Conflitti asimmetrici, armi non convenzionali, compagnie di ventura: la guerra contemporanea esula sempre più dagli schemi tradizionali imposti dalle accademie militari, e anzi queste ultime si sono presto adeguate a una realtà in profondo mutamento. La Russia, una delle potenze più attente allo sviluppo del proprio comparto bellico e più in generale alla tutela della propria sicurezza, non può certo fare eccezione. Russo (Gerasimov) è il maggior teorico oggi riconosciuto in materia di guerra ibrida, e russe sono anche le compagnie di mercenari più note attualmente in circolazione.
Il merito di tale fama non è dovuto solo all’attenzione mediatica occidentale (a volte persino esagerata) verso le tattiche e i mezzi impiegati oltre la “nuova cortina di ferro”. Ma è da ascriversi anche a un oggettivo interesse di Mosca verso l’ammodernamento dei propri strumenti, specie laddove le sue esigenze strategiche hanno incontrato una non trascurabile esperienza sul campo. Il disfacimento dell’Armata Rossa, le drammatiche esperienze in Cecenia, persino le guerre in ex Jugoslavia hanno concorso a preparare un terreno fertile per la nascita delle Compagnie Militari Private (PMC), oggetto della presente trattazione.
La Russia ha deciso di mettere in campo i suoi soldati non riconosciuti in virtù di alcuni innegabili vantaggi, che verranno approfonditi nel testo. Tra questi, qui mi preme ricordare l’aspetto informale – ovvero l’inesistenza ufficiale di un impegno bellico e dei suoi relativi oneri, per così dire, d’immagine. Il ricorso ai mercenari permette infatti al Cremlino di non esporsi
- con le altre potenze, negando – laddove sia utile farlo – il coinvolgimento in determinati scenari di crisi (e ad esempio evitando di attraversare eventuali linee rosse, o di dover impostare trattative diplomatiche sulla base di una presenza militare riconosciuta);
- davanti ai propri cittadini, da sempre – e in particolare dopo il conflitto sovietico in Afghanistan – tiepidi nei confronti delle missioni militari all’estero, o almeno di quelle non percepite come strettamente necessarie per la difesa della madrepatria.
Ampia la varietà di scenari in cui le PMC hanno potuto misurarsi, “grazie” al proliferare delle crisi che hanno favorito il loro inserimento: dall’annessione della Crimea del 2014 e il successivo conflitto in Ucraina orientale – in cui hanno fatto la loro comparsa i famigerati “uomini verdi” – ai conflitti civili in Siria e in Libia, dove la sfida è stata ben più complessa sia sul piano delle connessioni logistiche, sia su quello più prettamente politico-militare. Attestazioni di mercenari o consiglieri russi sono poi state registrate – e in questa sede, nei limiti del possibile, verificate – in territori molto più lontani dai confini della Federazione, come ad esempio nel fragile Venezuela di Maduro.
Quasi ignorato dai nostri media è infine il ruolo – qui invece doverosamente ricostruito – delle PMC in Africa sub-sahariana, ovvero in quei territori dove gli apparati coercitivi degli Stati sono generalmente più deboli. E quindi il potenziale dei mercenari russi è più alto, tanto da permettere l’invio di squadre di dimensioni limitate (anche poche decine di uomini) ma dotate di mezzi apparentemente sufficienti a influire nei Paesi in questione.
Su tutto domina una consapevolezza inquietante: quella di una mancata regolamentazione del settore, che non corrisponde – come si potrebbe ingenuamente pensare – all’assenza di controllo delle PMC da parte dei governi, ma al contrario permette a questi ultimi di “ignorarne” l’esistenza, usandole per fini nascosti o almeno non dichiarati. Parimenti, il crescente ricorso alle PMC rischia di deresponsabilizzare sempre più gli Stati, già de facto svincolati dalle norme di diritto internazionale a causa della palese debolezza – nella coercizione e nel prestigio – delle organizzazioni sovranazionali deputate sulla carta a sorvegliarne il rispetto. Tali problemi – ovviamente – non riguardano solo la Russia, ma l’estensione del fenomeno dei contractors nel contesto post sovietico può senz’altro essere un buon punto di partenza per una riflessione sul tema.
Ed è ciò che prova – anzi, a mio avviso, riesce – ad avviare questo eBook, con lucidità e distacco, in sintonia con la missione fondativa di Osservatorio Russia. Riccardo, l’instancabile autore, ha il merito di affrontare la questione con prudenza e nel più rigoroso metodo possibile, stanti le oggettive difficoltà nel reperimento di informazioni sensibili e l’assenza di una reale organicità della materia. Mi preme anche ricordare alcuni collaboratori dell’Osservatorio, Elena Tagliaferri, Marco Limburgo e Mattia Baldoni, per i preziosi consigli e il lavoro d’impaginazione. A loro va il mio sentito ringraziamento per aver permesso la pubblicazione di quest’opera, che spero possa essere d’aiuto per chi voglia districarsi tra le maglie dell’attualità, sempre più intossicate da narrazioni confuse e ricostruzioni di parte.
Pietro Figuera, direttore di Osservatorio Russia
L’autore
Riccardo Allegri, coordinatore desk Difesa e Cyber di Osservatorio Russia. Laureato in Scienze Politiche degli Studi Internazionali presso l’Università degli Studi di Bologna, ha recentemente conseguito la laurea magistrale in Studi Internazionali presso l’Università di Pisa. Ha svolto numerosi lavori e scrive di politica internazionale per diverse riviste online e cartacee, tra le quali Zeppelin, Il Caffè Geopolitico, Eurasia, Asrie Analytica e CSI. È specializzato in Russia e spazio post-sovietico, motivo per cui parla la lingua russa.
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