Se ci si reca oggi nella città ucraina di Poltava (Полтава) si può visitare il museo della battaglia omonima con ricostruzioni telematiche, reperti storici e diorami che illustrano diligentemente i movimenti delle truppe dell’epoca. Ma per quali motivi questa battaglia (fra le tante combattute sul fertile suolo ucraino) è cosi importante tanto da essere tutt’ora celebrata?
Nella smisurata pianura ucraina il 28 giugno 1709 si decise il destino di due imperi e di due personaggi storici con opposte fortune ma ben vivi nella memoria e nel folklore storico culturale. Uno zar ambizioso e un re generale svedese sono i protagonisti della nostra storia. Agli inizi del Settecento assistiamo a un periodo di turbolenze, conflitti e alleanze nel contesto europeo; nazioni e confederazioni si rafforzano pretendendo un posto tra le potenze europee.
La Svezia è tra i principali attori di questo gioco. L’ascesa della nazione affacciata sul Baltico coincide con la fortuna di diversi monarchi, abili strateghi e governatori; primo fra tutti Gustavo Adolfo che rivoluzionando l’ars bellica contemporanea nella logistica, nella tattica e negli armamenti intervenne nei fragili equilibri della sanguinosa guerra dei Trent’anni. La Svezia presa in eredità da Carlo XII era un paese solido, ordinato ed economicamente vigoroso seppur spopolato e minacciato dalle offensive di polacchi, russi ed entità statali tedesche in ascesa.
Carismatico, amato dai soldati e abile nella diplomazia, il re svedese si ritrovò a combattere una serie di estenuanti conflitti sul continente che avrebbero messo a dura prova, nonostante la resilienza dimostrata, le flebili risorse dello Stato. Ambizioso e strategicamente ineccepibile, invece, lo zar Pietro il Grande, se potessimo definirlo in sole due parole. Considerato tutt’oggi il fondatore del moderno stato russo (fu lui a costruire la città sulla Neva che porta il suo nome, moderna al pari delle maggiori capitali occidentali) riformò sensibilmente tutti i settori dell’impianto statale e rivoluzionò l’esercito e la burocrazia con l’obiettivo di traghettare il semibarbaro impero nella contemporaneità, affrontando al contempo le minacce turche e impadronendosi di considerevoli porzioni di prospera Europa.
Come si trovarono sul campo di battaglia queste due figure storiche e come il successo di uno di loro rappresentò la rovina dell’altro? Svezia e Russia si erano già incontrate sul campo di battaglia diverse volte e lo stesso Carlo XII aveva inflitto a Narva, in Estonia, una cocente sconfitta al numericamente superiore ma precario esercito nemico. Per il possesso dei paesi baltici, possedimento coloniale e gioiello della corona svedese, i due imperi e gli alleati combatterono nella cosiddetta Grande guerra del Nord. L’obiettivo dei coalizzati in chiave anti-svedese era di costringere i nordici a una serie di battaglie campali risolutive, ben consci della propria superiorità numerica; ma essi sottovalutarono la mobilità del consolidato esercito del re che prosegui a sconfiggerli ripetutamente fin quando non si trovò di fronte alla strenua e testarda resistenza dei russi.
La tragica scelta di addentrarsi nelle immensità euroasiatiche dei domini di Pietro il Grande costò allo svedese l’esercito, e alla sua nazione la postura geopolitica
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La tragica scelta di addentrarsi nelle immensità euroasiatiche dei domini di Pietro il Grande costò allo svedese l’esercito, e alla sua nazione la postura geopolitica. Esaltato dalle recenti vittorie, Carlo si accanì nel cercare lo scontro diretto definitivo portando avanti un’avanzata in precarie condizioni ambientali e di rifornimento. A poco servirono gli aiuti dei cosacchi (che si erano schierati in suo favore, intravedendo la possibilità concreta di liberarsi dall’opprimente giogo russo): solamente la metà dell’originario contingente messo in campo dagli svedesi sopravvisse alla dura marcia verso l’interno. Carlo XII dovette affrontare le armate di Pietro notevolmente superiori in numero, efficacemente rifornite e galvanizzate da un forte spirito nazionale contro l’invasione degli eretici protestanti (importantissimo era stato il ruolo della collaudata propaganda zarista).
L’esito della battaglia tuttavia non era affatto scontato, per via del timore dei russi verso le abili fanterie svedesi (incontestabilmente le migliori di Europa) nonché per l’abilità, fortuna e capacità del Wittlesbach di Stoccolma; ma la tenacia di Pietro il Grande e alcuni errori tattici di Carlo regalarono la vittoria ai difensori. La tattica di accerchiamento e offensiva sui lati tentata degli invasori venne sventata dalle riserve tattiche russe posizionate ai lati (altra innovazione della vivace mente dello zar) e nonostante una carica eroica e feroce, gli svedesi non riuscirono a sfondare l’imponente contingente avversario lasciando un enorme numero di morti sul campo di battaglia mentre il resto dei sopravvissuti finì prigioniero dopo una disordinata ritirata verso l’accampamento. I due comandanti guidarono personalmente le proprie truppe dalle prime linee del fronte: Pietro fu ferito tre volte mentre Carlo riuscì miracolosamente a fuggire con il suo stato maggiore riparando in territorio turco.
I destini dei due imperi e dei due condottieri, come già anticipato, seguirono due strade diametralmente opposte. Lo zar, caricato dalla vittoria, dal prestigio riacquistato e dal rafforzamento dei confini patri proseguì indisturbato la sua politica di modernizzazione creando i prodromi del predominio russo nei decenni a venire (e non solo), mentre Carlo XII, dopo aver provato inutilmente a convincere il sultano ottomano della necessità di un offensiva in Crimea, tornò con pochi fedelissimi in patria dove trovò la morte in un misterioso episodio nel corso un assedio a una piazzaforte norvegese.
La Svezia uscì drasticamente dal novero delle grandi potenze ritornando ad interpretare un attore secondario e cedendo il passo alla maggiore forza demografica, economica e ideologica russa. La disfatta delle semileggendarie armate svedese ebbe ai tempi un’eco smisurato ed è rimasta nell’immaginario comune russo come l’ennesima prova di resistenza e tenacia contro un aggressione esterna.
L’espressione “essere come uno svedese a Poltava” ancora oggi usata quando si vuole trasmettere debolezza e fragilità è ironica e amara e aiuta a comprendere come la memoria del passato sia il fattore più importante per l’identità nazionale del tenace popolo russo.