Quanto e perché conta l’ex Konigsberg, antica piazzaforte tedesca oggi al centro di un’exclave russa nel Baltico. Avamposto o bersaglio, Kaliningrad può dividere letteralmente il fronte militare della Nato, fino a tramutarsi in uno dei principali teatri di guerra tra Mosca e l’Occidente. Con buona pace della “pace perpetua”, teorizzata qui dal suo concittadino storicamente più illustre.
Strana storia, quella di Mikhail Ivanovič Kalinin. Figlio di contadini, poi contadino lui stesso, maggiordomo e infine operaio ferroviario a Tbilisi (Georgia), dove fece la conoscenza di Sergej Alliluiev, padre della seconda moglie di Stalin. A Pietroburgo fu tra i fondatori della Pravda, nel 1917 sindaco della città, dal 1919 al 1946 presidente dell’Urss, anche se veniva preso in giro da Khruščëv che di lui ebbe a dire: “Sotto Stalin era il prestanome per la firma di tutti i decreti, anche se di rado partecipava alla loro elaborazione”. Stalin, certo. La fedeltà fu la cifra esistenziale di Kalinin, che non venne meno nemmeno quando nel 1938, all’apice delle purghe, il capo supremo fece arrestare sua moglie che, sotto tortura, fu costretta ad ammettere inesistenti “attività controrivoluzionarie”, che la portarono in un Gulag fino al 1945. Chissà, forse a Stalin piaceva perché era l’unico vero proletario della sua cerchia. Oppure per il carattere mite che gli guadagnò il soprannome di “caro nonno” in parallelo con quello di “caso padre” che veniva usato per lo stesso Stalin. Fatto sta che alla morte, avvenuta nel 1946, il buon Kalinin fu onorato dando il suo nome a tre città: Korolyov, Tver’ (che lo mantenne fino al 1990) e la più importante di tutte, cioè Kaliningrad, il porto affacciato sul Mar Baltico, l’exclave russa stretta tra Lituania e Polonia di cui tanto si discute da quando è partita l’invasione russa dell’Ucraina.
La città prese il nome il 4 luglio del 1946, pochi giorni dopo la morte del “caro nonno”. Ma prima, e a partire dal 1255, cioè da quando era stata conquistata dai cavalieri teutonici, era sempre stata Konigsberg (“città del re”), di fatto la capitale della Prussia orientale. Una piazzaforte tedesca. Hitler aveva conservato la tradizione militaresca, anzi l’aveva munita di tre anelli di fortificazioni collegate tra loro da gallerie sotterranee e affollata di 150 mila soldati. Durante l’offensiva sovietica che infine portò al crollo del nazismo, Konigsberg e i suoi quasi 400 mila abitanti tedeschi rimasero a lungo ai margini delle operazioni. Ma poi dovettero pagare il conto. Nell’agosto del 1944 l’aviazione inglese scaricò sulla città un diluvio di bombe, provocando danni enormi. E nella primavera del 1945, temendo che le truppe sovietiche che muovevano verso Berlino potessero essere attaccate alle spalle, Stalin ordinò al maresciallo Rokossovskij di prendere a ogni costo la città. Konigsberg fu tagliata fuori dai collegamenti di terra con il resto della Germania e attaccata. L’ultima battaglia durò quattro giorni (6-9 aprile 1945) e i tedeschi dovettero infine capitolare dopo aver perso 50 mila uomini. Tutta la residua popolazione tedesca (circa 200 mila persone) fu espulsa e poi sostituita con una popolazione sovietica. Risultato: una città svuotata e per l’85% demolita. Un solo gioiello dell’epoca germanica rimase miracolosamente intatto: la piccola chiesa protestante che ospita la tomba di Immanuel Kant, uno dei più famosi filosofi moderni, nato a Konigsberg nel 1725 e lì morto nel 1804, senza essersi mai mosso dalla città.
Dopo i cavalieri teutonici e Hitler toccò a Stalin. Il georgiano, alle trattative di Potsdam, chiese e ottenne questo lembo di terra sul Baltico. Voleva, e lo disse, “un porto che non gela”. E, ovviamente, un affaccio sull’Europa, anche se quella che da lì si vedeva era tutta compresa nel Patto di Varsavia. E se Kaliningrad era importante allora e in quelle condizioni, figuriamoci da quando l’Urss è crollata, la Lituiania è indipendente, le due Germanie sono tornate a essere una e la Polonia guida la carica anti-russa. Kaliningrad ora guarda negli occhi il nemico. E presidia per conto del Cremlino un Baltico che, con l’ormai certo accesso di Svezia e Finlandia alla Nato, rischia di diventare un lago dominato dall’Alleanza Atlantica.
Kaliningrad è quindi un punto estremamente delicato della sfida tra la Russia e l’Occidente. Il Cremlino, nella lunga pratica del confronto poi sfociato in guerra aperta, si è mosso con anticipo. Una delle tre basi russe di lancio per i missili nucleari si trova proprio a Kaliningrad (le altre due sono a Rostov, nel Sud, e nella regione di San Pietroburgo) ed è dotata dei 9M729, i missili con un raggio d’azione fino a 2.500 chilometri, predisposti appunto per colpire l’Europa fino all’Irlanda e alla Spagna. In altre parole, quelli sono lì per noi. Per chiarire eventuali dubbi, il primo canale della Tv di Stato russa ha trasmesso una simulazione del lancio da queste basi del missile russo Sarmat, pronto all’uso dal prossimo autunno: 202 secondi per colpire Londra, 200 secondi per Parigi, 106 per Berlino, 30 per Varsavia.A Kaliningrad, poi, non ci sono solo le basi per i missili nucleari, ma anche i sistemi anti-aerei S-400, i sistemi anti-nave Bastion e i missili ipersonici Iskander. Ultimi ma non ultimi sono arrivati i cacciabombardieri capaci di portare sotto le ali i missili Kinzhal. Per finire, si trova qui il quartier generale della Flotta del Baltico. Un apparato di difesa e offesa completo, almeno in teoria capace di bloccare i mari e i cieli e di colpire lontano.
Ma non c’è solo questo. Kaliningrad, con tutti i suoi armamenti, è uno dei due capi del cosiddetto “corridoio di Suwalki”, che gli analisti della Nato da anni segnalano come uno dei punti deboli dello schieramento Est dell’Alleanza. All’altro capo c’è la Bielorussia, negli ultimi tempi rinforzata da cospicue guarnigioni russe e prossimamente dotata, come da promessa di Vladimir Putin ad Aleksandr Lukašenko, di missili atomici. Tra i due capi, 90 chilometri di territorio lituano (e di confine lituano-polacco) su cui, in base a un accordo tra Russia e Lituania alla fine dell’Urss, corrono dalla Bielorussia le merci indispensabili alla vita dell’exclave Kaliningrad.
La decisione delle autorità lituane di bloccare il 50% di quelle merci è più che urticante per la Russia, perché rischia di mettere in crisi non solo la vita quotidiana degli abitanti di Kaliningrad, ma soprattutto il funzionamento e la manutenzione delle sue imponenti strutture militari. Tra la Lituania e un’Unione Europea che è parsa colta di sorpresa dall’iniziativa, è in corso una discussione sull’applicazione di tale decisione. E si capisce bene perché: molti infatti si chiedono che cosa potrebbe succedere se la Russia decidesse di occupare il “corridoio di Suwalki”, liberando Kaliningrad da qualunque ipotesi di assedio ma soprattutto isolando i tre Paesi baltici dal resto dell’Europa continentale. L’avrebbe mai detto, il “caro nonno”, che all’ombra del suo nome si sarebbe ipotizzata una terza guerra mondiale?
Fulvio Scaglione