvale di elementi molto più pragmatici per creare unità di intenti, come la costruzione di oleodotti finalizzati a diversificare le importazioni energetiche turche e di altri progetti infrastrutturali.[14]
In termini geografici, l’OTS copre un’area che potenzialmente può offrire alla Turchia l’accesso al mar Caspio, ricco di risorse naturali e prezioso corridoio di transito commerciale che permetterebbe ad Ankara di porsi come intermediaria tra l’Asia Centrale e l’Europa da un lato, e concederebbe un ulteriore approdo verso la Cina, dall’altro.[15] Dal punto di vista centrasiatico, anche i cinque –stan perseguono una politica estera “multivettoriale” basata su una strategia di diversificazione delle partnership e di bilanciamento delle sfere di influenza, che vede pertanto di buon occhio l’offerta della Turchia di proporsi come alternativa alle potenze regionali più consolidate, come Russia e Cina. In aggiunta, gli Stati dell’Asia centrale stanno sviluppando il dialogo con l’Afghanistan e l’Iran per aprire nuove rotte di transito e di commercio alternative, così come con l’Unione Europea.[16]
Da un lato la Russia, che storicamente colloca l’Asia centrale nella sua sfera di influenza e continua a considerarla parte integrante della propria politica estera, è un partner insostituibile nel settore politico, economico e della sicurezza. Essa raggruppa la maggior parte dei Paesi centroasiatici in organizzazioni regionali come l’Organizzazione del trattato collettivo di sicurezza (CSTO), di cui fanno parte Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. Inoltre, una parte significativa del PIL di Paesi come Tagikistan e Uzbekistan dipende dalle rimesse di lavoratori migranti che si sono trasferiti nel Paese. Infine, dal crollo dell’URSS fino all’inizio del 2022, le vie di transito verso e attraverso la Russia sono state fondamentali per il commercio e per le catene di approvvigionamento della regione, per la maggior parte priva di sbocchi sul mare.[17] Ciononostante, l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 ha danneggiato la reputazione di Mosca, confermando la necessità di controbilanciarne l’influenza nella regione.[18]
Dall’altro, la Cina detiene il primato regionale per influenza economica, che rinforza tramite istituzioni come l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO), di cui sono membri Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, e progetti infrastrutturali come la Belt and Road Initiative. Pechino è anche destinataria e mittente di importanti flussi commerciali. In particolare, dall’inizio della guerra in Ucraina, l’Asia centrale è diventata uno snodo di riesportazione delle merci cinesi destinate alla Russia, nonché un transito di crescente importanza verso l’Europa.[19] Tuttavia l’ingombrante vicino orientale rappresenta dei rischi che rendono necessaria una variazione nei partenariati, soprattutto al fine di evitare che la regione venga “inghiottita” economicamente. Inoltre, in Asia centrale è diffusa la percezione che, per motivi di corruzione e discriminazione, gli investimenti cinesi beneficino soltanto le élite locali, senza coinvolgere l’intera popolazione.[20]
Pur ritenendo inverosimile che Russia e Cina perdano il loro primato regionale nel breve e medio termine, la Turchia è stata in grado di farsi spazio come partner alternativo, sfruttando i vuoti creati dall’indebolimento dell’influenza russa e dallo scetticismo verso la scarsa trasparenza cinese. Il successo di questa strategia si vede anche dal cambiamento di posizione degli stessi Paesi centroasiatici, che fino a tempi recenti non vedevano pienamente con favore la spinta turca promossa da Ankara, come ad esempio il Tagikistan, in cui l’influenza turca si scontra con un legame ancora più significativo con l’Iran.[21] Secondo Dushanbe, oltre a condividere un confine fisico con la regione, Teheran avrebbe altrettanti argomenti per affermare la propria influenza storica e culturale sull’Asia centrale. Così come nel primo ventennio post-sovietico, tra il 1992 e il 2010, anche l’Uzbekistan e il Turkmenistan osteggiarono le posizioni espansionistiche della Turchia.[22]
Tuttavia, affinché si registri un impatto serio sulle relazioni tra i Paesi turcofoni dell’Asia centrale, i cambiamenti terminologici da soli non costituiscono uno strumento di soft power sufficiente; questi devono essere affiancati da passi più concreti nell’ambito della cooperazione politica ed economica. Tenendo conto dei gravi problemi economici che sta attraversando Ankara, tra cui l’alta inflazione e il forte debito pubblico, questa direzione non appare tra le più facili.[23]
Paola Ticozzi[1] Mehmet Fatih Oztarsu, The Power of Names: Turkiye’s Shift From Central Asia to Turkestan, The Diplomat, October 14, 2024; https://thediplomat.com/2024/10/the-power-of-names-turkeys-shift-from-central-asia-to-turkestan/ Asia Plus Tajikistan, Turkiye replacing term ‘Central Asia’ with ‘Turkestan’ in new history curriculum, 11 ottobre 2024. https://asiaplustj.info/en/news/world/20241011/turkiye-replacing-term-central-asia-with-turkestan-in-new-history-curriculum
[2] Nell’articolo vengono impiegati i termini turco e turcofono per indicare in senso etnologico e storico chi appartiene a una popolazione di razza mongolica, lingua altaica e religione musulmana, stanziata anticamente nell’Asia centrorientale e attualmente diffusa in Asia e in Europa. Dal punto di vista linguistico si fa riferimento a ciascuna delle lingue altaiche delle popolazioni di lingua turca, comprendendo e non riferendosi esclusivamente al dialetto turco osmanico, lingua ufficiale della Repubblica di Turchia dopo la sua fondazione nel 1923. (Fonte: Dizionario italiano De Mauro). In particolare, nel caso dell’aggettivo turco occorre sottolineare il duplice uso che viene impiegato qui: quando esso fa parte dell’espressione mondo turco esso è inteso in senso lato e non limitato ai turchi della Repubblica di Turchia, mentre in tutti gli altri impieghi si riferisce all’odierna Repubblica di Turchia e alla sua popolazione.
[3] Азат Ахунов, «После принятия решения об общем алфавите новый шаг Турции – Туркестан», Кам Бизнес Газета.ру, 13 октября 2024; https://kam.business-gazeta.ru/article/650885 Carlo Pallard, Turcica: Il mondo turco all’alba del terzo millennio, East Journal, 1 luglio 2016. https://www.eastjournal.net/archives/71647
[4] Ibid.
[5] Per Högselius, The hidden integration of Central Asia: the making of a region through technical infrastructures, Central Asian Survey, 2022, Vol. 41, No. 2, pp. 223-24. https://www.tandfonline.com/doi/pdf/10.1080/02634937.2021.1953963
[6] Азат Ахунов, «После принятия решения об общем алфавите новый шаг Турции – Туркестан».
[7] Meliha Benli Altunışık, Turkey’s ‘Return’ to Central Asia in a Shifting Global and Regional Context: New Opportunities and Limitations, Journal of Balkan and Near Eastern Studies, Volume 26, 2024 – Issue 5, p. 716. https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/19448953.2024.2308971?needAccess=true
[8] Mehmet Fatih Oztarsu, The Power of Names, The Diplomat.
[9] Bruce Pannier, The Rise of the Organization of Turkic States, Radio Free Europe, 11 giugno 2024. https://about.rferl.org/article/the-rise-of-the-organization-of-turkic-states/
[10] Organization of Turkic States (OTS), Areas of Cooperation, consultato in data: 24 febbraio 2025, https://www.turkicstates.org/en/areas-of-cooperation
[11] Asia News, Turkestan or Iranzamin: The Clash Over the Cultural Roots of Central Asia, 11 novembre 2024. https://www.asianews.it/news-en/Turkestan-or-Iranzamin:-the-clash-over-the-cultural-roots-of-Central-Asia-61911.html
[12] Oltre agli Stati turcofoni indipendenti sopraelencati, vi sono anche delle minoranze turcofone presenti in altri contesti. La Russia, ad esempio, conta sette repubbliche autonome turcofone (Altaj, Baschiria, Ciuvascia, Khakassia, Yakutia, Tatarstan, Tuva) e tre che riconoscono ufficialmente una componente turcofona (Daghestan, Cabardino-Balcaria, Karaçay-Circassia). In Moldavia, la regione autonoma della Gagauzia è abitata da turchi cristiani, e infine anche gli uiguri che abitano la regione autonoma dello Xinjiang, nella Repubblica popolare cinese, sono una popolazione turcofona (Fonte: East Journal).
[13] Nagima Abuova, Turkic States Revive Latin-Based Alphabet to Preserve Linguistic Heritage, Astana Times, 23 settembre 2024. https://astanatimes.com/2024/09/turkic-states-revive-latin-based-alphabet-to-preserve-linguistic-heritage/
[14] Giuseppe Romano, XI Summit dell’organizzazione degli Stati Turchi: Immutabilità o Riorientamento?, IARI, 2 dicembre 2024. https://iari.site/2024/12/02/xi-summit-dellorganizzazione-degli-stati-turchi-immutabilita-o-riorientamento/
[15] Giuseppe Romano, XI Summit dell’organizzazione degli Stati Turchi, IARI.
[16] The U.S. Helsinki Commission, Contesting Russia: Preparing for the Long-Term Russian Threat, October 1, 2024, pp. 21-23 https://www.csce.gov/wp-content/uploads/2024/09/Contesting-Russia-Report-2.pdf
[17] Ibid.
[18] Robert E. Hamilton, China, Russia and Power Transition in Central Asia, Foreign Policy Research Institute (FPRI), 31 May 2024. https://www.fpri.org/article/2024/05/china-russia-and-power-transition-in-central-asia/
[19] U.S. Helsinki Commission, Contesting Russia, p. 21.
[20] Robert E. Hamilton, China, Russia and Power Transition in Central Asia.
[21] Carlo Parissi, L’Asia centrale “persiana”: la relazione speciale Iran-Tagikistan, Osservatorio Globalizzazione, 19 Febbraio 2022. https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/lasia-centrale-persiana-la-relazione-speciale-iran-tagikistan/
[22] Asia News, Turkestan or Iranzamin: The Clash Over the Cultural Roots of Central Asia, 11 November 2024. https://www.asianews.it/news-en/Turkestan-or-Iranzamin:-the-clash-over-the-cultural-roots-of-Central-Asia-61911.html
[23] U.S. Helsinki Commission, Contesting Russia, p. 43.