L’esperienza persiana di Ivan J. Korostovetz, diplomatico di primo rilievo della Russia di Nicola II, alle soglie della Prima guerra mondiale (1913-15). Le sue memorie, raccolte e pubblicate dal bisnipote italiano Carlo Gastone, aprono un’interessante finestra su un teatro apparentemente periferico del Grande Gioco anglo-russo. Aiutandoci a riscoprire la portata globale delle alleanze e delle rivalità europee.
Per apprezzare pienamente Persian Arabesques, memorie politiche di Ivan Jakovlevic Korostovetz (curate dal bisnipote Carlo Gastone per Pathos Edizioni, 2021), non basta leggerne le pur ricche pagine. Benché il testo sia anticipato, nella sua prima edizione italiana, da una voluminosa introduzione di Nugzar K. Ter-Oganov, storico orientalista ed esperto di relazioni russo-iraniane, occorre fare uno sforzo in più e immergersi nel contesto globale che circonda le vicende.
Siamo alla vigilia della Prima guerra mondiale e non importa in quale porzione di globo ci si trovi: gli schieramenti europei, ovvero di quelle potenze che controllano ancora larga parte delle terre conosciute, influenzano in modo palpabile qualunque rapporto di forze esistente. La frizione tra gli Imperi centrali e la Triplice Intesa sta per raggiungere il punto di non ritorno, spinta dalle ambizioni guglielmine, dal revanscismo francese e dalla più generale corsa agli armamenti. Nessuno immagina ancora la Grande guerra ma, come prima di ogni tempesta, uno strano clima aleggia tra le cancellerie, sovrastando i destini e le intenzioni dei singoli.
Tra le più bizzarre anomalie di quella fase, inopportunamente definita Belle Epoque, vi è la quasi inedita convergenza tra due potenze rivali: l’Impero russo e quello britannico. I due storici avversari, già in silenziosa lotta per gli equilibri dell’Eurasia da oltre un secolo, chiudono il Grande Gioco e depongono l’ascia di guerra – benché raramente dichiarata, in termini formali – perché in Europa intanto si addensa l’ombra dell’espansionismo tedesco. Minaccia letale per gli equilibri del continente, non tollerabile – per ragioni ovviamente differenti, ma tutto sommato analoghe – né da Londra né da San Pietroburgo.
L’intesa – anzi, l’Intesa – destabilizza i contemporanei, specie coloro che sono abituati a ragionare secondo le vecchie logiche. Tra questi, come vedremo, vi è senza dubbio Ivan J. Korostovetz, diplomatico con una carriera di tutto rispetto – ha un ruolo di primo piano, tra le altre cose, nei negoziati post guerra russo-giapponese (1905) e nel riconoscimento dell’indipendenza mongola (1912) – inviato nel 1913 in uno dei teatri più delicati del continente asiatico: la Persia degli Scià.
Appena sei anni prima del suo arrivo a Teheran, nel 1907, si era celebrata la riappacificazione anglo-russa, sancita proprio con la partizione delle rispettive influenze sulla vecchia e declinante potenza persiana – che in quella fase non poteva contrastare il predominio dei due grandi imperi. Più che di una pace, si trattava però di una fragile tregua: tanti ancora gli elementi di conflitto, senza contare le intromissioni di chi (specie ottomani e tedeschi) aveva tutto l’interesse di minare gli accordi. Per i russi, la Persia era una potenziale via d’accesso ai mari caldi nonché un trampolino per la vicina India, l’agognata perla dell’impero di Sua Maestà. Un valore strategico che per ragioni speculari aveva portato i britannici a difenderne le coste meridionali, peraltro di crescente interesse nell’ambito delle esplorazioni petrolifere.
Quando Korostovetz giunge in Persia, momento che peraltro coincide con l’avvio di Persian Arabesques, il contesto è dunque quello di un delicato equilibrio tra le parti. E la sua missione, esplicitata da Sazonov (ministro degli Esteri russo e dunque suo diretto superiore), è quella di preservarlo quasi ad ogni costo. Ma il carattere e le iniziative di Korostovetz cozzano ben presto con tali propositi. Una lunga serie di incomprensioni ed errori, riconosciuti postumi dallo stesso ambasciatore, rovinano l’iniziale clima di fiducia instaurato con il suo omologo britannico, Sir Walter Townley. E finiscono per deteriorare in larga parte l’immagine dei russi presso gli stessi persiani, già storicamente diffidenti verso l’ingombrante vicino. Risultato: l’esperienza di Korostovetz a Teheran si interrompe bruscamente nel 1915.
A Pietrogrado (la capitale russa aveva intanto cambiato nome) l’ambasciatore viene richiamato aspramente da Sazonov, che gli rimprovera di aver fallito la missione e messo a rischio gli obiettivi russi, gli stessi che Korostovetz credeva in altro modo di difendere. In verità, non erano tutte sue le responsabilità dei cattivi rapporti con gli inglesi e i persiani, ma l’abbandono del suo incarico rasserena sia il governo russo che quello inglese, alle prese intanto con la guerra scoppiata in Europa. Korostovetz può consolarsi con l’attestato di stima dello zar Nicola II, ma la sua brillante parabola diplomatica è pressoché al capolinea. Seguono, nel racconto, le vicende della Rivoluzione russa – che vedono pure una breve ma infruttuosa interlocuzione tra Korostovetz e i bolscevichi, interessati alla sua pluridecennale esperienza – e gli sviluppi della politica estera sovietica nei confronti di Teheran (mossa da una sostanziale continuità). A testimoniare l’interesse dell’autore per l’area, non confinato al suo incarico diplomatico.
Dura soltanto 18 mesi l’esperienza di Korostovetz in Persia, ma la densità degli avvenimenti e del racconto che li accompagna li fa sembrare un tempo ben più lungo. Le impressioni dell’ambasciatore fotografano un momento cruciale del Novecento persiano, un secolo che sarà ricco di colpi di scena e radicali mutamenti anche su quelle sponde – inizialmente periferiche, e poi sempre più centrali nell’attualità globale. Soprattutto, Korostovetz ci restituisce un dettagliato affresco delle relazioni anglo-russe e russo-persiane, attraverso una testimonianza di primissimo piano che non può avere rivali – per ovvie ragioni di “ruolo” del suo autore – nelle trattazioni dei suoi contemporanei. In altre parole, Persian Arabesques costituisce una fonte primaria, ovvero un eccezionale documento storico redatto – peraltro con lucidità e onestà – da uno dei suoi indubbi protagonisti.
E come tale, merita di essere esaminato da chi si approccia alla diplomazia russa in Medio Oriente del periodo zarista. Nonché da chiunque sia curioso di riscoprire un capitolo di storia internazionale ben poco conosciuto dalle nostre parti, ma non per questo meritevole di oblio. Anzi.