A dispetto delle affermazioni di Trump, il presidente ucraino gode ancora di un discreto consenso popolare. Alleati e oppositori gli hanno fatto da scudo ma cominciano a guardare già oltre, in attesa di capire quando tornerà il confronto elettorale. La mina vagante Zalužnyj e il ruolo dei militari nell’Ucraina post-bellica.
Martedì 12 marzo si è svolta la prima parte dei colloqui tra la delegazione ucraina e quella statunitense per tentare di giungere ad un accordo preliminare di cessate il fuoco e preparare il percorso per la pace tra Russia e Ucraina. I negoziati preliminari, che hanno portato all’accettazione da parte di Kiev della proposta di un cessate il fuoco totale di trenta giorni, si inseriscono nel quadro più ampio del rinnovato slancio diplomatico della nuova amministrazione Trump. Già dal mese di gennaio 2025, infatti, si sono avute diverse dichiarazioni del presidente Usa e del suo entourage volte proprio a preparare il campo per un’azione più risoluta e pragmatica nei confronti della guerra russo-ucraina, con momenti di alta drammaticità – vedasi lo scontro nello studio ovale in mondovisione – e il rischio di un accordo bilaterale tra Russia e Stati Uniti che lasciasse Kiev e Bruxelles completamente al di fuori del processo diplomatico.
Dopo il primo round tra Stati Uniti e Ucraina, il Cremlino ha notificato la propria proposta: un cessate il fuoco di trenta giorni per le sole infrastrutture energetiche e lo scambio di 175 prigionieri, a cui aggiungere lo stop al riarmo e alla mobilitazione delle forze militari ucraine e lo stop alla fornitura di intelligence. Rimangono in vigore le precedenti richieste: “assolutamente inaccettabile” la presenza di peacekeepers in Ucraina; la Crimea e le regioni di Kherson, Zaporižža, Donec’k e Lu’hansk “regioni della Federazione Russa come dato di fatto”. Nel frattempo, i Paesi europei hanno cercato di farsi spazio nella trattativa, lottando contro l’irrilevanza cui forse Trump vorrebbe relegarli, e dando nuovo slancio all’annosa questione della difesa comune e della spesa per il riarmo dell’Unione Europea dopo le ultime dichiarazioni del presidente statunitense e dei suoi più stretti collaboratori, che hanno risvegliato dal torpore della certezza dell’ombrello di sicurezza americano.
Gli sviluppi recenti attorno alla guerra russo-ucraina hanno inevitabilmente animato anche il dibattito interno in Ucraina, soprattutto quello riguardante la posizione di Zelens’kyj e la fattibilità di nuove elezioni presidenziali, un punto fermo della retorica russa degli ultimi tempi e di recente sollevato con insistenza dal presidente Trump e dal suo inviato speciale per la Russia e l’Ucraina Keith Kellogg. Le pressioni di Washington sono state interpretate dalla maggioranza degli ucraini come un attacco alla sovranità del Paese, soprattutto perché le richieste degli Stati Uniti hanno iniziato a somigliare troppo alle richieste del presidente russo Vladimir Putin. Per la maggior parte dei cittadini ucraini, lo scontro allo studio ovale ha solo rafforzato, anziché indebolito, la popolarità di Zelens’kyj. Se un episodio come quello cui abbiamo assistito il 28 febbraio scorso, dove il presidente ucraino veniva di fatto cacciato dalla Casa Bianca in seguito ad un dibattito poco cortese, si fosse verificato circa dieci o quindici anni fa, ciò avrebbe senza dubbio segnato la fine della sua carriera. I resti della sua credibilità sarebbero infatti stati distrutti definitivamente dai rivali politici e dai media controllati dagli oligarchi, e le dinamiche turbolente della politica interna l’avrebbero infine costretto a soccombere.
La guerra ha invece profondamente mutato il panorama politico ucraino e così la violenta lite tra Trump e Zelens’kyj ha sortito l’effetto contrario, scatenando un’ondata di solidarietà nei confronti del presidente ucraino. La Verkhovna Rada ha approvato una risoluzione di sostegno a Zelens’kyj, mentre Petro Poroshenko, predecessore e suo acerrimo rivale, ha dichiarato pubblicamente che non avrebbe criticato il presidente per il suo scontro con Trump e ha invitato all’unità. Anche Yulia Tymoshenko, ex primo ministro e da molti ritenuta un’altra rivale di Zelens’kyj per la corsa presidenziale, così come il sindaco di Kiev Vitali Klitschko, hanno dichiarato pubblicamente di essere contrari alle elezioni in tempo di guerra.
La posizione del presidente ucraino è ulteriormente rafforzata dal fatto che né la nuova amministrazione statunitense né il Cremlino hanno un candidato alternativo preferito in Ucraina. Un sondaggio d’opinione condotto in collaborazione con il Kyiv International Institute of Sociology (KIIS) del 19 febbraio ha rilevato che il 64% degli ucraini approva l’operato del proprio presidente, smentendo l’affermazione di Trump secondo cui l’indice di gradimento di Zelens’kyj sarebbe al 4%. Secondo il parere di molti esperti, l’amministrazione Trump starebbe sollecitando le elezioni per avere a che fare con un governo più compiacente, più disposto ad accettare delle condizioni contro cui si sta schierando l’attuale governo ucraino. Putin, d’altro canto, non sarebbe interessato alle elezioni in sé ma all’instabilità che queste potrebbero portare in un Paese occupato e con milioni di sfollati interni ed emigrati che non avrebbero modo di rientrare in Ucraina per votare.
Secondo l’analista Rostyslav Balaban, i russi sfrutterebbero il breve periodo di transizione per destabilizzare il Paese, lanciando una grande offensiva o favorendo uno scenario di “doppio potere” col sostegno a un governo alternativo, nel tentativo di dividere l’Ucraina. D’altro canto, come detto, Mosca non ha un candidato alternativo su cui puntare. Il vecchio campo filorusso in Ucraina è stato decimato ed è impossibile che nuovi rappresentanti di questo fronte appaiano mentre il Paese è in guerra con la Russia. Se anche fosse immaginabile che in Ucraina emerga una forza politica simile al partito di governo della Georgia – Sogno Georgiano – ovvero che unisca aspirazioni filo-europee con la volontà di trovare un compromesso con Mosca, esponenti di questa linea non potranno trovare spazio finché la guerra non sarà finita.
L’analista politico Vitaly Kulik afferma che sia a Washington sia a Mosca pare esserci la convinzione che un nuovo governo sarebbe più disponibile a dei negoziati in qualsiasi forma e accetterebbe qualsiasi condizione, ma la maggioranza dei media ucraini è convinta che un accordo di pace simile ad una capitolazione, come quello che sembrava delinearsi fino ad una settimana fa, non tenterebbe nemmeno i membri più avventati della classe politica ucraina. Per quanto il Paese possa essere stremato dalla guerra, finora non c’è stata alcuna richiesta di un leader che firmi un accordo di pace senza garanzie di sicurezza, svalutando così la perdita di vite umane e dei sacrifici fatti dagli ucraini durante tre anni di guerra.

L’ex Capo di Stato maggiore Valerij Zalužnyj. Fonte: Politico.eu
Sul piano interno, ad ogni modo, si registra un crescente fermento politico, sicuramente influenzato dalle pressioni esterne. Alcuni esperti parlano infatti di inizio di una campagna elettorale informale. Nelle parole di Volodymyr Fesenko, analista politico ucraino, “esiste una certa febbre elettorale. Le aspettative sulla fine della guerra hanno spinto a prepararsi alle elezioni”. Lo stesso presidente Zelens’kyj ha dichiarato che l’Ucraina potrebbe tenere le elezioni dopo la fine della “fase calda” della guerra e non ha escluso che ciò possa avvenire nel 2025. In effetti, le sanzioni imposte contro il leader ufficiale dell’opposizione Poroshenko sembrano essere state motivate da ragioni politiche piuttosto che di sicurezza, come invece specificato dalla motivazione ufficiale fornita dal Servizio di Sicurezza ucraino. Di recente, alcune fonti hanno rivelato che Yulia Timoshenko e l’ex presidente Poroshenko stanno portando avanti un dialogo informale e separato con l’amministrazione Trump cercando di porsi come interlocutori alternativi e più graditi, con cui sarebbe più facile lavorare. Ma l’ex presidente e l’ex primo ministro di Kiev godono di scarsissima popolarità al momento, circa il 10% e il 5,7% rispettivamente secondo il Kyiv Institute of Sociology.
Tuttavia, la più grande incognita di un possibile voto è la candidatura dell’ex Capo di Stato Maggiore Valerij Zalužnyj: sarà probabilmente la sua partecipazione o la sua assenza a determinare le sorti della corsa presidenziale. Nonostante sia stato destituito da Zelens’kyj e nominato ambasciatore a Londra, Zalužnyj non si è limitato all’attività diplomatica – ha infatti pubblicato le sue memorie contenenti alcune osservazioni sul presidente, incontrato i comandanti militari ucraini e discusso questioni come la formazione di una nuova élite ucraina e la strategia globale dell’Occidente. La sua popolarità continua a crescere nonostante il tentativo, forse maldestro, di Zelens’kyj di allontanarlo dalle questioni interne, e per molti versi il fascino dell’ex capo dell’esercito risiede nel suo status di outsider, proprio come Zelens’kyj quando fu eletto nel 2019.
Ci sono, tuttavia, ancora diverse incognite riguardo alla strategia di Zalužnyj. Il neo-ambasciatore non ha ancora sciolto le riserve sulla sua candidatura, evitando ogni domanda al riguardo. Nonostante si limiti ad affermare che la priorità al momento dovrebbe essere la fine della guerra, le sue apparizioni pubbliche e i suoi discorsi hanno chiare sfumature politiche anche se non pare ancora essersi delineata una chiara strategia politico-elettorale. Le sue ultime dichiarazioni paiono suggerire che egli auspichi un futuro per l’Ucraina come “avamposto militarizzato del mondo libero” e che sia favorevole a limitare le libertà democratiche per sconfiggere l’autoritarismo russo. Sebbene recenti sondaggi dimostrino che la quasi totalità delle forze armate ucraine voterebbe Zalužnyj in caso di corsa presidenziale, e sebbene egli rappresenti ad oggi l’unico candidato che potrebbe effettivamente mettere in difficoltà Zelens’kyj, è difficile che le sue posizioni attecchiscano tra l’elettorato al di fuori delle frange militari.
Un’altra sfida per Zalužnyj è l’assenza di un partito politico formale alle sue spalle: se decidesse di correre alle elezioni con un nuovo partito “militare”, avrebbe bisogno di un significativo supporto mediatico e organizzativo. Ciò sarebbe ancora più complesso se il periodo di campagna elettorale sarà effettivamente ridotto a sessanta o addirittura a quarantacinque giorni, come si vocifera nel Paese. Questi elementi limiterebbero la possibilità di una svolta politica e di una vittoria clamorosa, ma è comunque possibile che i candidati militari ottengano dei buoni risultati nelle elezioni locali oppure che accedano al Parlamento tramite i partiti già esistenti, costituendo un blocco trasversale in seno alla Verkhovna Rada.
L’Ucraina è dunque entrata in una nuova fase in cui negoziati e campagna elettorale interna si affiancano ai combattimenti. Questa fase potrebbe durare diverso tempo, vista anche la risposta di Putin alla proposta di cessate il fuoco. È essenziale a questo punto che Kiev e i suoi sostenitori la affrontino in modo che l’interesse nazionale ucraino non venga schiacciato né dalle pressioni concorrenti di Mosca e Washington, né dal fermento politico interno. L’opinione pubblica ucraina è sempre più favorevole all’interruzione delle ostilità, ma rimane molto solida la volontà di ottenere garanzie di sicurezza per un percorso di pace duraturo ed affidabile: dal 2014 vi sono stati oltre diciassette accordi di tregua con la Russia, tutti violati. Se Zelens’kyj dovesse ritrovarsi costretto ad accettare rapidamente qualsiasi accordo per il cessate il fuoco le implicazioni sarebbero di vasta portata. Lasciare l’Ucraina senza un trattato di difesa, o un accordo significativo di sicurezza collettiva, rappresenterebbe un duro colpo per il presidente e per il suo futuro politico.
Fabiola Bono