Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la scomparsa del mondo bipolare, la Federazione Russa sorta dalle sue ceneri nel 1991 non rappresenta altro che un pallido ricordo del suo predecessore. Il Paese appena nato entra in crisi immediata: il rublo è in caduta libera; la disoccupazione e la criminalità aumentano vertiginosamente; un intero sistema politico e sociale deve essere rielaborato.
Cosa resta della superpotenza sovietica e del suo peso geopolitico? Certamente poco, ma di grandissimo valore. Mosca riceve importanti eredità: il seggio permanente al Consiglio di Sicurezza ONU e, quindi, il potere di veto sulle risoluzioni; il possesso e la ricchezza delle estese riserve di fonti energetiche; un ampio arsenale atomico; il consistente export di armi, tecnologie militari e personale tecnico (benché ridotto rispetto al passato).
Guardando l’evoluzione russa dai terribili anni Novanta ad oggi, si può facilmente riconoscere come e dove il Cremlino abbia sfruttato ciascuno di questi strumenti, rimanendo dunque abbastanza ancorato al modello sovietico: in seno alle Nazioni Unite è palese l’azione diplomatica russa, soprattutto se guardiamo oggi alla Siria; la crescita economica dell’ultimo quindicennio si è basata in gran parte sui prezzi delle risorse energetiche e sugli ingenti ricavi ottenuti da queste (con tutti i pro e contro di questa strategia). Infine, la credibilità e l’autorevolezza di certe posizioni è sicuramente rafforzata dal potenziale tecnologico-militare. In cosa consiste oggi l’investimento militare russo e come è cambiato rispetto alla Guerra Fredda e alle prerogative del gigante sovietico?
Per l’URSS il supporto tecnologico-militare è stato fondamentale per garantire la stabilità e la protezione dei suoi alleati (su tutti quelli del Patto di Varsavia), per sondare possibili cooperazioni o qualsiasi tipo di opposizione agli interessi e all’influenza statunitense. Secondo SIPRI, tra il 1950 ed il 1991 Mosca esporta materiali bellici (molti dei quali tutt’oggi impiegati) in oltre 70 Paesi. È difficile quantificare l’esatto volume degli scambi, ma dall’andamento di questi si possono interpretare molti dei rapporti tra l’Unione Sovietica ed i suoi partner. Per restare ancorati al presente prendiamo in esame la Siria e cerchiamo così di capire meglio la storia delle relazioni tra Mosca e Damasco.
Dal 1970 al 1991, l’URSS esporta verso la Repubblica Araba Siriana un volume di tecnologie e strumenti militari secondo soltanto a quello diretto in India, una quantità impressionante se paragoniamo le dimensioni dei due Paesi. Ma il rapporto con Hafiz al-Assad è stato tutt’altro che costante. Il grafico ci mostra chiaramente gli alti e i bassi di questa partnership.
Ai picchi (oltre 3 miliardi) del biennio 1973-1974 (Guerra dello Yom Kippur e crisi petrolifera), segue un crollo verticale (455 milioni) nel 1976, anno dell’intervento siriano in Libano, molto criticato da Mosca. Hafiz al-Assad risponde con l’espulsione di metà dei consiglieri militari sovietici ospitati in Siria e richiedendo il ritiro della Marina sovietica dal porto mediterraneo di Tartus. I dissapori si placano gradualmente e gli affari riprendono a crescere (1,7 miliardi) dal 1980 con la firma del Trattato di amicizia e cooperazione ed ancora tra il 1982 ed il 1983, per sostenere la stabilità domestica del partner siriano, impegnato nella dura repressione (culminata ad Hama) della violenta ribellione guidata dalla Fratellanza musulmana. Da metà anni Ottanta notiamo un inarrestabile declino del volume delle vendite, dettato soprattutto dalla crisi del sistema sovietico e dal suo lento collasso; nel 1991 l’export è ridotto a soli 24 milioni.
Da questo esempio possiamo dedurre come la produzione ed il commercio militare sovietico sia stato fortemente influenzato dagli eventi e dalle tensioni internazionali, tenendo sempre presente il contesto bipolare della Guerra Fredda. Possiamo dire lo stesso per la Russia di oggi?
La guerra è stata una costante nei difficili anni Novanta: Abcasia, Ossezia del Sud, Tajikistan e Cecenia sono gli scenari in cui Mosca deve intervenire nel suo periodo più complesso. Pur essendo impegnata su più fronti, anche la spesa militare accusa i colpi del disastro economico, scendendo fino a 14 miliardi $ nel 1998. Con il nuovo millennio (e con la seconda guerra in Cecenia) il Cremlino lentamente riprende ad investire negli armamenti, incrementando l’investimento in maniera lenta e regolare dal 2001, fino a superare il livello post-URSS dal 2009. Ma, come si può notare dal grafico sottostante, si assiste ad un aumento sostenuto del budget militare dal 2011.
Pur colpita dalla crisi finanziaria globale e con la crescita rallentata, in Russia non conosce crisi il settore degli armamenti; nonostante la performance economica negativa, Mosca incrementa la spesa per la difesa ed il volume del commercio delle armi. Il ventaglio dei principali acquirenti di questo ambito è ancora particolarmente diversificato (ben 61 diversi Paesi hanno acquistato materiale di fattura russa) e l’instabilità crescente della regione mediorientale aumenta il livello di allerta del Cremlino. Il supporto materiale e poi l’intervento diretto in Siria fanno salire la spesa ad oltre 70 miliardi $ nel 2016, pari al 5,3% del PIL; nessuno tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU investe una percentuale simile (gli USA circa il 3%, la Cina l’1,9%). Stando a questi dati, quella russa sembrerebbe una vera e propria escalation, una corsa agli armamenti che non vede rivali nel mondo contemporaneo. Analizzando meglio (e considerando le differenti economie), vediamo che la realtà dei numeri è tutt’altra.
La spesa militare russa non è paragonabile, in volume, a quella statunitense (ben 606,2 miliardi $) e nemmeno a quella cinese. Mosca spende circa 9 volte meno rispetto a Washington, 1/3 rispetto a Pechino e poco più di Parigi e Londra. Nonostante ciò, l’apparato difensivo del Cremlino non ha una minor importanza e bisogna registrare un sostanziale equilibrio USA-Russia a livello di testate nucleari (circa 7.000 a testa). Che si voglia definire politica di potenza o di deterrenza, la Russia sfoggia senza timore le sue potenzialità e le sue capacità; le tecnologie militari sono di alto livello ed in continua innovazione; il cosiddetto OPK, Complesso militare-industriale (Оборонно-промышленный комплекс) rappresenta uno dei fiori all’occhiello dei traguardi dello sviluppo della Federazione. Pochi giorni dopo la liberazione di Palmira (27 marzo 2016), Vladimir Putin ed il ministro della Difesa Šojgu hanno incontrato i rappresentanti dell’OPK a Nižnyi Novgorod, complimentandosi per la qualità e l’efficienza delle armi che hanno consentito il raggiungimento di certi risultati delle operazioni anti-terroristiche in Siria (vengono contati più di 10.000 voli, oltre 30.000 bersagli colpiti, 115 lanci di missili da sottomarini, navi e velivoli).
Possiamo quindi riconoscere una certa affinità (esclusi i numeri) con l’epoca sovietica. Pur venendo meno le distanze ideologiche, la tensione nelle relazioni internazionali attuali risulta decisiva nella pianificazione militare della difesa e sicurezza russa. Da notare come, dal 2014, la Russia si sia concentrata ad apportare cambiamenti in quasi tutti i suoi principali documenti programmatici, come le dottrine della difesa e della strategia militare, della sicurezza marittima e dell’informazione. Spiegazioni più complete si possono trovare nei vari documenti de Il concetto di politica estera della Federazione Russa approvati negli anni, che aiutano a comprendere la percezione russa del mondo, dei suoi problemi e delle mosse previste per affrontarli.
Mattia Baldoni