Tra il 1952 e il 1953 va in scena in Unione Sovietica, alimentata dalla paranoia e il timore di un complotto internazionale nel contesto della Guerra Fredda, una delle principali cospirazioni della storia sovietica. L’arresto di medici prevalentemente ebrei, accusati di tramare al fine di decapitare le gerarchie, diede inizio a una campagna dai forti toni antisemiti, interrotta solamente dalla morte di Stalin.
Gli ebrei nell’Impero russo tra persecuzione e “speranza socialista”
La storia dell’ebraismo nei territori dell’Impero russo si contraddistingue per una dolorosa sequenza di persecuzioni, alienazione, violenza e antisemitismo talvolta patrocinato dalle autorità imperiali (basti pensare alla creazione dei protocolli dei Savi di Sion da parte della polizia zarista, l’Ochrana). Gli Zar di tutte le Russie, popolose regioni dell’Europa orientale conquistate nel corso di ripetuti conflitti in Europa Orientale, incrociarono i destini di una una consistente popolazione ebraica, retaggio delle migrazioni dall’Europa occidentale dei ghetti, dell’usura e della Chiesa.
Confinati per decreto in una “zona di residenza” (compresa tra il Baltico e il Mar Nero), privati dei diritti civili, sottoposti all’indigenza (complice l’interdizione di molteplici lavori e il discriminatorio sistema delle quote nelle università e nell’amministrazione), al giogo dell’arruolamento forzato e ad un antisemitismo in grado di deflagrare in devastanti pogrom, gli ebrei accolsero con entusiasmo la ventata rivoluzionaria che nel fatidico 1917 finì per abbattere l’impero.
L’istituzione dell’Unione Sovietica, basata sui principi del marxismo-leninismo, prometteva di archiviare il nazionalismo al fine di concentrarsi sull’unità e la solidarietà di classe, superando le identità nazionali al fine di forgiare un “homo novus” sovietico. Un sistema di società che ridimensionasse il nazionalismo e sostenesse la solidarietà interproletaria indipendentemente dall’etnia non poté che suscitare un forte interesse tra le vessate minoranze del multietnico impero, in primis la compagine ebraica alla spasmodica ricerca di affrancamento.
Un richiamo particolarmente attraente per quell’intellighenzia ebraica colta, urbana e secolarizzata. Tanti e sovrarappresentati (anche se certamente non la maggioranza, come propaganda una certa vulgata antisemita promotrice dell’equazione giudaico = bolscevico) gli ebrei russi nei quadri bolscevichi e socialdemocratici; Lev Borisovič Kamenev, Lazar’ Kaganovič, Karl Berngardovič Radek, Grigorij Jakovlevič Sokol’nikov, Trotsky e Grigorij Zinov’ev. Durante l’invasione nazista del 1941 e la “Grande Guerra Patriottica”, con il fine di risvegliare e canalizzare tutte le energie nella lotta al nazifascismo, le autorità sovietiche consentirono al nazionalismo (e ai suoi violenti strascichi) di riemergere.
1945: l’ascesa del nazionalismo e il ritorno dell’antisemitismo
Sulla scia della vittoria sulla Germania nazista, all’interno della comunità etnica russa, cosciente dell’ammontare di sangue versato in difesa della patria, questo nazionalismo iniziò ad assumere tratti esclusivisti e identitari. Lo stesso Stalin in più di un’occasione, riconobbe i sacrifici e il ruolo di quell’etnia russa avanguardia dell’esperimento sovietico e di quella missione di liberazione socialista da assolvere aprendo la strada alle nazioni sorelle. Nel corso di un ricevimento in onore dei comandanti dell’Armata Rossa tenuto al Cremlino nel 1945, lo stesso Stalin ebbe a brindare alla nazione russa:
“Bevo, prima di tutto, alla salute del popolo russo, perché in questa guerra ha ottenuto il riconoscimento generale come forza trainante dell’Unione Sovietica tra tutte le nazionalità del nostro paese. Faccio un brindisi alla salute del popolo russo non solo perché guida dei popoli, ma anche perché possessori di una mente lucida e un carattere risoluto”.
Iosif Stalin, Discorso al ricevimento al Cremlino in onore dei comandanti delle truppe dell’Armata Rossa per celebrare la vittoria sulla Germania. 24 maggio 1945*
Al fine di sublimare questo nazionalismo nel peculiare contesto sovietico, le autorità sovietiche inaugurarono una campagna contro il cosmopolitismo e la cultura borghese di ispirazione occidentale che sarebbe durata fino alla morte di “Koba il Terribile” nel 1953.
“Ogni colpo di martello è un colpo contro il nemico”. Poster anticapitalista e antiborghese sovietico.
La propaganda ufficiale iniziò a criticare con veemenza quell’intellighenzia sovietica accusata di eccessiva compiacenza verso l’arte e la scienza occidentale. L’attacco volto a bilanciare nuovamente gli equilibri di potere e schiacciare paranoie controrivoluzionarie, trovò terreno fertile nel mai sopito antisemitismo diffuso ad ogni livello dell’opinione pubblica sovietica, dal popolino alle massime gerarchie del Cremlino. In questo clima, le accuse rivolte agli intellettuali ebrei di scarsa adesione agli interessi della «patria socialista», dedicandosi alla difesa del particolarismo identitario e l’accusa di apoliticismo e di essere estranei alla causa dell’«internazionalismo proletario», furono tra i vettori che rimodellarono l’atteggiamento del Cremlino verso gli ebrei.
Poiché l’antisemitismo era associato alla Germania nazista ed era ufficialmente condannato dal sistema sovietico, l’URSS e altri stati comunisti lo sostituirono col termine “anti-sionismo” per giustificare le politiche discriminatorie. Un antisemitismo formulato nel linguaggio dell’opposizione al sionismo. Le congiunture internazionali entrarono in questo contesto visto il subitaneo processo di gestazione dello Stato di Israele. Nonostante il ruolo non secondario dell’Unione Sovietica nella fondazione della patria ebraica, in quegli anni essere accusati di «sionismo» serviva a richiamarne l’origine ebraica, lasciando margine di manovra che la vocazione al tradimento degli interessi «socialisti» fosse insita all’interno dell’appartenenza etnica a tale popolo.
Lo smacco israeliano e l’affaire del “Comitato antifascista Ebraico”
Se l’Unione Sovietica fu il primo Paese a riconoscere Israele, guardando con benevolenza all’epopea dei pionieri socialisti in Palestina e coltivando la speranza di poter assistere alla nascita di un alleato all’interno di un asse anticoloniale, la posizione filoccidentale di Gerusalemme contribuì presto a separarne le strade, orientando Mosca verso il blocco panarabo. L’ostilità seguita allo scacco subito in Medio Oriente si ritorse contro gli ebrei sovietici in un impeto di paranoia di Stato, amplificata dalle tensioni della Guerra Fredda. La leadership sovietica percepiva ogni contatto con l’Occidente attraverso una lente di sospetto e l‘intellighenzia ebraica era particolarmente soggetta al risentimento. Essa veniva infatti identificata come fonte di reclutamento per i servizi di intelligence occidentali attraverso le relazioni con le organizzazioni ebraiche internazionali.
Sebbene già dal 1949 si fossero verificati arresti di alcune importanti personalità ebraiche, il primo segno di un epurazione si ebbe il 27 novembre del 1951 con l’arresto di Rudolf Slànsky, segretario del Partito comunista cecoslovacco ed altri quattordici dirigenti (undici ebrei). L’ origine ebraica è stata una delle ragioni principali per cui l’uomo politico cecoslovacco venne scelto come vetrina di questo processo farsa. Insieme agli altri funzionari comunisti fu accusato di cospirazione sionista-titoista-trotskista e incriminato di alto tradimento. Tutti gli imputati sono stati costretti a dichiararsi colpevoli di spionaggio e divulgazione di segreti militari, condannati a morte e impiccati.
La vicenda del “Comitato antifascista ebraico” è altrettanto illuminante al fine di dare un’idea del clima di paranoia antisemita dell’epoca. Il Comitato antifascista ebraico, fondato nel 1942 con l’obiettivo di influenzare l’opinione pubblica internazionale e predisporre il sostegno per la lotta sovietica contro Germania nazista, ebbe un ruolo significativo nel fare pressioni al fine di accordare assistenza militare occidentale ai sovietici. Con la conclusione della guerra il comitato non interruppe i suoi lavori. Si coordinò con organizzazioni ebraiche mondiali con l’obiettivo di raccogliere documentazioni in merito agli eventi dell’Olocausto.
Un’iniziativa osteggiata dalle autorità centrali, contrarie all’atteggiamento di predilezione del Comitato verso la tragedia dell’Olocausto, che sposavano invece la posizione secondo cui le atrocità naziste si fossero verificate contro tutti i cittadini sovietici e che fosse sbagliato sottolineare le crudeltà contro una singola etnia. Nel 1946, su raccomandazione del MGB, il Ministero per la Sicurezza dello Stato, ebbe inizio la persecuzione e l’epilogo del comitato. Nel 1948 l’ex presidente del comitato, Solomon Mikhoels, venne eliminato a Minsk su ordine di Stalin. L’organizzazione, accusata di infedeltà e cosmopolitismo, venne abolita e i suoi leader arrestati e condannati a morte. L’epilogo del comitato scatenò un’ulteriore ondata di repressione organizzata in tutta l’Unione Sovietica contro i cittadini di origini ebraiche accusati di doppia lealtà e nazionalismo borghese.
Il fisico tedesco Albert Einstein con il poeta yiddish Itsik Fefer e l’attore russo Solomon Mikhoels nonché presidente del Comitato Antifascista Ebraico.
Il complotto dei medici
Dato il peculiare contesto dell’epoca, una scintilla diede inizio alla persecuzione. Il pretesto per la repressione dei medici in Unione Sovietica pone fondamento in una lettera del 1940 inviata da Lydia Timashuk, cardiologa dell’ospedale del Cremlino, in cui la professionista denunciava l’atteggiamento sospetto tenuto dal medico che aveva preso in cura Andrei Zhdanov, reo di aver somministrato al membro del Comitato Centrale (potenziale successore nonché genero di Stalin, avendone sposato la figlia Svetlana) un trattamento errato, se non di aver cospirato nell’eliminarlo. Zhdanov aveva subito un attacco di cuore ed era in cura dal professor Yaakov Etinger.
La lettera della dottoressa Timashuk rimase per quattro anni sepolta all’interno dell’archivio burocratico sovietico ma nell’agosto 1952, in un contesto particolarmente prono a complotti e paranoie, la cardiologa fu convocata e interrogata sulla morte di Zhdanov. Tutto ciò coincise con una linea di indagine di Mikhail Ryumin, vicecapo del MGB che aveva guidato l’interrogatorio del professor Etinger e poi costretto a dimettersi per ordine del ministro della sicurezza dello Stato Viktor Semënovič Abakumov. Per inciso, quest’ultimo fu a sua volta costretto a dimettersi e Ryumin scrisse a Stalin accusando Abakumov di non aver fatto abbastanza per impedire ai medici di progettare l’eliminazione dell’alta dirigenza sovietica.
Sulla base della lettera della dottoressa Timashuk e della richiesta di Ryumin, Stalin incaricò quest’ultimo di guidare le indagini sulla possibile esistenza di un complotto dei medici. Nell’ottobre del 1952 Semyon Ignatyev, capo dell’MGB, informò il capo di Stato che erano state trovate prove in merito all’esistenza di un complotto per eliminare i dirigenti del partito. Colpito dalla rivelazione, il dittatore ordinò l’arresto dei cospiratori. Quando Lavrentij Beria, capo della polizia segreta, riferì che il suo medico personale Vladimir Vinogradov gli aveva prescritto un allontanamento dall’attività politica per motivi di salute, Stalin interpretò tale prescrizione come un tentativo di spodestarlo. Furioso, ordinò indagini al fine ottenere confessioni dagli accusati e per assicurarsi che la natura sionista dei cospiratori fosse scoperta, in particolare i legami con le organizzazioni di intelligence occidentali in collaborazione con quelle ebraiche sovietiche.
“Infami cospiratori”: la stampa al servizio della cospirazione
Il 13 gennaio 1953 sulle pagine della Pravda, l’organo di stampa ufficiale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, apparve un articolo intitolato “Sotto la maschera dei professori-dottori: spie e assassini infami“, una delirante tirata dalla forte natura antisemita. Nell’articoli si fornivano i nomi dei presunti artefici del complotto, concentrandosi su coloro in possesso di un evidente cognome ebraico come Vovsi, Kogan, Feldman, Greenstein, Etinger, accusati di essersi venduti all’intelligence americana, cooptati dalla borghesia ebraica internazionale, nonché di aver contribuito a smascherare la natura delle organizzazioni ebraiche sovietiche.
L’articolo forniva i nomi di nove cospiratori, la maggior parte di loro erano professori ed erano ebrei. Secondo ulteriori particolari diffusi dall’agenzia «Tass», i nove medici avevano fornito ampie confessioni e ammesso d’aver ucciso Zhdanov e di aver tentato di riservare lo stesso trattamento ad altri leader sovietici. Presente nella confessione anche un’esplicita accusa al «Joint» (un’organizzazione di soccorso ebraico americana), che sotto il pretesto di fornire assistenza agli ebrei residenti in altri Paesi, svolgeva attività di spionaggio e terrorismo nei Paesi dell’Europa dell’Est sotto il giogo sovietico. L’asfissiante campagna di sospetti, ricatti, delazioni, diffamazioni e paranoie, si sgonfiò nei primi giorni di marzo, quando iniziò l’agonia di Stalin, destinato a morire il 5 dello stesso mese.
Il funerale di Stalin. Tra gli astanti, Nikita Khrushchev, Lavrentij Beria, Georgij Malenkov e Vjaceslav Molotov
La morte di Stalin, un necessario voltafaccia
Dopo la morte di Stalin, il 5 marzo 1953 l’”affaire” si sgonfiò, la nuova leadership respinse tutte le accuse relative al complotto. I medici accusati furono prosciolti dal neonominato ministro degli Interni, Beria, e il 6 aprile questo venne comunicato all’opinione pubblica sulla Pravda. L’investigatore capo dell’MGB e viceministro della sicurezza dello Stato Mikhail Ryumin venne accusato di aver inventato il complotto, arrestato e giustiziato. Al dottor Timashuk, a cui era stato assegnato l’ordine di Lenin per la delazione e per la successiva testimonianza, questa onorificenza venne revocata e cadde in disgrazia.
Un funzionario del Komsomol, Nikolai Mesyatsev fu incaricato da Malenkov di esaminare il caso del complotto dei dottori scoprendo grossolane falsificazioni e che le confessioni erano state ottenute sotto tortura. Entro il 3 aprile 1953 tutte le persone arrestate in relazione al complotto furono rilasciate e riabilitate socialmente e professionalmente. Yakov Gilyarievich Etinger, non poté gioirne essendo perito sotto tortura già nel 1951. Nel “Discorso segreto” del 1956 (prodromo al processo di destalinizzazione) il successore di Stalin, Nikita Krusciov dichiarò che il complotto dei dottori era stato ideato Stalin, ma che questi non aveva avuto il tempo per portarlo a termine. Vi erano senza dubbio ovvie complicità ampliamente ramificate ad ogni livello dei potenti apparati, tuttavia, solo Stalin aveva la visione globale per guidare la cospirazione e le conseguenze.
Antisemitismo, purghe e deportazioni
Consci delle possibili ripercussioni interne ad un’opinione pubblica frastornata dal clima di opprimente sospetto e delazione, ma anche della possibilità che l’intera iniziativa potesse divenire col tempo ingestibile, riversandosi contro di loro, furono i membri del Politburo Krusciov, Beria e Malenkov a quietare le acque e smorzare il generale afflato antisemita. La storiografia è divisa sulle intenzioni di Stalin in merito alla decisione di indugiare in tale persecuzione. Se da un lato è fuori dubbio la paranoia e l’antisemitismo di Stalin, la costruzione del complotto rispondeva in tutta probabilità alla necessità di procedere ad una gigantesca e ulteriore purga contro i leader dell’apparato, giudicato inadeguato a fare fronte all’eventualità di una nuova guerra mondiale.
Esiste una versione, non sufficientemente comprovata da fonti documentarie, secondo la quale il processo dei medici avrebbe dovuto rappresentare il principio di feroci campagne antisemite e una deportazione dei cittadini di origine ebraica in Siberia. Sullo sfondo dei sentimenti antisemiti divampati tra la popolazione e provocati dalla propaganda sovietica, la deportazione avrebbe dovuto apparire come un “atto di umanità” per salvare gli ebrei dalla rabbia popolare, dai pogrom e dal linciaggio. Tuttavia, i documenti del 1953 che autorizzano la costruzione di quattro nuovi campi di concentramento nell’Asia sovietica confermano che le autorità si stavano preparando per un afflusso di prigionieri politici, avvalorando, di conseguenza, la prima tesi.
Bibliografia
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Andrea Graziosi, L’ Urss dal trionfo al degrado. Storia dell’Unione Sovietica 1945-1991, il Mulino (2008)
Jonathan Brent, Stalin’s Last Crime: The Plot Against the Jewish Doctors, 1948-1953
Yakov Rapoport, Doctors’ Plot of 1953, Harvard University Press (1991)