Riprendono i negoziati fra Russia, Ucraina e Stati Uniti. L’Arabia Saudita si sostituisce alla Turchia nel ruolo di mediatore e ospita i colloqui. Le implicazioni per Kiev.
Lo scorso 18 febbraio – per la prima volta dall’inizio dell’invasione – russi e statunitensi si sono incontrati a Riyad per discutere, fra le altre cose, di una risoluzione diplomatica al conflitto russo-ucraino. L’Unione Europea e la Turchia, che precedentemente avevano ricoperto ruoli ben più centrali, sono state lasciate ai margini. Mentre l’Ucraina – diretta interessata – si è ritenuta non solo offesa, portando il presidente Zelens’kyj a rinviare la sua visita prevista per i giorni successivi nel Paese del Golfo, ma presto anche umiliata, a seguito del tristemente noto incontro tra lo stesso leader ucraino e il suo omologo Trump nello Studio Ovale.
In quell’occasione il presidente statunitense aveva accusato Zelens’kyj di “non volere la pace” e “star giocando con la terza guerra mondiale”. Nei giorni successivi le tensioni sono sembrate aumentare, toccando il picco con la sospensione del sostegno militare e strategico statunitense all’Ucraina per circa una settimana. Solo l’11 marzo, sempre in Arabia Saudita (Gedda), in un nuovo incontro fra ucraini e americani, la delegazione di Kiev ha contribuito all’elaborazione e approvazione di un piano per il cessate il fuoco sotto la leadership statunitense, riportando il sereno e dando inizio ad una nuova fase diplomatica. I cui esiti sono ancora da scoprire.
C’eravamo vicini?
Dal 28 febbraio 2022 – quattro giorni dopo l’inizio dell’invasione – si sono susseguiti numerosi tentativi negoziali volti a trovare una soluzione diplomatica del conflitto. Tutti però risolti in un nulla di fatto. Tra questi, nelle ultime settimane, e forse proprio in coda a questa nuova fase negoziale, sono tornati al centro del dibattito politico i colloqui di Istanbul. Il cui fallimento – a detta di molti – sarebbe derivato dall’intervento dell’Occidente, nella persona di Boris Johnson.
Su questa narrazione si è detto tutto e il suo contrario. E se è vero che la linea dura di certi leader europei può aver – anche indirettamente – influito sulle decisioni di Kiev, a questa vanno sommate le atrocità di Bucha e Irpin, svelate al mondo proprio in quei giorni, insieme all’iniziale successo della controffensiva ucraina e la popolarità di cui godeva ai tempi la sua causa in Occidente.
In che misura questi fattori abbiano effettivamente contribuito al fallimento dei negoziati di Istanbul, ce lo dirà solo il tempo. Ciò che è certo è che la guerra continua e a noi non rimane che affrontarne le conseguenze e chiederci: cosa cambia con i negoziati sauditi? Il Paese del Golfo può essere il mediatore di cui l’Ucraina ha bisogno per raggiungere la tanto agognata “pace giusta”?
Da pariah a mediatore
Sul campo di battaglia e fuori di esso, molte cose sono cambiate dall’aprile 2022, ma la principale novità è sicuramente il ritorno di Trump alla Casa Bianca. Proprio a lui si devono le differenze più significative della nuova fase negoziale, tra cui un modo business-driven di fare politica estera, la riapertura alla Russia e la scelta dell’Arabia Saudita come sede dei negoziati.
Rispetto a quest’ultima, nel 2018 Joe Biden, parlando dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, aveva dichiarato che gli Stati Uniti “gliel’avrebbero fatta pagare [all’Arabia Saudita] facendone il pariah che è”. Posizione in realtà smentita dallo stesso Biden, una volta raggiunta la presidenza. Anche l’attuale inquilino della Casa Bianca si muove sullo stesso solco. Trump gode infatti di un ottimo rapporto personale con il principe Mohammed bin Salman (MBS), de facto leader dell’Arabia Saudita, tanto da aver scelto quest’ultima come destinazione della sua prima visita di Stato per tutti e due i suoi mandati presidenziali.
Una scelta poco convenzionale, ma che si rivela conveniente per entrambe le parti, considerando gli investimenti sauditi in favore delle imprese americane che ne sono derivati, raggiungendo il miliardo di dollari, e le conseguenze, misurabili in prestigio internazionale e in possibilità economiche che una buona relazione con la prima potenza mondiale può offrire a Riyad. Ancora di più se si considera il progetto nazionale promosso dal principe MBS, denominato “Vision 2030”, con il quale mira a ridefinire l’immagine del Paese, non più solo come produttore di petrolio, ma come un’economia diversificata, con un ruolo più rilevante nello scenario internazionale.
A questo scopo, il mantenimento di una attenta e bilanciata politica estera si rivela fondamentale per Riyad e utile per chi vuole farne tavolo negoziale.
Quale pace passa per Riyad?
Nei confronti dell’Ucraina, dall’inizio dell’invasione, Riyad ha mantenuto la propria linea, combinando dichiarazioni e iniziative a favore del rispetto per il diritto internazionale ma continuando a mantenere buone relazioni con tutte le parti.
Lo confermano le votazioni all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dove l’Arabia Saudita si è espressa a favore del ritiro delle forze russe dall’Ucraina (febbraio 2023); contro l’annessione russa delle quattro regioni ucraine occupate (ottobre 2023) e a favore della sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina (marzo 2023). Ma anche le iniziative intraprese da Riyad nell’agosto 2023 quando ha ospitato un incontro con più di 40 Paesi – tra cui l’Ucraina – nel “rispetto dei principi di buon vicinato e di promozione della pace”. A questo si sommano poi accordi di finanziamento a sostegno della causa ucraina per un valore di 400 milioni di dollari nel febbraio 2023 e di 5 milioni nel marzo 2025.
Allo stesso tempo, tuttavia, Riyad ha resistito alle pressioni occidentali nell’isolare Mosca e dall’inizio dell’invasione ha anzi ospitato il presidente russo in più di un’occasione. Da parte sua, Putin ha espresso il proprio apprezzamento sostenendo come “nulla possa ostacolare lo sviluppo delle nostre buone relazioni”. I due Paesi sono legati infatti da una lunga tradizione di cooperazione, dove le dinamiche che legano il Cremlino e l’Organizzazione dei Paesi Esportatori del Petrolio (OPEC) – a guida saudita – hanno una rilevanza che non può essere sottovalutata.
Proprio per questo, rimane difficile immaginare che per Riyad gli interessi ucraini possano prevalere su quelli russi e statunitensi. Se la Turchia, oggi come nel 2022, si definisce mediatore ideale e avrebbe potuto contribuire alla realizzazione di un’infrastruttura di sicurezza del Mar Nero, è improbabile che lo stesso ruolo possa essere ricoperto ora dall’Arabia Saudita.
Piuttosto il Paese del Golfo è inconfutabilmente la sede ideale per quella che al momento pare essere la priorità di russi e statunitensi. Nelle parole di Yuri Ušakov, membro della delegazione russa, la cosa più importante oggi sarebbe “avviare una vera normalizzazione dei rapporti tra noi e Washington”.
Non solo, la presenza al tavolo delle negoziazioni di Steve Witkoff e Kirill Dmitriev, rispettivamente nella delegazione statunitense e russa, sollevano il ragionevole dubbio che gli interessi economici siano il vero centro della discussione. Nessuno dei due ha un vero curriculum diplomatico: il primo, miliardario immobiliarista, e il secondo, capo del Fondo sovrano di Mosca, a margine dell’incontro hanno discusso di “cooperazione produttiva” e “progetti nell’Artico”, rivelando la continuazione di quella politica-business a cui ci sta abituando Trump.
Diventa chiaro così come Washington, Mosca e Riyad non hanno che da guadagnare dal successo di questi colloqui, o almeno dalla loro realizzazione. La questione ucraina, invece, non pare essere una priorità per i partecipanti, ma piuttosto sembra ridursi sempre più a “merce” o, secondo altri “un affare”, la cui rilevanza è direttamente proporzionale al suo valore in materiali critici e infrastrutture energetiche.
In ogni caso, la sospensione del sostegno militare statunitense nel mese di febbraio, con le gravi conseguenze che ne sono derivate sul campo, ha messo in evidenza lo stretto vincolo che lega l’Ucraina alle iniziative di Washington. Da cui Kiev non può prescindere, anche quando le azioni statunitensi sembrano andare in direzione contraria al “piano per la vittoria” proposto da Zelens’kyj nell’ottobre 2024. O anche solo alla tanto decantata “pace giusta”.
Luca Ciabocco