Con il Trattato di Brest-Litovsk, la Russia bolscevica usciva dalla Prima guerra mondiale con ingenti perdite territoriali che portarono alla formazione di nuove entità. La fine del Primo conflitto mondiale aveva dato una poderosa accelerata a quel sentimento nazionale bielorusso che, fino a quel momento, si era manifestato solo sporadicamente nei circoli di Vilnius o che si era rivelato decisamente debole.
La Repubblica Popolare Bielorussa, seppur di corto respiro, fu una delle manifestazioni concrete di tale sentimento. “Bisogna conoscere il passato per comprendere il presente ed orientare il futuro”, scriveva così il grande stratega e filosofo ateniese Tucidide. Per comprendere gli attuali avvenimenti in Bielorussia è spesso utile fare un passo indietro. Basti pensare che la bandiera bianco-rosso-bianca simbolo dell’opposizione attuale deriva dal drappo utilizzato nei dieci mesi della Repubblica Popolare Bielorussa tra il marzo del 1918 e il gennaio del 1919.
Nel loro primo romanzo storico a quattro mani, “Le radici del fiordaliso”, le autrici Erika Casali ed Anna Lisa Manotti ci offrono uno spaccato di un quarto di secolo che fu decisivo nel definire alcuni aspetti della Bielorussia contemporanea. Il breve esperimento della Repubblica Popolare Bielorussa, il contrasto stridente tra polonizzazione e sovietizzazione, la Guerra sovietico-polacca, le purghe staliniane nei confronti degli intellettuali bielorussi, il movimento dei Giovani sionisti di sinistra, il Patto Molotov-Ribbentrop, il ghetto di Minsk, l’Olocausto, l’assedio di Hrodna, la resistenza bielorussa e le deportazioni in Siberia. Così nasce il fiordaliso.
La storia, tuttavia, non è solo l’insieme di grandi giochi politici manovrati da strette cerchie, ma è anche un processo per chi subisce queste dinamiche inerme o prova a cambiarne l’orientamento invano. A parlare nel libro sono soprattutto quest’ultimi. Vite di famiglie di diversa estrazione che spesso si intrecciano o che, semplicemente, scorrono come linee parallele. Ragazzini che diventano uomini e lottano per ideali diametralmente opposti.
Con lo scorrere delle pagine impariamo a conoscere la relazione impossibile tra un fervente nazionalista polacco e la figlia di un iscritto al Partito comunista o il tentativo di espiazione dell’eterno rimorso del membro della Polizia segreta russa Sergej Petrov. Allo stesso tempo, il triste esito in termini di vite umane dell’offensiva polacca di Vilna nei confronti dei sovietici finisce per cambiare per sempre le vite di Olga, Leopold, Małgorzata e Pawel. L’eterna ricerca della terra promessa per le migliaia di famiglie ebree dell’Europa centro-orientale porta invece la famiglia di Roza a fare tappa a Skidel, nell’attesa di un viaggio della speranza verso Birobidžan, la capitale dell’Oblast’ autonoma ebraica pensata da Stalin. Infine, vi è la commovente relazione tra il maestro Leopold e Krzysztof, che attraverserà diverse fasi per concludersi con la medesima crudele sorte.
Due delle intuizioni particolarmente azzeccate dalle autrici sono sicuramente la coralità del romanzo e l’utilizzo di tre diverse traslitterazioni (dal polacco, bielorusso e russo). Tali scelte sono indicative della situazione demografica che caratterizzava l’attuale territorio bielorusso nel periodo interbellico. A causa della loro travagliata storia, quelle terre erano infatti abitate da una pluralità di popoli: in maggior sostanza da bielorussi, ebrei, polacchi, lituani, ucraini e russi. Furono la Seconda guerra mondiale e l’Olocausto a cambiare drasticamente la composizione demografica di quei territori.
Il romanzo ci permette inoltre di percepire tramite un punto di vista eccezionale lo scorrere del tempo. Ciò appare evidente, ad esempio, quando si fa riferimento all’utilizzo della lingua bielorussa. Nei primi anni sovietici, Stalin decise di attuare la cosiddetta politica della korenizacija, volta ad integrare le diverse nazionalità all’interno delle varie Repubbliche. Con l’inizio delle purghe, tuttavia, tale politica venne decisamente ridimensionata a favore di una maggiore russificazione. Interessante anche l’attenzione riposta ai luoghi toccati dall’azione: da Pietrogrado a Leningrado, da Hrodna sotto la Seconda Repubblica di Polonia a territorio occupato dall’Unione sovietica.
A far da contorno alla storia compaiono talvolta volti chiave del passato. È il caso dell’insegnante ed attivista Vera Maslovskaja, che negli anni tra le due guerre si adoperò per una Bielorussia indipendente fondando i primi istituti per l’insegnamento della lingua bielorussa. Vera è ancora oggi considerata una delle fondatrici dei movimenti femministi in Bielorussia. Allo stesso modo troviamo i padri fondatori della letteratura bielorussa Zmitrok Bjadulja e Maksim Bahadnovič, il colonnello di fanteria dell’esercito polacco Bohdan Hulewicz e il leader del Direttorato politico di stato (OGPU) Feliks Dzeržinskij.
A completare l’opera vi è una narrazione fluida ed emotiva, spesso attenta al singolo dettaglio sia nelle descrizioni paesaggistiche (“i ricami che il ghiaccio ha tessuto sulle piante”) che nelle tradizioni popolari (la kizljarka e lo sveroboj per i russi, la festa del riposo dello Shabbat per gli ebrei o la nalewka per i polacchi). Degni di nota sono anche la ricerca linguistica e l’utilizzo di realia come la parola russa dochodjaga, termine gergale che si riferisce ai prigionieri all’ultimo stadio dell’inedia.
In conclusione, un romanzo destinato a diversi tipi di pubblico più o meno specializzato nell’area bielorussa e post-sovietica, ma unico nel suo genere perché colmo di spunti di riflessione sul piano storico, politico e socioculturale. “Le radici del fiordaliso”, il primo dei tre volumi che costituiscono la “Trilogia della Russia bianca”, è solo l’inizio di un viaggio che ci porterà a scoprire l’odierna Bielorussia.