”Attualmente siamo concentrati su altri format“: la sufficienza e la freddezza con cui il portavoce del Cremlino Dimitrij Peskov ha reagito alle parole di venerdì di Trump (relative a un possibile ritorno della Russia nel consesso dei Grandi, ndr) forse avranno stupito qualcuno, ma non devono ingannare: rappresentano un bluff che non può durare a lungo. E infatti si è già manifestata nelle ultime ore la volontà del presidente russo di incontrare al più presto il suo omologo americano, probabilmente a Vienna, capitale neutrale peraltro appena visitata da Putin. Un’occasione per definire i dettagli strategici del piano di rientro della Russia, o quantomeno un tentativo per ristabilire una fiducia tra i due leader fino ad oggi altalenante.
Al Cremlino l’orgoglio e la prudenza la fanno da padroni, dati i precedenti ma anche la realtà odierna delle sanzioni; tuttavia se l’ipotesi della riammissione nel Club dovesse mai superare gli scogli europei (oltre a quelli interni all’amministrazione americana) e apparire realistica, la Russia non perderebbe di certo l’opportunità di sfruttarla.
L’occasione di un ritorno al G8 è infatti ghiotta per almeno due motivi.
Uno degli obiettivi principali della politica estera della Russia di Putin è il mantenimento (Consiglio di Sicurezza ONU, BRICS) o inserimento (si pensi al Medio Oriente: gruppo di Astana e mediazione nel conflitto israelo-palestinese) nei circoli diplomatici che contano di più, per dimostrare la validità del proprio status di potenza globale. Il G7/G8 è forse il più importante di tutti, oltre che una delle poche sponde dirette per un dialogo con l’Occidente. Se le sopra citate parole di Peskov fossero sincere, non si capirebbe bene a quali “altri format” di livello paragonabile la Russia sarebbe così affezionata. Forse il riferimento voluto è al G20, in ossequio al perseguimento di un multipolarismo adottato a Mosca ormai da anni, ma è chiaro a tutti come l’estensione di un Club di potenze sia inversamente proporzionale al suo prestigio.
Vi è anche un’altra ragione per cui la riammissione della Russia al G8 sarebbe una sirena irrinunciabile per Putin: il fatto costituirebbe un pesante passo indietro per l’Europa e al tempo stesso una vittoria diplomatica inequivocabile per Mosca. La Russia infatti otterrebbe sia il riconoscimento de facto dell’annessione della Crimea, in barba alle dichiarazioni di principio in cui finora si sono profusi i leader UE, sia un successo economico e politico nella resistenza alle sanzioni, che in uno scenario del genere verrebbero sicuramente meno.
Proprio per questi motivi, comunque, il percorso non sarà né breve né facile. L’opposizione europea, fomentata dal pregiudizio per le dichiarazioni politiche di Trump in seguito agli attriti sui dazi commerciali, potrebbe farsi più dura e intransigente del previsto, e costituire dunque un ostacolo insormontabile per una ripresa del dialogo ai massimi livelli con Mosca. L’Italia, benché forse più determinata che in passato nel rompere lo schema delle sanzioni, non sembra ancora nelle condizioni di poter imporre la propria voce in Europa. E dal canto suo lo stesso Trump deve fare i conti con la propria amministrazione, in grandissima parte ostile a una qualsiasi forma di riavvicinamento con la Russia, com’è noto.
La cautela di Putin è quindi più che giustificata.