L’ultimo report diramato dalla NATO tira le somme sui progressi raggiunti nello scorso decennio e pone gli obiettivi per il prossimo. E il leitmotiv è ancora l’aggressività di Mosca sul fianco orientale. La prospettiva di Estonia, Lettonia e Lituania.
Diventare più forti militarmente, più coesi politicamente e adottare una prospettiva più globale in risposta alla crescente competizione a livello internazionale: sono questi i risultati che la NATO, e in particolare i Paesi baltici e la Polonia, si prefiggono di raggiungere entro il 2030. Oltre, ovviamente, a continuare ad arginare gli interessi russi nell’area scongiurando però vere e proprie crisi con Mosca.
Riguardo all’ultimo punto, in “Towards NATO 2030: The regional perspective of the Baltic States & Poland”, l’Alleanza Atlantica si dice intenzionata ad incrementare le manovre messe in atto dalla crisi in Ucraina del 2013, volte a proteggere i territori affacciati sul Mar Baltico, senza però entrare in aperto conflitto militare con la Russia. Iniziativa che, secondo Tom Rostoks, dell’Accademia nazionale di Difesa lettone, sarebbe impossibile oltre che assolutamente non necessaria. Secondo Washington, i fattori che hanno contribuito alla stabilità nella regione nell’ultimo decennio sono stati l’aumento della spesa militare da parte degli Stati baltici, le esercitazioni militari più frequenti e il dislocamento di un numero maggiore di truppe in pianta stabile nell’area.
A questo proposito, la Lituania ha inaugurato lo scorso 30 agosto un campo di addestramento militare per le truppe statunitensi a Pabrade, località nei pressi del confine con la Bielorussia. “Herkus”, questo il nome della struttura, può ospitare fino a 500 soldati, ed è costata alla Lituania circa 7 milioni di euro. Tra gli obiettivi dichiarati dal ministro della Difesa Arvydas Anushauskas, quello di ospitare permanentemente le truppe americane – invece che a rotazione, come accade attualmente. Sempre il 30 agosto ha preso il via tra Riga e altre città della Lettonia l’esercitazione militare “Namejs”, che prevede la partecipazione di forze militari lettoni, statunitensi, inglesi, canadesi, tedesche, polacche, estoni, lituane, spagnole, italiane, danesi, ceche e non solo, per un totale di circa 9000 uomini. L’esercitazione è prevista concludersi il 3 ottobre, e si svolgerà in parte in concomitanza con “Zapad 2021”, nella quale invece saranno impegnate le forze di Russia e Bielorussia, dal 10 al 16 settembre.
Nonostante i recenti progressi, la NATO si dichiara comunque consapevole delle proprie lacune. In particolare, negli ultimi dieci anni le repubbliche baltiche hanno investito quasi esclusivamente nel potenziamento delle proprie forze di terra, a discapito sia della difesa aerea che di quella marittima, ambiti in cui Mosca vanta una netta superiorità. Inoltre, la mobilità delle truppe all’interno dell’area baltica è ancora limitata dalla mancanza di infrastrutture adeguate (dal momento che quelle adibite al trasporto delle persone fisiche non sono utilizzabili per scopi militari). Un esempio è rappresentato dal diverso scartamento dei binari al confine tra Polonia (che adotta il sistema europeo) e Lituania (che invece adotta quello sovietico, più largo).
I Paesi baltici si sentono costantemente minacciati dal vicino russo, vorrebbero più truppe stanziate stabilmente sul loro territorio e portano a sostegno della propria tesi l’aggressività di Mosca in Ucraina, in Bielorussia e nel Nagorno-Karabakh. La NATO però ha più volte fatto intendere (spesso senza mezzi termini) che per raggiungere risultati più efficaci sarebbe necessario riconfigurare il budget che gli Stati membri destinano all’Alleanza Atlantica, ovviamente incrementandolo. In particolare, nel 2018 fece discutere una dichiarazione dell’allora presidente statunitense Donald Trump, secondo il quale Washington farebbe fronte alle spese NATO molto più che gli altri Stati membri – ai quali quindi chiedeva di incrementare al 4% del PIL il budget da destinare all’Alleanza Atlantica. Fino ad allora, i Paesi contribuivano con il 2% (soglia che non aveva, di fatto, giustificazioni in termini reali, ma che era sembrata un ragionevole compromesso per gli Stati membri): l’ultima volta in cui la spesa militare degli aderenti aveva sforato il 4% era stato nel 1990, prima del collasso dell’Unione Sovietica. Dopodiché, i Paesi hanno progressivamente diminuito il budget in questione.
Dal 2018, i membri della NATO hanno effettivamente incrementato la spesa per la difesa (con l’eccezione di Grecia e Canada). In cima alla lista dei “virtuosi” ci sono Lituania, Lettonia, Bulgaria, Montenegro, Turchia e Paesi Bassi. In ogni caso, la soglia del 4% auspicata da Trump è ancora lontana (gli stessi USA dovrebbero incrementare la propria spesa militare del 15%, per raggiungere l’obiettivo del 4% del PIL). Ovviamente nel merito della spesa militare rientrano, per ciascuno Stato, anche le dimensioni, la vicinanza a Paesi ipoteticamente ostili e le capacità di spesa. Ad esempio, oggi Estonia e Lettonia spendono quasi il doppio del Portogallo, in termini di punti di PIL percentuali. Allo stesso modo, non avrebbe senso che l’Estonia contribuisse nella stessa proporzione della Germania: a questo proposito, è stato proposto un allineamento tra Paesi simili per dimensioni e popolazione, per creare un equilibrio quantomeno formale.
Se, nel complesso, la presidenza di Donald Trump non è stata caratterizzata da mosse interventiste sul fianco orientale della NATO, l’elezione di Joe Biden potrebbe portare qualche elemento di novità. I liberali in Estonia lo hanno accolto con favore, sia per l’interesse dimostrato verso la regione (già nel 2004), sia perché la sua amministrazione potrebbe contribuire ad incrementare la visibilità del Paese agli occhi della NATO. Washington è consapevole che nei Paesi baltici la popolazione prova sentimenti contrastanti verso l’Alleanza Atlantica: un sondaggio del 2019 realizzato in Estonia ha rivelato che l’81% dei cittadini estoni si fida della NATO, mentre dei cittadini stranieri residenti nel Paese, solo il 36% condivide questa fiducia. I baltici sono saturi di dichiarazioni e promesse, e vorrebbero al contrario più garanzie da parte della NATO per quanto riguarda difesa e cooperazione militare. Nel 2017, il lancio della PESCO da parte dell’Unione Europea (Cooperazione strutturata permanente per la sicurezza e la difesa) aveva suscitato fermento tra i politici e gli esperti militari baltici. Ma era stata criticata dal Ministro degli affari esteri estone, Urmas Reinsalu, in quanto si trattava, nuovamente, di un’iniziativa non in grado di fare fronte alle necessità di difesa della regione, e in potenziale conflitto con le iniziative NATO.
Nonostante gli Stati baltici siano ormai membri a tutti gli effetti di NATO e Unione Europea, e non si siano registrati attacchi diretti da parte della Russia da più di un decennio, Estonia, Lettonia e Lituania si sentono minacciate dal loro comune vicino. Non bastano le rassicurazioni di Washington e Bruxelles per allontanare il sentimento di vulnerabilità che pervade le sponde del Baltico.
Guendalina Chiusa