Nell’onda lunga della transizione dal regime comunista, i Paesi centroasiatici hanno subito varie trasformazioni e contraccolpi economici e politici, che ne hanno ritardato il rilancio rispetto ai loro partner e agli altri attori nella regione. Negli ultimi anni tuttavia si è andata a consolidare una congiuntura economica e politica che sembra finalmente poter favorire le politiche di sviluppo dei Paesi dell’area, anche se restano delle criticità nei loro sistemi che possono stroncare ogni tentativo di riforma.
Un primo grande input venuto dall’esterno è stato il piano cinese denominato prima One Belt One Road (OBOR) e successivamente BRI (Belt and Road Initiative). Tale piano dovrebbe riguardare alcuni Paesi dell’area centro-asiatica e includere investimenti di tipo finanziario ed infrastrutturale.
Gli elementi di trasformazione sono da prendere in considerazione al netto della situazione politico-economica dell’area, e al netto dell’eredità sovietica. Infatti, nonostante sembri una forzatura estendere l’analisi così in là nel tempo è proprio da quel periodo storico che prendono forma alcuni dei principali limiti e criticità dei Paesi dell’area.
Partiamo innanzitutto dalle infrastrutture. Com’è noto, durante l’era sovietica, i decisori a Mosca idearono e realizzarono ingenti piani infrastrutturali volti alla trasformazione industriale di vaste aree del Paese. Mosca finanziò la realizzazione di grandi impianti idroelettrici nella regione di Nurek, in Tajikistan, fece nascere una fiorente industria del cotone in Uzbekistan, creò collegamenti ferroviari e stradali. Questo modello di sviluppo basato sull’industria pesante portò numerose aree del Centro Asia ad avere accesso a un sistema educativo e sanitario relativamente ben sviluppato.
Ciononostante l’impianto dirigista di Mosca ha trovato numerose difficoltà ad essere applicato in modo duraturo e profittevole nei Paesi centroasiatici. Una volta collassato il regime sovietico, infatti, e venuti meno i copiosi investimenti che questo garantiva, è toccato ai singoli governi indipendenti fare i conti con un apparato industriale inefficiente e costoso da mantenere. Gran parte del sistema venne lasciato all’incuria.
Negli ultimi anni si è andata a consolidare una congiuntura economica e politica che sembra finalmente poter favorire le politiche di sviluppo
Cupcake Ipsum, 2015
E’ in questo contesto che si è sviluppato il recente trend che ha coinvolto un mix di trasformazioni politiche interne e un maggiore afflusso di investimenti esterni rivolti alla regione.
Il 2017 ha fatto registrare alcune trasformazioni nella regione che potrebbero porre le basi per un ulteriore sviluppo anche in un’ottica futura di maggiore integrazione con le economie più performanti del continente. Uno degli accadimenti che hanno parzialmente attirato l’attenzione degli osservatori è stata la transizione al potere in Uzbekistan: il nuovo presidente Mirziyoyev ha speso una parte del suo capitale politico nello sforzo di migliorare le relazioni con i Paesi vicini, arrivando ad ottenere risultati concreti seppur limitati. Anche il Kirghizistan, Paese notoriamente meno problematico e generalmente più aperto, ha visto il completamento di una successione presidenziale che si è svolta in maniera pacifica. Il Kazakhstan ha registrato un parziale rallentamento della sua economia e il presidente Nazarbayev ha dovuto gestire questo arresto con le sue solite doti di equilibrista, mandando avanti una più che decennale politica estera multivettoriale tra Occidente ed Oriente. Per quanto riguarda i due Paesi più poveri dell’area, ovvero Tajikistan e Turkmenistan, va notato che nel primo l’economia fatica a decollare e il presidente Rahmon ha messo in pratica politiche sempre più repressive verso la popolazione; il Turkmenistan si caratterizza ancora per il suo regime impermeabile ad ogni stimolo esterno.
Come anticipato, restano profonde limitazioni strutturali che impediscono il rilancio economico della regione: la mancanza di infrastrutture chiave, l’incuria nella quale versano quelle esistenti, le leadership politiche caratterizzate da una totale mancanza di ricambio nonché da corruzione e clientelismi. I sistemi sanitari e scolastici nella maggior parte dei Paesi centro asiatici non sono in grado di servire l’intera popolazione ed ampie fasce sociali vivono in condizioni di povertà e, di fatto, isolate dal resto del mondo. Infine, uno dei principali problemi che caratterizza l’area è la disoccupazione che costringe milioni di persone dei paesi centroasiatici ad emigrare verso altri paesi russofoni; tale massa di persone è impiegata spesso in condizioni di schiavitù e vive ai margini della società russa.
Anche quella che poteva sembrare come una grande promessa di rilancio per la regione, l’interessamento della Cina nella realizzazione delle infrastrutture della BRI collegandole ai paesi del Centro Asia, di fatto riguarderà solamente una porzione ridotta dei territori di tali Stati. E, fatto ben più importante, servirà al trasporto delle merci cinesi verso gli stessi Paesi dell’area, andando quindi ad inondare i mercati interni con prodotti in diretta competizione con le produzioni locali, e non ad esportare queste ultime verso l’esterno.
Un’altra grande incognita relativa allo sviluppo dell’economia della regione è l’impatto che l’Unione Economica Eurasiatica (UEE) avrà nell’area. Tra gli stati centroasiatici per ora solo il Kazakhstan risulta tra i fondatori, mentre il Kirghizistan si è unito nel 2015. A livello doganale l’Unione cerca di favorire gli scambi intercommerciali tra i suoi appartenenti; ma il suo funzionamento finora ha denotato alcune criticità, tra le quali vi sono da segnalare le alte tariffe esterne e una sostanziale difficoltà nell’integrazione delle politiche doganali degli Stati Membri. Inoltre, in prospettiva, l’UEE era nata in un momento in cui i prezzi del petrolio rendevano la politica estera russa più fiduciosa e le permettevano di disporre delle risorse economiche per giocare un ruolo di punta in una tale organizzazione; con la progressiva erosione del prezzo del petrolio e del gas, importante fonte di entrata nel bilancio di diversi Stati Membri dell’UEE, le politiche di apertura commerciale hanno lasciato spazio all’adozione di misure protezionistiche che hanno inficiato l’efficienza e lo scopo cardine dell’UEE.
Facendo un passo indietro e gettando uno sguardo d’insieme sulle politiche commerciali e doganali della regione, si può notare come le criticità restino evidenti. Molto spesso le repubbliche centroasiatiche non dispongono delle risorse economiche e del capitale politico necessario per portare avanti soluzioni volte all’integrazione che potrebbero beneficiare i singoli Paesi e i loro cittadini. Le precarie condizioni dei bilanci statali espongono questi Paesi alle influenze esterne (vedasi il caso del PIL del Tajikistan composto per la metà dalle rimesse esterne). I sistemi di produzione interna necessitano di ingenti investimenti e gli attori esterni coinvolti nell’area, Russia e Cina, non hanno interesse a svilupparli maggiormente. La Russia, in particolare, preferisce coltivare rapporti speciali con le élite dei singoli Paesi in modo da garantirsi una cooperazione in campo della sicurezza (volta al contenimento del radicalismo islamista) e non dispone dei fondi né della volontà politica necessaria ad un rafforzamento sociale ed economico delle repubbliche centroasiatiche. Che quindi, almeno su questo fronte, dovranno rilanciarsi da sé.