Ad oggi, Mosca non rappresenta più l’Unione Sovietica scioltasi nel 1991. Al contrario, il governo si trova a fare i conti con la ben più fragile Federazione Russa, la quale non è più a capo di una grande alleanza militare come fu il Patto di Varsavia né ha un appeal ideologico che risale ad una ideologia universale come il comunismo sovietico, e soprattutto non ha più il PIL dell’URSS.
Questo ovviamente condiziona anche le spese militari, dal momento che la Russia si trova ad essere la sesta potenza economica globale, se si tiene conto del PIL PPP, anziché la seconda economia del pianeta. Il confronto con le spese militari statunitensi risulta impietoso. Washington infatti spende 611,2 bilioni di dollari annui per la sua spesa militare, a differenza di Mosca che ne spende 69,2; inoltre, se per gli USA le spese militari non incidono nemmeno sul 3% del PIL, per la Russia invece queste incidono almeno per il 5% circa del prodotto interno lordo.
Sicuramente, un divario non di poco conto a favore dell’Occidente. Allo svantaggio di Mosca con gli States, bisogna aggiungere anche quello con gli alleati europei, alcuni dei quali (Gran Bretagna e Francia), anche se militarmente più limitati, sono potenze nucleari con diritto di veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
La Russia rimane però una superpotenza nucleare e regge ancora l’equilibrio strategico con gli Stati Uniti d’America, dal momento che è riuscita a conservare, grazie agli aiuti statunitensi degli anni Novanta, l’unità dell’arsenale ex sovietico, caduto in parte rilevante all’indomani del crollo dell’URSS in mano a repubbliche considerate instabili come Kazakistan, Ucraina e Bielorussia. Se nel settore della guerra non convenzionale Mosca mantiene una triade nucleare di tutto rispetto, una parità con l’Occidente e una dottrina nucleare assertiva come quella del 2009 (con la Russia che si riserva il diritto di usare per prima l’atomica in caso di collasso delle sue forze convenzionali in un conflitto), lo stesso non possiamo dire per le forze convenzionali.
La Federazione Russa ha infatti ancora la maggioranza degli armamenti appartenenti al periodo sovietico e in molti casi questi mostrano seri problemi di obsolescenza. Questo è evidente soprattutto nella Marina che tra tutte le sue flotte (Pacifico, Mar Nero, Baltico, Artico) conta più di trecento unità, molte delle quali però malmesse o non operative, mentre anche la portaerei Kuznetsov, l’unica della Marina Russa, ha suscitato l’ilarità dei colleghi della Royal Navy durante il suo viaggio in Siria del 2016 visto il suo arretrato impianto meccanico e i suoi motori a carbone che la rendono facilmente avvistabile. La stessa Kuznetsov già ai suoi tempi era la peggiore della Classe Kiev e da un anno è oramai in riparazione, anche se la Russia difetta di cantieri adatti per la manutenzione delle portaerei. Per questo motivo, l’URSS ha sempre avuto i suoi principali cantieri del settore localizzati in Ucraina, ad oggi inservibili per ragioni ben note alle autorità militari russe.
La flotta russa continua però a mostrare una notevole forza, anche se sempre più obsoleta, nella sua componente sottomarina, coi classe Typhoon che tutt’oggi sono i più grandi sottomarini mai costruiti nella storia dell’uomo, mentre i numerosi upgrade effettuati sui Kilo li rendono ancora fra i più efficienti sottomarini diesel-elettrici al mondo in grado, soprattutto nel Mediterraneo, di mettere in difficoltà persino la NATO. La più efficiente unità navale russa ad oggi è poi l’incrociatore Pietro il Grande costruito negli anni Novanta.
Lo stato di obsolescenza di larga parte della Marina Russa è dovuta al decennio di regressione degli anni Novanta, quando larga parte della flotta del Mar Nero passò all’Ucraina e letteralmente da un giorno all’altro, sotto El’cin, venne tagliato il suo budget miliardario che tanto aveva fatto sognare Tom Clancy. Gli investimenti nel settore passarono tutto d’un tratto alla misera cifra di 25 milioni, rialzati diversi anni dopo da Vladimir Putin, mentre persino una portaerei russa venne venduta all’India. La NATO può invece contare su ben dodici portaerei americane, due spagnole, le nostre Cavour e Garibaldi, la Queen Elizabeth della Royal Navy e la Charles De Gaulle della Marie National, oltre ovviamente alla potenza talassocratica americana in generale con i sottomarini Seawolf, Ohio e i Virginia del 2000.
Lo stato di obsolescenza di larga parte della Marina Russa è dovuta al decennio di regressione degli anni Novanta, quando larga parte della flotta del Mar Nero passò all’Ucraina e letteralmente da un giorno all’altro, sotto El’cin, venne tagliato il suo budget miliardario che tanto aveva fatto sognare Tom Clancy.
La Russia invece, a partire dal 1992, ha impostato la Classe Borej, al momento in realizzazione, ma la scarsità di fondi ha permesso che solo dal 2010 si iniziasse a vedere qualcosa di concreto. Ad oggi sono in cantiere quattro sottomarini, uno è prossimo all’inaugurazione e soltanto due sono operativi, un niente se paragonati ai trenta Virginia americani. La Royal Navy poi, nonostante i recenti tagli post Brexit, risulta comunque essere, assieme alla Bundesmarine, un degno avversario dei russi nel Baltico, capace, con i nuovi sottomarini nucleari Astute ed insieme ai tedeschi U-212, di appoggiare, col sostegno di Washington, Oslo e Copenaghen, un ipotetico blocco economico in caso di guerra.
Ad est e sud-est è invece probabile che Kiev si possa schierare con la NATO in un ipotetico conflitto per recuperare il Donbass e la Crimea, mentre le tendenze neo-ottomane di Erdogan, assieme al rafforzamento dei legami Mosca-Ankara suggellati dal recente acquisto degli S-400 russi, fanno dubitare degli storici legami tra Turchia e Alleanza Atlantica. In questo quadro è palese un vantaggio della Flotta del Mar Nero su marine di paesi come Bulgaria e Romania. Questo potrebbe comportare un imponente schieramento di forze italiane, francesi e greche, visti i legami privilegiati di queste nazioni con la regione balcanica per ribilanciare i rapporti di forza su questo mare. Stando così le cose per i russi sarà molto difficile rifornire la base di Tartus in Siria, con il Mediterraneo sorvegliato anche dalla Sesta flotta americana la quale, nonostante sia stata molto ridotta negli organici, può ancora essere di supporto alla Royal Navy a Cipro e soprattutto alle forze italiane, francesi, greche e spagnole.
Passando all’aeronautica, la NATO può vantare ancora una vantaggio notevole vista la superiorità tecnologica risalente alla Guerra fredda e lo strapotere aereo americano. Inoltre, anche i paesi europei negli ultimi anni hanno avviato numerosi potenziamenti nel campo dell’aereonautica col progetto Eurofighter e grazie agli acquisti di F-16 di provenienza americana (o ultimamente anche israeliana) da parte di numerose aviazioni militari dell’Est Europa.
La NATO può vantare ancora una vantaggio notevole vista la superiorità tecnologica risalente alla
Guerra fredda e lo strapotere aereo americano.
Prende poi sempre più piede il progetto del cacciabombardiere di quinta generazione F-35, già punta della US Air Force, presso i mercati europei. Le consegne sono già iniziate in Italia, Regno Unito e Olanda, mentre anche la Turchia ha già effettuato numerosi ordini, anche se l’instabilità politica e la crescente inaffidabilità di questo paese creano forti dubbi circa le effettive consegne ad Ankara.
Di un certo interesse, inoltre, risulta essere il progetto anglo-francese, realizzato non molti anni fa, del Rafale, nonostante alla fine questo velivolo si sia rivelato costoso e non sia stato esportato in nessun altro paese occidentale. Da parte russa abbiamo invece la più grande aereonautica dell’intero continente, con più di 900 velivoli registrati, composti prevalentemente da MIG 29, Sukhoi Su-27, Sukhoi Su-25 e MIG 23. Una massa imponente che, nonostante i vari upgrade, risalenti prevalentemente agli anni 80′, appare sempre più obsoleta di fronte a velivoli come l’F-35 e il Rafale. Tuttavia, visti i grandi numeri, potrebbe mettere in difficoltà la NATO, soprattutto in una Europa orientale ancora militarmente inferiore alle grandi potenze storiche dell’Europa occidentale.
In questo contesto lo stato della Luftwaffe è particolarmente preoccupante, dal momento che la Germania presenta una flottiglia abbastanza arretrata, composta prevalentemente da Tornado degli anni 70′, e un numero insufficiente di Eurofighter. Potrebbe quindi costituire un possibile ghiotto bersaglio per i russi, specialmente nelle aree della Rhur e di Berlino, potenzialmente meno protette.
Importanti per l’aereonautica russa sono anche i bombardieri strategici in grado di colpire l’Europa intera. Tra questi spiccano gli storici Tupolev Tu 95 e i Tupolev Tu 160, sviluppati dall’URSS tra gli anni 70′ e 80′ ma prodotti prevalentemente dalla nuova Russia di El’cin. Attualmente si stanno producendo anche varianti più moderne, così da rendere questo velivolo la punta di diamante della Vozdusnye Sily. Putin ha poi reso possibile il battesimo del fuoco per il Sukhoi Su-35 e per il Sukhoi Su-30 in Siria, iniziando una lenta produzione in massa degli stessi mentre il Pak Fa, che dovrebbe essere la controparte russa dell’F-35, è limitato a soli nove esemplari.
Infine, è necessario soffermarsi sulle forze di terra. Questo è il campo dove la federazione Russa ha un gap minore con l’Alleanza Atlantica, possedendo addirittura più carri armati degli USA. Mosca infatti può schierare attivamente quasi seimila tank, prevalentemente T-72 degli anni Settanta e Ottanta anche se riaggiornati, e se si prendono in considerazione anche le riserve composte prevalentemente da vecchi e obsoleti T-55 si raggiunge quota 20.000. Sono inoltre in servizio più di 500 T-90 assemblati dagli anni Novanta e le industrie militari meccaniche russe sono ancora in grado di effettuare grandi produzione in massa. Tutto ciò nonostante la carenza di fondi necessari alla produzione dei T-14 dovuta alla crisi del 2014, la cui produzione in massa è stata ridimensionata e posticipata al 2020.
L’Armata russa può poi contare su una notevole componente missilistica che integra pezzi moderni e precisi come i Kalibr, i quali hanno colpito l’Isis dalla regione del Mar Caspio, oltre a molti altri obici e razzi di fabbricazione Sovietica come gli Scud, anche se più arretrati e obsoleti. Questa grande massa corazzata può battere il fianco orientale dell’Alleanza, la quale si ritrova eserciti equipaggiato perlopiù da T-72 e nel caso della Romania addirittura da T-55 prodotti in loco ai tempi del comunismo. Questo potrebbe portare un ipotetico fronte terrestre ad attestarsi sulla Vistola, con i baltici pronti ad attaccare i russi nelle retrovie organizzati in movimenti di liberazione nazionali.
La Germania, terminata la guerra fredda, ha ridotto moltissimo gli organici e i mezzi della Bundeswehr che per decenni era stata la principale addetta alla difesa corazzata europea. Questo, nonostante il notevole know how militare del paese, crea non pochi grattacapi ai vertici militari dell’alleanza e agli Usa che accusano Berlino di spendere troppo poco per la difesa comunitaria.
Ciononostante la Germania, in tempo di guerra, sarebbe la principale fabbricatrice europea di tank coi suoi famosi Leopard 2, mentre gli USA possono contare su 5.000 carri Abrams e rinforzare la U.S Army Europe con mezzi provenienti dal centcom, il comando americano in Medio Oriente, mentre i britannici stanno facendo ottimi lavori col nuovo Challenger 2.
Dal punto di vista degli uomini schierabili, infine, il vantaggio della NATO è invece nettamente palpabile, con tutti i paesi dell’Alleanza che contano circa 800 milioni di persone contro i soli 141 milioni di cittadini della Federazione Russa.
Samuele Mosconi