Il ritorno della Russia in Asia Centrale passa dall’Uzbekistan, la nazione che più di tutte sta vivendo dei cambiamenti strutturali, economici e politici dopo la morte del “Presidente eterno” Islam Karimov. Il suo successore, Shavkat Mirziyoyev, ha saputo farsi portavoce di uno svecchiamento delle istituzioni del Paese e di una nuova e necessaria assertività diplomatica e commerciale.
La nazione più popolosa dell’Asia Centrale rappresenta un mercato allettante per gli investitori internazionali ma ha in primis una forte necessità di investimenti in campo infrastrutturale e securitario, oltre che di una maggiore credibilità internazionale. I piani di trasformazione e il rinnovato interesse di Putin nei confronti dell’Asia (occorre smarcarsi dalle pressioni e sanzioni occidentali) si incontrano in un contesto favorevole. La rinnovata partnership fra i due ex eredi dell’Unione Sovietica può rappresentare un ostacolo al predominio della Cina in una nazione strategica ai fini degli ambiziosi sviluppi della “Via della Seta”, fiore all’occhiello della politica estera del presidente Xi Jinping.
Se al momento la Russia non può assolutamente rivaleggiare con l’appeal rappresentato da Pechino, in grado di offrire alle emergenti economie centroasiatiche un ampio mercato interno e investimenti economici faraonici, in alcuni settori Mosca sembra garantire maggiore credibilità, come nel nucleare o nella cooperazione militare, per non parlare poi della sorte di un milione di lavoratori stagionali uzbeki che, lavorando in Russia, creano rimesse vitali per il necessario apporto di liquidità a Tashkent. Una risorsa indispensabile per far fronte alla cronica mancanza di manodopera a basso costo, ma anche un efficace strumento di ricatto nei confronti delle élite politiche centroasiatiche in via di smarcamento dalla sfera di influenza russa.
Putin a Tashkent fra affari e soft power
La visita del presidente Putin nella capitale uzbeka, avvenuta l’ottobre scorso, ha sorpreso gli analisti politici per l’inaspettata mole di accordi commerciali conclusi e per il clima cordiale e la complicità fra il presidente della Federazione Russa e i padroni di casa: 785 accordi e memorandum raggiunti per un valore complessivo di 27,1 miliardi di dollari, il più grande pacchetto di investimenti ottenuto dall’ascesa di Mirziyoyev al potere. A guidare la visita di Putin, non solo la necessità di cercare partner affidabili in un movimentato contesto multipolare, ma anche le riforme operate dal parlamento uzbeko al fine di operare dei mutamenti in un’economia asfittica, dipendente dalle esportazioni di materie prime e minata da alti tassi di corruzione e disoccupazione.
Di vera svolta si tratta anche alla luce delle tensioni passate fra Mosca e Tashkent su alcuni dossier delicati tuttora in discussione: la russofobia del defunto presidente Karimov aveva non solo danneggiato i rapporti bilaterali e commerciali fra i due Stati, ma aveva anche operato un deciso affrancamento dalla residua influenza russa (rinuncia all’alfabeto cirillico, nazionalismo e repressione della minoranza russofona). L’interscambio commerciale fra i due Paesi non cessa di aumentare, mentre Mosca può vantare in Uzbekistan il maggior numero di società (circa 960) in cui è investito capitale russo. Secondo le stime degli esperti della Camera di commercio e dell’industria uzbeka, questo numero dovrebbe superare le 1.000 società entro la fine dell’anno.
Per quanto riguarda le imprese uzbeke in Russia, circa 560 sono state aperte contribuendo a fare dell’Uzbekistan il quarto Stato della Comunità degli Stati indipendenti a commerciare di più con la Russia. Dati alla mano, alla fine del 2017, il commercio aveva raggiunto quasi 3,6 miliardi di dollari ed era aumentato del 33,9%. A gennaio e febbraio 2018, gli scambi sono aumentati del 50,2%, a 600 milioni di dollari. Le esportazioni russe sono aumentate del 59,7% e le importazioni del 28,1%. Allo stesso tempo, il volume degli investimenti russi in Uzbekistan è arrivato a quota 8,5 miliardi. All’interno della variegata delegazione russa anche 82 presidenti di college universitari lì presenti per incontrare le loro controparti e stringere accordi con altrettanti istituti uzbeki. L’incontro ha portato alla firma di 100 accordi di cooperazione, che hanno consentito l’apertura di numerosi rami dei college russi in Uzbekistan; la Russia sta puntando decisamente sull’utilizzo delle istituzioni didattiche e sulla diffusione della propria lingua e cultura come strumento di soft power, con il fine di proiettare la sua influenza in un contesto in cui proprio l’istruzione di una società giovane appare fondamentale a formare le classi dirigenti del futuro.
L’interscambio e la collaborazione militare
“Senza dubbio con il cambio di leadership la situazione è cambiata; noi apprezziamo davvero molto la volontà di cooperare lungo nuove e promettenti direttive militari che potrebbero dar luce a ulteriori progressi significativi nella stabilizzazione della regione”.
Evgenij Bužinskij
Non di solo commercio si è discusso nel corso della visita, ma di mutua cooperazione in ambito securitario e di acquisizione di asset militari. Come già preannunciato dalla visita del Ministro della difesa russo Sergej Šojgu, l’Uzbekistan si è dimostrato fortemente interessato all’acquisto di materiale dell’industria bellica russa, i cui prodotti rappresentano il bene di esportazione maggiormente richiesto dalle difese di mezzo mondo. I due Paesi hanno firmato un contratto per la consegna di 10 elicotteri Mi-35 (il Mi-35M è un elicottero da combattimento multiruolo costruito per distruggere bersagli corazzati e fornire supporto aereo per missioni a terra, oltre a trasportare personale militare, evacuare i feriti, consegnare carichi e svolgere altre attività).
L’Uzbekistan ha anche recentemente ripreso l’invio di personale militare da addestrare presso le scuole militari in Russia, mentre esattamente un anno fa si son tenute le prime esercitazioni militari congiunte dopo un lungo periodo di interruzione risalente al 2005. Sulla vicenda, Evgenij Bužinskij, ex capo della sezione di cooperazione internazionale del Ministero della difesa russo, si è espresso chiaramente nel corso di un intervista all’agenzia RIA Novosti: “Senza dubbio con il cambio di leadership la situazione è cambiata; noi apprezziamo davvero molto la volontà di cooperare lungo nuove e promettenti direttive militari che potrebbero dar luce a ulteriori progressi significativi nella stabilizzazione della regione“.
Una centrale nucleare made in Cremlino
Il fiore all’occhiello degli accordi bilaterali ha visto coinvolta ROSATOM, la società statale russa per l’energia nucleare. I due Paesi avrebbero raggiunto un accordo per la costruzione di una centrale nucleare a due reattori (NPP). Se costruita, la centrale aggiungerà 2.400 megawatt (MW) alla capacità installata totale esistente in Uzbekistan di 14.100 MW e, in una certa misura, ciò potrebbe alleviare le attuali carenze di energia. Non sono mancate le polemiche da parte degli ambientalisti e degli oppositori, mentre alcune fonti sollevano dubbi sull’effettiva capacità della società russa di portare a termine l’opera nei tempi previsti, in quanto già oberata da un ambizioso obiettivo di costruzione di 42 reattori nucleari in 12 Paesi di tutto il mondo.
Se da un lato questa centrale non riuscirà a coprire in toto i bisogni energetici di un Paese in forte crescita demografica ed economica (il consumo di elettricità del paese dovrebbe aumentare del 50% nel prossimo decennio), la tendenza del Governo ad esportare energia piuttosto che sopperire ai bisogni interni rischia di offrire ben pochi vantaggi alla popolazione autoctona, testimone di un periodo di incertezza energetica (si susseguono senza tregua black out prolungati in tutte le principali città mentre diverse regioni frontaliere sono tuttora escluse dalla copertura energetica nazionale).
Se la professionalità dei progettisti russi fa della ROSATOM una delle società maggiormente accreditate in ambito commerciale, la possibilità, tuttora remota, di disordini interni potrebbe rendere la centrale nucleare un bersaglio appetibile per presunte cellule radicali islamiche, oltre che incrementare i rischi ambientali nello stesso Paese che ha vissuto (e in parte continua a soffrire) la crisi del Lago Aral: un grande lago al confine con il Kazakistan quasi completamente prosciugato dallo sfruttamento intensivo agricolo e industriale. In ultimo, il Paese dispone di potenzialità nel campo delle energie rinnovabili e privilegiare queste fonti di approvvigionamento energetico potrebbe rappresentare per l’Uzbekistan una fonte di energia pulita, oltre che trasformare il Paese in un hub all’avanguardia attirando investimenti, ma al momento questo non sembra rappresentare una priorità per le élite uzbeke.
Quale futuro?
A leggere i dati e a sentire le dichiarazioni delle due cancellerie, sembrerebbe essere nato un nuovo asse in Asia Centrale. Tuttavia, andando nel dettaglio, si manifestano perplessità e dubbi che potrebbero incrinare un promettente rapporto e solo conoscere le iniziative future del presidente uzbeko potrà farci comprendere se effettivamente il Paese sarà in grado di diventare una media potenza di rilievo nello scacchiere geopolitico, o se finirà per rientrare nella sfera di influenza russa o cinese. Mirziyoyev ha sicuramente espresso il desiderio di strappare la sua nazione all’isolamento a cui l’autoritarismo del predecessore l’aveva condannata, e per far ciò non ha esitato a tessere relazioni bilaterali e compiere ambiziosi missioni diplomatiche fra Francia, Cina e Stati Uniti, mentre si è dimostrato poco interessato a includere il proprio Paese nelle Organizzazioni internazionali.
La Russia vorrebbe includere il paese nell’Organizzazione del Trattato sulla sicurezza collettiva (CSTO), che rappresenta lo strumento di dominio geopolitico della Federazione fra i Paesi dell’ex Unione Sovietica. Per facilitare questa mossa non ha esitato a offrire incentivi economici e tariffe scontate sull’acquisto degli armamenti ai partner uzbeki, che solo i membri di questa organizzazione possono ottenere, ma allo stesso tempo non sono stati fatti importanti passi in aventi, se si escludono dichiarazioni concilianti di incerta rilevanza. Se difficilmente l’Uzbekistan potrà evitare l’offensiva cinese e non rispondere al crescente interesse commerciale e strategico dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, d’altra parte sembrano essere lontani i periodi in cui ogni iniziativa di Mosca veniva vista con sospetto neocoloniale o sprezzante disinteresse.