A Baku da ormai più di un mese si vocifera che la guerra tra Azerbaigian e Armenia possa ricominciare ad aprile. L’obiettivo del governo azero non sarebbe la parte di Nagorno-Karabakh attualmente controllata dai peacekeepers russi, ma il territorio armeno dello Zangezur, che divide Baku dall’exclave di Nakhcivan. Il fine sarebbe, quindi, quello di creare continuità territoriale all’interno del Paese e tra Azerbaigian e Turchia senza dover passare attraverso il corridoio armeno a gestione russa.
Si tratta pur sempre solo di “chiacchiericcio”, di sentito dire da amici di amici che presumibilmente lavorano nell’esercito o hanno fantomatici contatti privilegiati. Eppure queste voci iniziano a farsi più insistenti, a tal punto che anche i russi hanno iniziato a prendere provvedimenti precauzionali. Fonti locali hanno infatti notato come il Cremlino abbia recentemente aperto un avamposto nell’aeroporto di Sisian, nel sud dell’Armenia. Al momento non è chiarissimo quanti uomini e mezzi siano coinvolti, ma questo nuovo dispiegamento proprio nello Zangezur ha il sapore di una mossa preventiva. La situazione d’altronde non è al momento ancora tranquilla. L’Azerbaigian, infatti, condurrà una esercitazione militare da oggi al 18 marzo che coinvolgerà circa 10.000 militari, 100 carri armati, 200 missili, fino a 30 mezzi aerei e un numero imprecisato di droni. Da parte sua, Erevan ha risposto che condurrà anch’essa un’esercitazione militare di portata simile negli stessi giorni.
Bandiere russe all’aeroporto di Sisian. Immagine tratta da un video di Civilnet
In verde l’Armenia e in blu l’Azerbaigian. Lo Zangezur, in particolare, è evidenziato con il verde chiaro. L’avamposto russo all’aeroporto di Sisian è segnato in rosso.
Viene da domandarsi quanto effettivamente siano realistiche queste voci a Baku. Cercheremo quindi di capire se vi è un fondamento di verità dietro questa speculazione o se si tratta semplicemente di chiacchiericcio da ignorare. Inizieremo con gli argomenti che possono dare ragione alle voci di guerre, e proseguiremo poi con gli argomenti che ne minano la credibilità.
Innanzitutto, per il presidente azero Ilham Aliyev una nuova guerra (se vittoriosa) avrebbe una sua logica visto che ne aumenterebbe ancora di più la popolarità. A seguito del trionfo in Nagorno-Karabakh, la popolarità del capo dello Stato è già molto alta, ma non sono comunque mancate critiche sia a lui sia al risultato della guerra. Alcuni azeri, infatti, non hanno gradito la mancata riconquista dell’intera regione del Nagorno-Karabakh, né sono contenti dello stazionamento dei peacekeepers russi nella regione per i prossimi 5-10 anni. Si tratta certamente di una minoranza di voci critiche, specialmente di ultranazionalisti, ma ad un autocrate come Aliyev può infastidire che questi ammonimenti mettano in discussione la grandezza della sua vittoria. Una nuova guerra che conquisti lo Zangezur o una parte di esso avrebbe quindi perfettamente senso per il presidente azero. D’altronde, alla parata della vittoria a Baku del 10 dicembre 2020 il capo dello Stato ha esplicitamente chiamato quest’area (così come Erevan e Goycha) una “terra storica” dell’Azerbaigian.
Oltre alla questione della popolarità, Aliyev potrebbe essere scontento del fatto che il corridoio di transito tra il Nakhcivan e Baku, previsto dall’accordo di pace firmato da Armenia, Azerbaigian e Russia, tarda a concretizzarsi. Questa via di comunicazione, che verrebbe presidiata dai peacekeepers russi nel tratto armeno, è particolarmente importante per il presidente poiché rappresenta una importante conquista politica e permetterà di realizzare una connessione diretta fra Ankara e Baku. Il fatto che il corridoio non sia stato ancora realizzato è in realtà normale, visto che sono previsti tempi e discussioni fra i tecnici delle due parti per mettere a punto un piano di costruzione infrastrutturale. Quello che dunque può preoccupare per davvero Aliyev è l’instabilità politica dell’Armenia, e la conseguenza che questa avrebbe sul corridoio di transito. Parte dell’opposizione armena, infatti, ha chiesto le dimissioni del primo ministro Pashinyan per via della sua condotta politica disastrosa durante la recente guerra in Karabakh. A rendere la situazione particolarmente delicata per il leader è il fatto che anche le forze armate, pur senza intervenire militarmente, hanno richiesto le sue dimissioni. Qualora Pashinyan fosse costretto ad abbandonare la carica, i probabili sostituti sarebbero Kocharyan o Manukyan, esponenti filorussi contrari all’implementazione totale dell’accordo di pace, e quindi potenzialmente avversi al corridoio di transito su territorio armeno. Un recente sondaggio del International Republican Institute (IRI) mostra, tuttavia, come il primo ministro goda ancora di maggiore popolarità rispetto ai suoi rivali. Non sembra dunque probabile che Pashinyan dia le dimissioni, egli può solo al limite appoggiare l’idea di avere elezioni anticipate. L’unico vero rischio è quello di un intervento diretto delle forze armate che rimuovano il capo dello Stato, e successivamente dichiarino non valido l’accordo di pace. Dinnanzi a questa possibilità, è legittimo pensare che Aliyev voglia giocare di anticipo e chiudere la questione conquistando lo Zanzegur o una parte di esso.
Un ultimo punto da tenere in considerazione è il fatto che la Russia è già impegnata su tanti fronti (Nagorno-Karabakh, Ossezia, Abkhazia, Crimea, Donbass, Transnistria, Libia e Siria) e potrebbe teoricamente avere qualche difficoltà a sostenere l’Armenia contro una eventuale invasione azera. La Federazione, inoltre, si troverebbe a dover agire mentre ha già problemi interni piuttosto seri come un’economia che fatica a riprendersi e l’epidemia di Covid-19. Come ciliegina sulla torta, recentemente è aumentato inoltre il rischio di una escalation del conflitto nel Donbass, con l’Ucraina che sta ammassando proprio questi giorni una notevole quantità di mezzi e uomini al confine con le repubbliche separatiste. La speculazione è che Baku potrebbe approfittare della distrazione di Mosca, occupata con l’inasprirsi della guerra con Kiev, per lanciare essa stessa un’offensiva contro l’Armenia. Essendo l’Ucraina ben più importante dell’Armenia per il Cremlino, verrebbero spese più risorse e tempo per sostenere i separatisti nel Donbass piuttosto che gli armeni nello Zangezur.
Il corridoio previsto dall’accordo di pace che connetterebbe la Turchia e il Nakhcivan direttamente a Baku. Immagine tratta da Radio Free Europe.
Veniamo ora alle ragioni per cui è improbabile che le voci di una imminente guerra ad aprile abbiano un fondamento di verità. Innanzitutto, lo Zangezur ha uno status completamente diverso da quello del Nagorno-Karabakh. Quest’ultimo era territorio de facto armeno ma de jure azero, quindi il diritto internazionale ne riconosceva a Baku la sovranità. Il primo, invece, è territorio de facto e de jure armeno, ed una sua eventuale invasione senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU equivarrebbe ad una violazione del diritto internazionale. Questo porrebbe l’Azerbaigian in una posizione di una certa incoerenza, poiché Baku si è sempre appellata al fatto che il diritto internazionale riconosceva ad essa la sovranità sul Karabakh. Violare ora il diritto internazionale invadendo l’Armenia lederebbe sicuramente la posizione e la legittimità di Baku vis-à-vis la porzione di Nagorno-Karabakh temporaneamente controllata dai russi. La condanna internazionale ad una tale azione potrebbe anche essere piuttosto dura viste queste premesse. Se è pur vero che durante la guerra di ottobre-novembre 2020 vi è stata minima critica da parte degli altri Stati verso le azioni di Baku (complici la seconda ondata di Covid, le elezioni americane, e appoggi sottobanco all’Azerbaigian), questo era dovuto innanzitutto al fatto che il territorio in questione era de jure azero. La situazione sarebbe indubbiamente diversa ad aprile per via del diverso status dello Zangezur e del mutato contesto internazionale.
Il motivo più importante per dubitare delle voci di una imminente guerra risiede nell’appartenenza dell’Armenia al CSTO. Quest’ultima è una alleanza difensiva che prevede una serie di meccanismi di cooperazione politica ed economica. In particolare, l’articolo 4 del Trattato prevede che l’aggressione contro uno degli Stati membri equivalga ad una aggressione contro tutti i Paesi aderenti all’organizzazione. Conseguentemente, gli Stati membri sono obbligati ad intervenire, anche militarmente, in soccorso della nazione aggredita. Nel caso del Caucaso questo equivarrebbe all’obbligo per la Russia di difendere l’Armenia dinanzi ad una invasione dell’Azerbaigian. Il fatto che Mosca abbia recentemente aperto un avamposto militare a Sisian nel sud dell’Armenia sembra indicare la serietà e la volontà del Cremlino di venire incontro ai propri doveri istituzionali. È anche vero che il CSTO è stato criticato da più parti per non essere efficace come vorrebbe e per non essere intervenuto quando avrebbe potuto, come per esempio nel 2010 in Kirghizistan. Ma il caso dello Zangezur in Armenia sarebbe una contingenza diversa da quelle precedenti, poiché si tratterebbe per la prima volta di una vera e propria aggressione ad un Paese membro da parte di un altro Stato. È quindi ragionevole pensare che la Russia, per mantenere credibilità internazionale e autorevolezza all’interno dello stesso CSTO, interverrebbe a difesa di Erevan qualora scoppiasse una guerra tra Azerbaigian e Armenia ad aprile.
Le voci a Baku che parlano di una imminente guerra ad aprile hanno una loro logica. Ad Aliyev un’altra vittoria militare farebbe comodo per la propria popolarità, le tensioni politiche in Armenia rischiano di far saltare l’accordo di pace (e conseguentemente il corridoio che collegherebbe il Nakhcivan e la Turchia a Baku), e la Russia è occupata su più fronti, tra cui quello potenzialmente esplosivo del Donbass. Tuttavia, lo status dello Zangezur è molto diverso da quello del Karabakh, e ci sarebbe presumibilmente una grande condanna internazionale a fronte di tale aggressione. Mosca, inoltre, sarebbe teoricamente obbligata ad intervenire a difesa dell’Armenia per via degli obblighi del CSTO. Tenendo in mente quest’ultimo punto la domanda è quindi: l’Azerbaigian, anche a fronte di una distrazione nel Donbass, rischierebbe davvero un confronto diretto con i militari russi? Secondo noi no, sarebbe un azzardo troppo rischioso. In ogni caso aprile è alle porte, e scopriremo a breve se le voci di Baku sono fondate.
I paesi membri del CSTO. Immagine tratta da Stratfor.