Una recente proposta di legge imporrebbe alla Chiesa ortodossa estone del Patriarcato di Mosca di recidere ogni legame con la Chiesa ortodossa russa. Essa andrebbe a minare un difficile equilibrio raggiunto tra lo Stato estone e questa confessione religiosa, la cui presenza in Estonia è un’eredità diretta del periodo vissuto sotto il dominio imperiale russo e sovietico.
Il Ministero degli Interni dell’Estonia ha proposto nel gennaio 2025 degli emendamenti alla legge regolante l’operato di Chiese e congregazioni. Tali cambiamenti imporrebbero alla Chiesa ortodossa estone del Patriarcato di Mosca di tagliare i suoi legami con la Chiesa ortodossa russa. Se approvata dal Riigikogu, il parlamento estone, la legge sarà molto simile a quella adottata in Ucraina nell’agosto del 2024, che similmente proibisce nel Paese l’operato della Chiesa legata a Mosca.
La presenza del Patriarcato di Mosca in Estonia è legata al dominio russo imperiale e all’occupazione sovietica del Paese. Al termine di quest’ultima, la Chiesa ortodossa estone del Patriarcato di Mosca ha continuato, seppur in circostanze non semplici, a esistere nel Paese. L’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina e l’appoggio dimostrato dalle gerarchie del Patriarcato di Mosca all’operato del Cremlino sembrano aver portato alla fine di un delicato equilibrio raggiunto tra Tallinn e tale confessione religiosa.
La comparsa dell’Ortodossia in Estonia
L’Ortodossia fece la sua comparsa nel Paese portata dai primi mercanti russi, giunti in territorio estone intorno all’XI secolo, ma rimase marginale fino alla metà dell’Ottocento. In questi anni, dopo oltre un secolo dall’assoggettamento dell’Estonia al dominio imperiale russo, un numero rilevante di contadini estoni del governatorato di Livonia (corrispondente alle attuali Lettonia settentrionale ed Estonia meridionale) si convertì all’Ortodossia. I numeri, stimati tra i centomila e i centodiecimila, potrebbero essere interpretati come una forma di protesta contro i locali proprietari terrieri, di etnia tedesca del Baltico, e motivati dall’aspettativa dei contadini che la conversione avrebbe comportato agevolazioni fiscali e concessione di terre, in quanto avrebbero adottato la ‘fede dell’imperatore’, il quale sarebbe stato motivato ad ascoltare con più attenzione le rimostranze dei locali contadini contro i proprietari terrieri.
Gli sviluppi politici della Rivoluzione russa ebbero effetto anche sulle dinamiche confessionali del Paese baltico. L’arcidiocesi ortodossa di Riga della Chiesa ortodossa russa, comprendente i territori di Estonia e Lettonia, venne divisa in due Chiese autonome, sempre però sottoposte alla giurisdizione del Patriarcato di Mosca, corrispondenti al territorio dei due Stati, che dichiararono l’indipendenza nel 1918.
Nei primi anni dell’Estonia indipendente, la necessità di tagliare ogni legame con Mosca fece sì che la Chiesa estone passasse dalla giurisdizione moscovita a quella del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Quest’ultimo sancì tale passaggio emanando un decreto (tomos) nel 1923 col quale la Chiesa ortodossa apostolica estone, nome ufficiale dell’organizzazione religiosa, ottenne uno status di autonomia (e non di indipendenza o autocefalia) all’interno del Patriarcato di Costantinopoli.
Con l’occupazione sovietica dell’Estonia, tuttavia, la Chiesa estone tornò sotto la giurisdizione del Patriarcato di Mosca. Una parte del clero non accettò ciò e si rifugiò in Svezia, dove la Chiesa ortodossa apostolica estone sottostante a Costantinopoli continuò a operare in esilio. Tale stato delle cose durò fino alla dissoluzione dell’Unione Sovietica e il ripristino dell’indipendenza dell’Estonia. Da quel momento in avanti si instaurò una complessa dinamica tra Tallinn e questa confessione.
Il ripristino dell’indipendenza e l’ombra di Mosca
Dopo il 1991 il governo estone attuò una politica di riconoscimento della personalità giuridica, e di restituzione di proprietà, a quelle entità che potevano dimostrare di esistere prima del 16 giugno 1940, ossia prima dell’inizio dell’occupazione sovietica dell’Estonia: questo alla luce del fatto che l’Estonia post-sovietica si ritiene diretta continuatrice dello Stato esistente in epoca interbellica e considera i decenni sotto il dominio di Mosca come un’occupazione straniera.
Alla luce di ciò, il governo estone riconobbe la Chiesa ortodossa apostolica estone a scapito di quella facente parte della Chiesa ortodossa russa. Ciò ebbe come principale ripercussione l’impossibilità, da parte di quest’ultima, di possedere edifici dove condurre la propria attività. Aspetto particolarmente importante per due edifici in particolare: la cattedrale di Aleksandr Nevskij a Tallinn, situata di fronte all’edificio del Riigikogu, e il monastero di Pühtitsa, ubicato nel villaggio di Kuremäe, primo e più grande monastero ortodosso nei Paesi baltici. La questione dell’uso dei due edifici fu risolta ponendoli sotto lo statuto di stauropegion, ossia di diretta dipendenza dal Patriarcato di Mosca, mentre altri edifici furono affittati dalla Chiesa riconosciuta dal governo estone. A seguito di un tentativo infruttuoso di ottenere l’agognato riconoscimento, il capo della confessione, il metropolita Kornilij tentò una causa contro il Ministero dell’interno nel 1994, senza successo.
Quando, nel febbraio 1996, Costantinopoli decise di riconoscere il tomos promulgato già nel 1923 e ammettere nella sua giurisdizione la Chiesa ortodossa apostolica estone, il Patriarcato di Mosca dichiarò scisma con il primo. Tale circostanza tuttavia non ebbe enormi conseguenze, dato che dopo solo un paio di mesi si raggiunse un accordo tra i due Patriarcati, secondo cui entrambe le Chiese avrebbero potuto coesistere nel Paese. Alla risoluzione del conflitto tra i due Patriarcati però non fece immediatamente seguito la risoluzione della questione del riconoscimento della Chiesa sottostante a Mosca da parte del governo estone.
Fu qui che il coinvolgimento della Russia divenne rilevante: la volontà della Chiesa ortodossa russa di ritrarre la questione non tanto in termini religiosi, quanto nazionali, risultò evidente, per esempio, in una lettera del Patriarca di Mosca Aleksij II (nato in Estonia, dove cominciò il suo percorso all’interno delle gerarchie ecclesiastiche) in cui lamentò il mancato riconoscimento da parte del Paese baltico come un tentativo di annichilire la popolazione russofona dell’Estonia. Quello che poteva essere considerato un invito al Cremlino per spendersi per la causa della Chiesa ortodossa estone del Patriarcato di Mosca non rimase inascoltato: l’allora presidente russo Boris El’cin scrisse al suo omologo estone Lennart Meri, chiedendogli di predisporre garanzie affinché le parrocchie della Chiesa estone del Patriarcato di Mosca potesse possedere gli edifici che usava, mentre la Duma (camera bassa del parlamento russo) impose delle sanzioni sulle merci importate dal Paese baltico.
La Chiesa ortodossa estone del Patriarcato di Mosca cercò di portare la sua causa anche presso organismi internazionali, come l’OSCE. Nel febbraio 1999 il metropolita Kornilij richiese, come requisito essenziale per l’accesso dell’Estonia all’organizzazione, il riconoscimento della Chiesa da lui presieduta, lamentando un atteggiamento discriminatorio adottato da Tallinn nei confronti degli aderenti a tale confessione. Similmente, la Chiesa ortodossa russa intentò una causa contro l’Estonia alla Corte europea dei diritti dell’uomo nel 1995, la quale però non poté prendere in considerazione la richiesta in quanto l’Estonia non era ancora parte contraente della Convenzione europea dei diritti umani.
La questione del riconoscimento governativo si risolse, infine, nell’aprile 2002. Critiche mosse da diverse organizzazioni religiose a una proposta di emendamento della legislazione vigente – che avrebbe impedito la registrazione statale di confessioni con centro amministrativo o economico all’estero – fecero sì che Tallinn acconsentisse alla registrazione della Chiesa ortodossa estone del Patriarcato di Mosca.

Monumento al Patriarca di Mosca Aleksij II (nato in Estonia) a Jõhvi. Fonte: Wikimedia Commons.
La proposta di legge
Le posizioni imperialistiche sposate dalla Chiesa ortodossa russa, in sintonia col Cremlino, hanno alimentato nuove preoccupazioni in Estonia. Un esempio è dato dalla cosiddetta ‘notte di bronzo’ del 27 aprile 2007, un episodio di sommosse da parte della popolazione di lingua ed etnia russa a Tallinn scatenate dalla ricollocazione di una statua ritraente un soldato dell’Armata Rossa dal centro di Tallinn. In quell’occasione, il Patriarca di Mosca Aleksij II adottò una posizione identica a quella del Cremlino, affermando che “combattere contro i morti è l’azione più indegna. È immorale profanare la memoria dei morti”.
Il frequente allineamento tra governo russo e Patriarcato di Mosca è diventato particolarmente preoccupante per Tallinn durante l’invasione russa dell’Ucraina. Le posizioni della Chiesa ortodossa russa a favore della campagna militare del Cremlino hanno indotto prima il Riigikogu a dichiararla ‘uno sponsor dell’aggressione militare della Federazione russa’, nel maggio 2024, e poi il Ministero degli Interni a depositare, nel gennaio 2025, una bozza di legge che cambierebbe la legislazione religiosa dell’Estonia. Nello specifico, è stata proposta una proibizione all’attività di Chiese e congregazioni associate ad un’organizzazione che sostiene un’aggressione militare. Il ministro degli Interni Lauri Läänemets ha asserito che posizioni chiave nella gerarchia della Chiesa ortodossa estone del Patriarcato di Mosca sono direttamente assegnate dalla Russia, il che renderebbe tale organizzazione religiosa l’ultima istituzione russa esercitante una diretta influenza sul Paese baltico. Il disegno di legge prevede che la Chiesa ortodossa estone sottoposta a Mosca metta fine a tale sottomissione, eliminando qualsiasi riferimento alla Chiesa ortodossa russa nel suo statuto. Se la legge dovesse essere approvata, tale cambiamento andrebbe apportato entro due mesi dall’entrata in vigore dell’atto legislativo; se ciò non dovesse accadere, il Ministero potrà richiedere la cessazione dell’attività dell’organizzazione religiosa inadempiente.
La reazione della Chiesa ortodossa estone del Patriarcato di Mosca, chiaramente negativa, ha peggiorato i rapporti col governo di Tallinn, già tesa dalla questione del mancato rinnovamento del permesso di soggiorno del suo capo, il metropolita Evgenij. Questi, in virtù della sua ambivalenza nel condannare l’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina, è stato ritenuto dalle autorità estoni un pericolo per la sicurezza dell’Estonia e per tale motivo gli è stato ingiunto di lasciare il Paese, cosa che ha fatto il 6 febbraio 2024. La bozza di legge, che verrà discussa dal Riigikogu il prossimo aprile, ha suscitato timori anche nell’ambiente monastico della Chiesa estone del Patriarcato di Mosca: la badessa del monastero di Pühtitsa ha espresso paura per il potenziale effetto letale che la nuova legislazione avrebbe sul convento. Il Ministero degli Interni ha assicurato, tuttavia, che la nuova legislazione non avrebbe tale temuto effetto, ma comporterebbe solo un cambio di giurisdizione da Mosca a Costantinopoli, come tra l’altro già avvenuto in passato, nel periodo interbellico.
La vicenda permette di riflettere su alcuni punti. La somiglianza della bozza di legge con la recente legislazione ucraina potrebbe far sorgere dubbi sulla sua ammissibilità alla luce del diritto alla libertà di espressione e di culto. Tale questione, similmente per il caso ucraino, viene affrontata portando avanti l’argomento che la legge non vieta la pratica pubblica del culto ma richiede fedeltà, da parte delle organizzazioni religiose, allo Stato, contrapponendo tale diritto alla sicurezza statale. La progressiva perdita di influenza del Patriarcato di Mosca nei territori che essa considera parte del suo “territorio canonico”, coincidente in larga parte con gli Stati dell’ex URSS, è un effetto collaterale della politica russa verso i suoi stessi vicini. In molti di essi, la Chiesa ortodossa russa è una delle poche istituzioni effettivamente legate a Mosca operanti nei Paesi in questione: la fine della sua attività è una questione che va oltre il mero fattore religioso, ed è invece diretta conseguenza degli equilibri politici nella regione.
Matteo Fusco