Il Covid-19 ha colpito duramente l’Asia centrale. Impreparati sul piano industriale per affrontare una campagna di inoculazione di massa, i Paesi della regione hanno sfruttato il proprio approccio multivettoriale nelle relazioni internazionali per assicurarsi le prime partite di vaccini. Ma non tutti i fornitori sono uguali.
La diplomazia dei vaccini è emersa con estrema crudezza nel corso di questa pandemia. Alcuni Stati hanno avviato campagne di inoculazione di massa da mesi, altri ancora non sanno in che modo ottenere le tecnologie per conservare i farmaci: l’Asia centrale si va a collocare pienamente tra le regioni del mondo in cui la campagna vaccinale sta procedendo a maggior rilento.
Limitati dalle capacità modeste delle rispettive economie, gli Stati centro-asiatici hanno cercato di inserirsi nella corsa ai vaccini pur sapendo di non essere in grado di acquistarne volumi importanti prima degli altri Paesi sviluppati. Sono altresì consci delle carenze strutturali e degli oggettivi limiti tecnologici di cui soffrono, a causa dei quali non tutti i farmaci sono realmente utilizzabili dai propri medici.
In questo contesto complicato, seppur variegato al proprio interno, le cinque repubbliche centro-asiatiche si sono attivate sulla base delle rispettive agende politiche per contattare le maggiori case farmaceutiche del mondo e assicurarsi le prime dosi di vaccino. Cionondimeno, in merito all’approvvigionamento hanno dimostrato quanto differiscano le vedute dei cinque governi in politica estera, con obiettivi di medio-lungo termine e partner privilegiati diversi.
Kazakistan: la ricerca del balzo in avanti, tra Mosca e l’Occidente
Vantando l’economia più sviluppata di tutta l’Asia centrale, il Kazakistan si è lanciato con convinzione nella propria campagna vaccinale, avviando rapidamente i contatti con il governo russo per l’adozione di Sputnik V e iniziando nel mese di febbraio l’inoculazione di massa della propria popolazione.
Oltre ad importarlo dalla Russia, la repubblica centroasiatica si è attrezzata per produrre Sputnik V sul proprio territorio, negli impianti farmaceutici di Karaganda. Questo fa del Kazakistan il primo Stato a produrre su licenza il vaccino sviluppato da Mosca, evidenziando un interesse verso il know-how di cui dispone il proprio vicino. Le storiche relazioni di amicizia tra i due Paesi consentono di comprendere quanto la diplomazia dei vaccini favorisca il mantenimento di un’influenza russa su Nursultan, che negli ultimi anni spesso ha guardato all’Occidente. Allo stesso modo ciò permette alla Federazione di guadagnarsi un credito maggiore nell’opinione pubblica kazaka rispetto alle nazioni europee e agli Stati Uniti.
Le maggiori case farmaceutiche dell’Occidente saranno in grado di esportare i propri prodotti verso Nursultan soltanto a partire dal secondo semestre del 2021, come emerso dagli accordi presi tra il governo kazako e la casa farmaceutica tedesco-statunitense Pfizer-BioNTech. Il ricorso a questo vaccino appare, dunque, di importanza secondaria rispetto a quello russo, più facile da produrre su licenza e da distribuire rispetto al siero concorrente. I vaccini cinesi Sinopharm e Sinovac Biontech, invece, non sono stati oggetto di prenotazione da parte del governo kazako, che sconta su questo piano una mancanza di fiducia della popolazione verso le tecnologie cinesi e l’affidabilità dei due sieri.
L’elemento di maggiore interesse della campagna vaccinale kazaka è rappresentato dalla messa a punto di un vaccino proprio, QazVac, non ancora approvato ma che sarà reso disponibile a partire dalla fine di aprile. Esso verrà prodotto inizialmente dalla Turchia e, successivamente, da Nursultan stessa che sta erigendo uno stabilimento da destinare proprio alla produzione del siero nazionale. Il fatto che tale farmaco, sviluppato autonomamente dagli scienziati kazaki, venga prodotto ad Ankara lascia intendere quanto strette siano le relazioni tra questi due Paesi. Inoltre, ciò dimostra quanto la diplomazia dei vaccini possa agire a vantaggio della Turchia anche in assenza di un siero proprio, grazie alla sua disponibilità di impianti nazionali in grado di produrlo e l’incapacità del Kazakistan di infialarlo.
Uzbekistan: autonomia strategica e asse con Pechino
Sul piano strategicamente opposto rispetto al Kazakistan si è mosso, invece, l’Uzbekistan. Gelosa della propria autonomia rispetto all’influenza della Russia, Tashkent ha avviato la vaccinazione di massa utilizzando in larghissima misura il vaccino cinese ZF2001, rinominato ZF-UZ-VAC 2001, in virtù del fatto che la fase 3 dello sviluppo del siero è stata condotta anche in territorio uzbeco.
Il fatto che l’Uzbekistan abbia più volte definito il siero come “sino-uzbeco” lascia intendere quanto sia importante per Tashkent potersi presentare dinanzi al resto della comunità internazionale con un proprio vaccino, sebbene le ricerche siano state condotte quasi esclusivamente in Cina. Ciononostante, il governo si sta organizzando con i Jurabek Laboratories per avviare la produzione del farmaco anche sul proprio territorio, dovendolo attualmente importare dalla RPC.
Nonostante la propria preferenza verso la Cina, l’Uzbekistan ha approvato a febbraio il vaccino Sputnik V, che sarà disponibile per l’inoculazione di massa del Paese a partire dalla fine di aprile. Sebbene il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov abbia ipotizzato l’avvio della produzione su licenza del vaccino da parte di Tashkent, ad oggi non sono stati fatti significativi passi in avanti in tal senso.
L’Uzbekistan ha, inoltre, aderito al programma COVAX, ricevendo nel mese di marzo oltre 600.000 dosi del vaccino Oxford/AstraZeneca prodotte in India. Questo ha fatto sì che con l’avvio dell’inoculazione di massa il primo aprile la popolazione potesse scegliere tra il siero cinese e quello anglo-svedese, evidenziando una netta preferenza per quest’ultimo.
Turkmenistan, Tagikistan e Kirghizistan: limiti strutturali e solidarietà internazionale
Gli altri tre Stati centro-asiatici giocano nella partita un ruolo marginale per alcune ragioni che ne limitano le manovre.
Il Turkmenistan ha prima annunciato di essere immune al Covid-19, poi ha visto il presidente Gurbanguly Berdimuhamedov asserire nel dicembre scorso che la cura per il virus fosse la liquirizia, fino ad approvare i vaccini russi Sputnik V e lo sperimentale EpiVacCorona. Ašgabat ha anche ricevuto aiuti da altri membri della comunità internazionale per combattere la pandemia, Cina in primis.
In Tagikistan il presidente Emomali Rahmon ha dichiarato nel mese di gennaio il proprio Paese Covid-free, sebbene abbia scelto di aderire al programma COVAX ed abbia ricevuto 192.000 dosi di siero Oxford/AstraZeneca, mentre sono stati presi contatti anche con Cina e Russia per ulteriori forniture vaccinali.
Il Kirghizistan si trova di fronte alla situazione più complessa, gravato da un importante debito pubblico che ne riduce la capacità di organizzazione della rete vaccinale e di acquisto dei sieri. Biškek sta basando la propria campagna di inoculazione quasi esclusivamente su donazioni di altri Paesi sia nell’ambito COVAX per ricevere dosi di Oxford/AstraZeneca sia su base volontaria, con Russia e Cina impegnate a fornire dosi di Sinopharm e Sputnik V. Al momento, tuttavia, la campagna vaccinale kirghisa si basa quasi esclusivamente sul siero Sinopharm, a causa dei ritardi del farmaco anglo-svedese legati ai controlli sugli effetti collaterali, mentre le forniture di vaccino russo dovrebbero giungere alla fine di aprile.
Una regione a due velocità
L’approccio delle cinque repubbliche centro-asiatiche alla corsa al vaccino riflette i rapporti di forza che sussistono nella regione. Se da un lato vi sono Kazakistan e Uzbekistan che agiscono come dei veri player, dall’altro lato si collocano Turkmenistan, Kirghizistan e Tagikistan, incapaci di perseguire delle politiche autonome e incisive sul piano vaccinale.
Nursultan si è dimostrata pienamente in grado di affrontare la sfida del Covid-19, sfruttando i suoi ottimi rapporti con Mosca per portarsi in vantaggio con le forniture di siero russo e con produzioni su licenza, mentre contemporaneamente è riuscita a proseguire nello sviluppo di un proprio vaccino e di prepararsi all’acquisto di farmaci dall’Occidente. Questo la rende lo Stato che sta gestendo meglio la situazione.
Tashkent ha usato la pandemia per tentare di rafforzare i propri legami con Pechino, avvantaggiandosi sul piano retorico della possibilità di presentarsi dinanzi alla comunità internazionale con un proprio siero sino-uzbeco, che si sta preparando a produrre sul proprio territorio. Aderendo al programma COVAX e rifornendosi anche di vaccini russi esso sta mantenendo la sua politica di autonomia strategica, non dipendendo oltremodo da nessun fornitore.
Ašgabat si trova a dover scontare i limiti della propria classe dirigente, che ne hanno ristretto molto il raggio d’azione. Biškek vive in una situazione di pesanti ristrettezze economiche, che le impediscono di perseguire una politica autonoma sul piano della lotta al virus. Dušanbe a modo proprio sconta entrambe queste difficoltà, sebbene più temperate.
La pandemia ha messo in evidenza quali saranno gli Stati pronti a diventare soggetti geopolitici autonomi nella diplomazia dei vaccini. Mentre il Kazakistan e l’Uzbekistan corrono, gli altri stanno ancora cercando le scarpe.