La politica turkmena di neutralità permanente e la sua condizione di Paese intercluso ne fanno un attore costretto a dialogare con tutti i propri vicini. L’enorme disponibilità di giacimenti di gas rende il Turkmenistan un obiettivo strategico per i maggiori attori globali con interessi in Asia centrale: Cina, Russia e, soprattutto, Turchia. Dove non arrivano gli strumenti del libero mercato, tuttavia, si fanno strada altri espedienti di politica estera meno convenzionali. Il ricatto dei migranti da parte di Ankara per ottenere maggiori concessioni commerciali ne è un esempio.
L’incontro di aprile tra il ministro degli Esteri russo Lavrov ed il suo omologo turkmeno Meredov ha segnato una ripresa delle relazioni tra Mosca e Ašgabat. Questa fase è iniziata già nel 2019, quando Gazprom ha ricominciato ad acquistare il gas del Paese centroasiatico dopo alcuni anni di stallo. Le sanzioni alla Russia, infatti, ne hanno limitato le esportazioni energetiche e, di riflesso, le importazioni dal Turkmenistan. Di tale situazione si sono avvantaggiati altri attori regionali come la Cina e la Turchia. La ripresa del commercio con Mosca, tuttavia, ha spinto questi ultimi a premere ulteriormente su Ašgabat per accedere al suo ricco forziere energetico. Erdogan, in particolare, si è dimostrato maggiormente assertivo nei confronti di Berdimuhamedov negli ultimi anni. Obiettivo della Turchia è la realizzazione del Corridoio Transcaspico tra Azerbaigian e Turkmenistan per convogliare gas verso l’Anatolia.
Le direttrici del gas turkmeno
Il Turkmenistan ha bisogno di diversificare i mercati di sbocco per le proprie esportazioni di gas. Questo garantisce stabilità al proprio sistema economico, limitato dalla mancanza di un accesso al mare aperto. Dopo l’indipendenza nel 1991, per anni la quasi totalità del gas esportato è stata convogliata verso la Russia. La richiesta di Mosca ha subìto, tuttavia, un drastico calo in seguito alla crisi economica del 2008. La contrazione dei consumi energetici europei ha ridotto, di riflesso, le importazioni russe di gas turkmeno. Un vero e proprio tracollo vi è stato, poi, con l’applicazione delle sanzioni al Cremlino in seguito all’intervento in Crimea. È solo a partire dal 2019 che la Federazione ha ricominciato ad acquistare il gas del Paese centroasiatico.
Per diversificare i propri mercati di riferimento Ašgabat sta guardando sia ad ovest, verso la Turchia, sia ad est, verso la Cina e l’India. Anni di tensioni con l’Azerbaigian, tuttavia, hanno ostacolato il progetto di un gasdotto transcaspico, rendendo Pechino l’unica alternativa alle esportazioni verso Mosca. Fulcro di questo riorientamento è stato il progetto del Central Asia-China Gas Pipeline, che ha consentito ad Ašgabat di ridurre la dipendenza dal mercato russo. Il progetto di un impianto verso il subcontinente indiano, chiamato Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India Pipeline o TAPI, non è ancora attivo. Esso non rappresenterebbe, comunque, una valida alternativa a Mosca e Pechino per via dei costi dell’energia troppo bassi nel mercato indiano.
Nonostante sia inserito maggiormente nel mercati asiatici, l’obiettivo a cui ambisce Ašgabat resta quello di raggiungere il mercato europeo. Quest’ultimo assicura prezzi elevati ed è meno rischioso, soprattutto per ciò che concerne i debiti turkmeni verso le compagnie cinesi. Recentemente si è aperta la strada all’ipotesi che la Cina possa acquisire giacimenti come compensazione, qualora il Turkmenistan non riesca a saldare il proprio debito. Ašgabat ha, pertanto, interesse a stringere relazioni in ambito energetico sia con l’Azerbaigian sia con la Turchia per assicurarsi una presenza sul mercato europeo. In tal senso, fondamentale è il Memorandum d’Intesa tra Turkmenistan e Azerbaigian per lo sfruttamento congiunto del giacimento sottomarino Dostlug.
Turchia: il nuovo hub dell’energia
La strategia turkmena di diversificazione dei mercati verso cui esportare il proprio gas si incontra con quella, speculare, portata avanti dalla Turchia. Ankara sta conducendo una campagna di proiezione della propria influenza economica e commerciale verso la regione del Mar Caspio per avere accesso ad un ampio ventaglio di Paesi dai quali importare gas e petrolio. Attualmente, infatti, lo Stato importa la maggior parte dell’energia che consuma dall’Azerbaigian, suo storico alleato, e dalla Russia, con la quale ha avuto vari momenti di frizione e che potrebbe danneggiare pesantemente l’economia turca in caso di un blocco alle esportazioni verso l’Anatolia.
Dall’esigenza di una maggiore sicurezza è nata la spinta verso la ricerca di altre aree di approvvigionamento energetico. L’Asia centrale, con i suoi giacimenti di petrolio e di gas naturale, rappresenta pertanto un obiettivo di primo piano nella strategia turca. Ankara ha già ottenuto l’accesso alle risorse azere sul Mar Caspio tramite l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan e il Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline o TANAP, ma punta a raggiungere anche i ricchi giacimenti centroasiatici. Per questo motivo, la Turchia ha avviato una politica molto assertiva verso gli Stati della regione, investendo in cultura, infrastrutture e cooperazione.
Lo scopo di Ankara è duplice, geopolitico e geoeconomico, e bidirezionale, verso est e ovest. La Turchia intende estendere la propria sfera di influenza verso est, in direzione del Caucaso e dell’Asia centrale, dove vivono comunità turcofone. Lo scopo di tale politica è di aumentare il proprio peso specifico sia nei confronti delle altre potenze globali, sia in quelli delle potenze regionali che nutrono interessi verso la regione del Mar Caspio. È nei suoi interessi limitare le interferenze di Russia, Cina, India, Pakistan e Iran in un’area che reputa fondamentale per assicurare il proprio status di potenza e la propria autonomia energetica.
Questo attivismo sul fronte orientale è dovuto al fatto che Ankara si sta preparando a diventare un ponte logistico ed energetico tra Asia e Europa, cercando di capitalizzare al massimo la propria condizione peculiare di Paese transcontinentale. La capacità di riuscire a dialogare sia con l’Unione Europea, mercato al quale ambiscono gli Stati del Mar Caspio, sia con questi ultimi, verso i quali gli europei cercano un canale per diversificare le proprie importazioni di gas e petrolio, ne fa un attore privilegiato nelle dinamiche energetiche dell’Eurasia. Per tale motivo, in seguito all’intesa azero-turkmena sullo sfruttamento del giacimento Dostlug, la Turchia si è inserita nei colloqui tra i due Stati per cercare di spingere verso un’apertura del mercato turkmeno tramite il Corridoio Transcaspico.
La guerra dell’energia e il ricatto dei migranti
Le potenze maggiormente interessate alle risorse energetiche della regione, in particolare la Russia, temono la penetrazione turco-europea nell’area del Mar Caspio. Questo è emerso soprattutto in seguito all’intesa azero-turkmena e alla forte assertività turca nel Caucaso e in Asia centrale, attestatasi nel Consiglio Turco del marzo scorso. Durante questo consesso si è fatto riferimento esplicitamente ad una maggiore cooperazione tra gli Stati turcofoni in ambito sia politico che economico. Ciò avrebbe allarmato Mosca, che da sempre esercita la propria tutela sulla regione centroasiatica e su parte del Caucaso.
Per tale motivo il Cremlino ha preso contatti con Ašgabat, cercando di rilanciare le relazioni tra i due Paesi. Lo scopo è evitare che il Turkmenistan ceda alla richiesta turca di entrare a far parte del Consiglio Turco. Un eventuale ingresso del Paese centroasiatico in quest’organizzazione segnerebbe, infatti, una cesura rispetto alla sua politica di pacifica collaborazione esterna con tutti i principali attori regionali, sbilanciando gli equilibri in favore della Turchia.
Ankara, tuttavia, non è intenzionata a cedere su questo fronte, ovvero a mettere a rischio la sua strategia geopolitica per affermarsi come potenza regionale a tutti gli effetti. Strumento nelle mani dei turchi sarebbe quel milione (e più) di immigrati turkmeni che vive tra l’Anatolia e Cipro del Nord. A causa della pandemia molti di loro non hanno avuto modo di rinnovare i propri passaporti per poter lavorare in Turchia. Ankara starebbe facendo pressione su Ašgabat per accelerare su una maggiore cooperazione politico-economica, chiedendo la riapertura dei collegamenti aerei tra i due Stati e minacciando di rimpatriare questi immigrati.
Con una popolazione di circa 5,6 milioni di abitanti e un regime politico autocratico, il governo turkmeno si troverebbe impreparato a gestire un simile flusso di rimpatriati da mettere in quarantena e, soprattutto, da tenere sotto controllo per ragioni politiche. Nel Paese sarebbe già iniziata la costruzione di strutture per ospitare queste persone, qualora rimpatriate, ma la pressione sullo Stato da parte della Turchia in questo momento è massima.
Da più parti si ritiene che Ašgabat sarà costretta a fare delle concessioni ad Ankara, sebbene nelle intenzioni del governo turkmeno vi sia la ricerca di punti d’appoggio tra le altre potenze interessate all’area per evitare di finire nella sfera d’influenza turca.
La Russia ha in tal senso cercato di far approvare la Convenzione del Caspio, un documento in base al quale sarebbe vietato ai Paesi non rivieraschi di intervenire nella regione, ma a causa della ritrosia iraniana nel ratificare il testo al momento nulla vieta alla Turchia di agire nell’area del Mar Caspio. Il Turkmenistan sta cercando una sponda proprio a Mosca, e la visita di inizio aprile del ministro degli Esteri turkmeno al suo omologo russo rientra in questa strategia.
Dopo il Caucaso meridionale, il sultano Erdogan punta ad accaparrarsi il forziere energetico dell’Asia centrale. Se Mosca c’è, batta un colpo.
Yekoniya Murat