Se all’inizio del suo secondo mandato, nel 2012, Vladimir Putin sognava una Grande Europa “da Lisbona a Vladivostok”, ad oggi questo progetto si è ridimensionato e l’aquila della Federazione guarda molto più ad Oriente. Dopo la crisi in Ucraina, Mosca ha spostato l’asse delle sue politiche economiche e militari verso l’Asia Centrale e la Cina. Le recenti iniziative di espandere il mercato della Gazprom fino alla Corea del Sud e l’operazione Vostok 2018 congiunta con Pechino, sono solo due dei diversi esempi che si possono citare al riguardo. Nonostante le iniziative di successo del Presidente russo, l’idea di creare una Grande Eurasia al posto di una Grande Europa non trova davanti a sé una tabula rasa ma piuttosto una nascente rete di trasporti e infrastrutture energetiche sull’eredità geopolitica della via della seta. Quest’ultima infatti in un futuro neanche troppo lontano, potrebbe mettere in diretta comunicazione il popolo europeo e il popolo cinese, unendo anche le regioni di Caucaso e Asia centrale.
L’assodato successo dell’iniziativa è una questione ormai fuori discussione e così come Roma non è stata costruita in un giorno, la realizzazione della nuova via della seta può contare su un forte strato di interessi economici ormai consolidati da anni e che hanno dato luce ad iniziative che stanno ridisegnando la mappa geopolitica dell’Eurasia.
Quale sarà la nuova via della seta? Le fasi iniziali e gli sviluppi futuri
Tanto per cominciare il mega progetto del Trans Adriatic Pipeline, che dai giacimenti di Baku, in Azerbaijan, rifornirà il mercato energetico europeo attraverso due vie: l’oleodotto Baku – Tbilisi – Ceyhan e il gasdotto Baku – Tbilisi – Erzorum. Il TAP, una volta attivo, sarà capace di trasportare in Europa fino a 16 miliardi di metri cubi di gas che in dieci anni, è stato calcolato, potrebbero diventare 60. Il che significherebbe che metà del gas russo verrebbe sostituito da quello azero. In aggiunta, la ferrovia Baku – Tbilisi – Kars, operativa dall’ottobre del 2017, completa tale progetto di regionalizzazione che esclude Russia, Armenia e Iran.
L’intensa regionalizzazione della regione del Caucaso si presenta come un’area di opportunità economiche e strategiche in espansione e perciò capace di catalizzare gli interessi di una regione ben più ampia, che comprende i Paesi dell’Asia Centrale e che non lascia fuori la Cina. Il Kazakhstan potrebbe essere il primo a voler agganciare le sue esportazioni alla nuova cintura economica, essendo un’economica in crescita grazie alle risorse energetiche. Il Turkmenistan, che insieme al Kazakhstan partecipa già ampiamente al trasporto di gas nel Mar Caspio, potrebbe seguire l’iniziativa.
Secondo l’opinione dell’esperto Svante Cornell, direttore dell’Istituto Svedese per la Sicurezza e le Politiche di Sviluppo, il processo di regionalizzazione dell’Asia Centrale e quello del Caucaso potrebbero convergere grazie alla prospettiva di esportazione energetica verso l’Europa. In altri termini, il soft power di Mosca sembra ormai perdere credibilità di fronte all’hard power della nuova frontiera dei legami energetici.
Tale alveare di opportunità sviluppatosi negli ultimi anni ha infine catturato l’attenzione della Cina e nel 2013 il Presidente Xi Jinping, durante la sua visita in Kazakhstan, ha annunciato di voler ricostruire l’antica via della seta, partendo proprio dalla fitta rete di interconnessioni che già vedeva la luce nella regione del Caucaso e si presentava come un ottimo punto di partenza per dare credibilità alle ambizioni di Pechino.
Ed è così che nel 2015 la Commissione per lo Sviluppo Nazionale e le Riforme della Cina ha pubblicato un documento intitolato “Visioni e azioni per costruire congiuntamente la cintura economica della Via della Seta”, che contempla un tragitto che unirà la Cina all’Europa sia via terra che via mare.
La via della seta comprende due percorsi: il primo è la Trans – Eurasia Express, che parte da Shanghai e arriva in Nord Europa, attraversando la Mongolia, il Kazakhstan e una gran parte della Russia. Il secondo invece avrebbe inizio a Lianyungang in Cina e arriverebbe ad Istanbul, percorrendo gli Stati del Kazakhstan, Azerbaijan e Georgia in soli 14 giorni.
Quest’ultima non solo andrebbe ad intensificare la rete energetica che già sfida il gigante russo sullo scenario europeo, ma rappresenterebbe un concreto ostacolo al Pivot to Asia di Mosca e al mantenimento dell’influenza nello spazio post – sovietico. La regione del Caucaso è una zona calda per la politica estera russa. Questa non solo rappresenta un credibile competitor capace di sottrarre al gigante russo Gazprom il quasi monopolio sui mercati europei, ma è anche una polveriera di scontri etnici ai confini della Federazione. Di conseguenza in quest’area si sono generate alcune zone grigie, ideali per la proliferazione dei gruppi terroristici. In Russia, gli attentati di Mosca e quello più recente di San Pietroburgo hanno posto la lotta al terrorismo tra le priorità nell’agenda di politica estera del Cremlino. In altre parole, Mosca, di perdere l’influenza nel Caucaso, non se lo può permettere.
La risposta di Mosca
Qual è dunque la strategia che possiamo aspettarci da quest’ultimo mandato di Putin nel tentativo di conservare lo status quo? Mosca potrebbe rilanciare il progetto di regionalizzazione nord – sud servendosi del substrato istituzionale nato nell’era post – sovietica, vale a dire le varie organizzazioni che costituiscono la proiezione del potere sia economico, che politico – militare della Russia in Eurasia. Non a caso il Presidente Putin si è recato in visita a Baku il 27 settembre scorso, occasione in cui lo stesso avrebbe avanzato la possibilità per l’Azerbaijan di partecipare alla membership del CSTO. Se ciò dovesse davvero accadere, ci sarebbero delle ricadute non irrilevanti negli equilibri intorno alla questione del Nagorno. Un’eventuale ricongiungimento di Baku con il CSTO causerebbe uno spostamento dell’ago della bilancia a svantaggio dell’Armenia, di cui la sicurezza dipende maggiormente dall’ombrello militare di Mosca, diversamente dall’Azerbaijan che nel prossimo futuro quasi sicuramente investirà i guadagni del petrolio per potenziare l’esercito e guadagnare una posizione di vantaggio nel conflitto con Yerevan. Uno stravolgimento dello status quo appare ancora improbabile, essendo il Presidente Aliyev scettico rispetto alla possibilità di un significativo appoggio russo nel Nagorno. In ogni caso la recente mossa di Putin rileva una possibile strategia di Mosca per mantenere la sua influenza nel Caucaso.
È vero che poco prima di Putin anche il ministro della difesa Israeliano Lieberman è stato in visita in Azerbaijan, in risposta alla competizione sul suolo siriano. Tuttavia, non si può del tutto escludere la possibilità che il Presidente Putin abbia approfittato del momento per reinserirsi nei rapporti tra Yerevan e Baku come attore imparziale e super partes. È del tutto vero che una destabilizzazione delle zone dolenti nel Caucaso minerebbe alla sicurezza delle nuove vie di approvvigionamento energetico pronte a conquistare i mercati europei.
In sintesi, Mosca ha da offrire qualcosa di complementare a Pechino, vale a dire la protezione militare, e probabilmente è su questo suo punto di forza che il Cremlino giocherà le sue prossime mosse. In questo quadro geopolitico, la scelta di Mosca di sfruttare le zone dei frozen conflicts del Nagorno, ma anche in Georgia, potrebbero rappresentare una tattica machiavellica per contrastare la perdita di influenza nel Caucaso, se non anche l’unica possibile di fronte all’inevitabile successo della via della seta.