Seconda puntata della nostra rubrica Smolensk, a cura di Marco Limburgo.
Si discute ancora vivacemente della reazione di Iosif Stalin quando gli venne comunicato che l’imponente esercito nazista aveva attraversato in armi il confine sovietico. Secondo alcuni storici il leader georgiano fu talmente colpito dalla notizia che cadde in uno stato di profonda depressione che facilitò enormemente l’avanzata irresistibile della Wehrmacht e dei contingenti alleati. Secondo fonti diametralmente opposte la notizia non colpì poi tanto la dirigenza sovietica, che si aspettava già dagli albori del conflitto un’invasione fascista, prevedendo la sua sconfitta (anche a costo di enormi perdite) che avrebbe ulteriormente rafforzato il colosso comunista. Dunque consentendogli un’ulteriore espansione internazionale, la costruzione di sfere di influenza in Eurasia e una stretta repressiva sulle popolazioni assoggettate.
Speculazioni a parte, l’Operazione Barbarossa rappresenta tutt’ora la più vasta operazione terrestre della storia dei conflitti armati. Un intervento che, indebolendo le già provate risorse dell’Asse, rovesciò le sorti del conflitto portando i sovietici, quattro anni dopo e vittoria dopo vittoria, alla spettacolare offensiva finale conclusa trionfalmente con la conquista del Reichstag. Ma quali furono le motivazioni che convinsero il Führer dell’inevitabilità dell’offensiva? Differenti ragioni politiche e militari. La politica estera hitleriana poggiava sul concetto di Lebensraum, ovvero dello spazio vitale per il popolo tedesco da conquistare assoggettando le terre ad est fino agli Urali e schiavizzando gli slavi, considerati “subumani”. Il tutto attuando politiche di sterilizzazione coatta e germanizzando le popolazioni autoctone considerate degne.
Il bolscevismo sovietico rappresentava per l’ideologia fascista non solo un nemico mortale e un agente dell’ebraismo internazionale, ma anche l’unico ostacolo verso la ridefinizione di un nuovo ordine europeo costruito a immagine del “Großgermanisches Reich”, il grande impero tedesco esteso dalla Renania agli Urali – culla della futura prosperità economica e demografica tedesca. Le due entità politiche si spiavano, studiavano e detestavano profondamente e nessuno dei due contendenti credeva nella buona fede del patto di non belligeranza firmato nell’agosto del 1939. Hitler era ben consapevole della fragilità dell’esercito sovietico (indebolito dall’inaspettata resistenza finlandese e dalle scriteriate purghe al vertice frutto della paranoia staliniana) e arrogantemente sicuro delle capacità della sua macchina bellica temprata in Francia, Scandinavia e Balcani. Fiducioso nelle proprie capacità militari, il Führer si aspettava una passeggiata trionfale e non si era preparato per una guerra che si sarebbe protratta per anni.
Non equipaggiò nemmeno le truppe per l’eventualità di una guerra invernale, dotandole di abbigliamento adeguato a un clima rigido. La rapida sperata contro l’Armata Rossa, a suo parere, avrebbe incoraggiato la Gran Bretagna ad accettare i termini della pace. La strategia decisa da Hitler, e dai suoi assistenti dell’alto comando tedesco, prevedeva l’impiego di tre gruppi di armate incaricati di conquistare regioni ben definite, obiettivi specifici quali i grandi bacini industriali e le più importanti città dell’Unione Sovietica: il gruppo d’armate Nord era incaricato di avanzare verso i Paesi baltici con obiettivo finale la cattura di Leningrado (l’attuale San Pietroburgo) con l’appoggio dell’alleato finlandese. Il gruppo armate Centro (il più numeroso), marciando attraverso la Bielorussia, si sarebbe dovuto occupare della resistenza più ostica in direzione Mosca al fine di decapitare il Politburo sovietico. Infine, il gruppo d’armate Sud si sarebbe dovuto muovere attraverso l’insofferente Ucraina cercando la cooperazione con gli irredentisti locali e altre popolazioni ostili ai sovietici – cercando di sfondare verso l’agognato Caucaso, ricco di petrolio e strategicamente centrale per gli interessi nazisti.
I primi dieci giorni si dimostrarono drammatici per gli invasi: i nazisti penetrarono a fondo nel territorio sovietico; decine di divisioni russe furono accerchiate e annientate e la potenza dell’aviazione nazista (la famigerata Luftwaffe) annichilì metodicamente mezzi corazzati e postazioni difensive. La vittoria dell’Asse sembrava imminente, stupendo persino i gerarchi nazisti, in gran parte contrari all’aggressione (pesava d’altronde lo stillicidio di risorse impiegate per far fronte alla coraggiosa resistenza britannica) ma la situazione si capovolse velocemente. Nell’immaginario popolare fu il grande inverno ad assestare il colpo finale al piano d’invasione nazista, ma non è da sottovalutare il crollo del morale degli aggressori per via della strenua resistenza sovietica, il disorientamento dei generali nazisti combattuti fra l’obbedienza agli ordini del Führer e le necessità tattiche, e in ultimo il fallito obiettivo degli invasori di conquistare i tre centri nevralgici del colosso sovietico: Mosca, Leningrado e Stalingrado.
Quest’ultima città è entrata prepotentemente nell’immaginario comune come esempio di resistenza testarda, eroica e patriottismo e tutt’ora sono decine i libri, film e videogiochi che hanno scelto la città sul Volga come ambientazione ideale per i propri racconti. La controffensiva comunista fu altrettanto violenta e le postazioni naziste crollarono una dopo l’altra nonostante i tenaci tentativi di resistenza delle stremate armate dell’Asse, costrette a cedere il passo allo strapotere dell’Armata Rossa (equipaggiata anche grazie agli aiuti provenienti dagli Stati Uniti). La Grande Guerra Patriottica, costata più di 20 milioni di morti, è ancora festeggiata con un’imponente parata ogni 9 maggio, nella Piazza Rossa, alla presenza di diversi leader mondiali. Ed è la perfetta occasione per la Russia di dimostrare la propria forza e ribadire al mondo la propria resilienza e continuità nonostante gli attriti con le potenze confinanti. Ancora oggi in tutta la Russia, e non solo, è possibile sentire le note del notissimo canto popolare sovietico “Двадцатьвторогоиюня, ровнов 4 часа” (Ventidue di giugno, esattamente alle 4 in punto) che ripercuote in tutta la sua crudezza cosa ha rappresentato per il coraggioso popolo sovietico l’invasione fascista e quanto forte fosse la volontà di rivalsa e sanguinosa vendetta:
Il ventidue di Giugno,
Esattamente alle 4 del mattino
Kiev fu bombardata, ci hanno avvisato
Che la guerra era iniziata.
La guerra era iniziata all’alba
Per poter uccidere più persone.
I genitori dormivano, i loro bambini dormivano
Quando iniziarono a bombardare Kiev.
I nemici erano un’enorme valanga,
E non vi erano forze per bloccarli;
Come entrarono nelle terre della nativa Ucraina
Iniziarono a uccidere gente.
Tutto il popolo ucraino sorse
Per la cara madrepatria Ucraina.
Tutti gli uomini andarono in battaglia,
Bruciando la loro casa e lo stabilimento.
Missili e bombe vennero esplose,
Carri armati strepitarono la loro corazza,
I Falconi Rossi volarono nel cielo,
E corsero a Ovest come frecce.
Venne il gelido inverno
I nemici erano vicinissimi a Mosca,
Spararono i cannoni, ed esplosero le bombe
Riducendo i Tedeschi in pezzi.
La battaglia per la capitale era finita
I Tedeschi vennero messi in fuga,
Abbandonarono carri armati, abbandonarono bombe,
Si lasciarono dietro migliaia di soldati.
Ricordatevi, Hans e Fritz
Presto verrà l’ora
Che vi striglieremo la nuca pidocchiosa,
E vi ricorderete di noi.