Russia e Bielorussia cooperano, anche in senso militare, da ben prima dello scoppio della guerra in Ucraina – un conflitto su cui Lukašenko ha sempre mantenuto un ruolo ambiguo. Ma adesso, con la possibile creazione di tre nuovi centri congiunti di addestramento, potremmo essere a una svolta. Anche politica.
Incoraggiata dalla guerra in Ucraina, la cooperazione militare tra Russia e Bielorussia procede a passo spedito. Lo scorso 31 ottobre il presidente bielorusso Lukašenko ha firmato un decreto per autorizzare il Ministero della Difesa a condurre delle negoziazioni con la Federazione Russa per intensificare l’integrazione militare tra i due Paesi.
Lo scopo è la creazione e la messa in funzione di tre nuovi centri congiunti di addestramento militare, di cui due presumibilmente situati in Russia – nelle regioni di Nižny Novgorod (nella Russia centrale, a circa 420 km da Mosca) e di Kaliningrad (l’area di terra russa tra Polonia e Lituania) – e uno in Bielorussia, nella regione di Grodno (a circa 20 km dal confine con la Polonia). La volontà di creare questi centri, tuttavia, precede lo scoppio del conflitto in Ucraina: già a marzo 2021 il Ministro della Difesa russo Sergej Šojgu e la sua controparte bielorussa Viktor Khrenin, durante un incontro a Mosca, erano giunti a un accordo in tal senso.
La cooperazione militare tra Minsk e Mosca pone le sue radici nei primi anni Novanta ed è stata una costante negli ultimi tre decenni, determinando il raggiungimento di un elevato livello di integrazione e interoperabilità tra le forze armate dei due Paesi. Nell’ultimo anno si è registrata, poi, una vera e propria accelerazione. Il punto comune di partenza è l’identificazione dell’Occidente e della NATO come principale minaccia alla sicurezza, in particolare a causa del suo crescente stanziamento di forze in Est Europa.
A novembre 2021 è stata annunciata l’adozione congiunta di una nuova Military Doctrine of a Unified State, che ha aggiornato il precedente documento strategico – datato dicembre 2001 – e dato nuovo slancio all’integrazione militare tra i due alleati. Con lo scopo di incrementare il reciproco livello di sicurezza, la dottrina fa riferimento allo svolgimento di regolari esercitazioni congiunte, ad una maggiore cooperazione tra le industrie della difesa, ad un coordinamento nella fornitura di armamenti, alla modernizzazione delle tecniche di difesa fino ad arrivare alla potenziale unificazione dei rispettivi sistemi di comando e di addestramento militare. Un peso rilevante viene inoltre attribuito allo sviluppo delle infrastrutture necessarie per il dispiegamento e l’uso dei Regional Forces Groups, che uniscono unità militari provenienti dalle forze armate di entrambi i Paesi.
Non possiamo non notare che nonostante la cooperazione presupponga in genere una posizione di parità tra i soggetti coinvolti, in questo caso è chiara la subordinazione della Bielorussia alla Russia. Questo a causa della sproporzione tra il potenziale e il complesso militare dei due Paesi, nonché della forte dipendenza dell’industria militare bielorussa da Mosca. La Bielorussia appare per lo più come una host country, il cui ruolo fondamentale è apportare beneficio agli obiettivi militari e di sicurezza del Cremlino. In altre parole, la Russia mira ad una piena interoperabilità dei sistemi militari, che permetta all’esercito bielorusso – in un’ipotetica situazione di guerra – di operare per favorire l’equipaggiamento e il dispiegamento delle truppe russe, nonché per fornire supporto logistico e di intelligence durante le offensive.
Come è noto, durante questi mesi di conflitto in Ucraina, Minsk ha finora evitato un coinvolgimento diretto del proprio esercito, pur continuando a sostenere fermamente l’Operazione militare speciale e permettendo che il territorio bielorusso venisse utilizzato come rampa di lancio per l’invasione. In questo contesto, occorre dunque interrogarsi sul significato e sullo scopo geostrategico di questi nuovi centri di addestramento congiunti che sorgeranno nei territori dei due alleati.
In primo luogo, è evidente che la scelta sul loro posizionamento miri a lanciare un chiaro segnale geostrategico all’Occidente: due di questi sorgeranno in territorio europeo ed estremamente vicini al confine con Paesi NATO (ovvero Polonia e Lituania). Ancora una volta il messaggio di Mosca sembra risuonare forte e chiaro: una totale ostilità nei confronti dell’Alleanza Atlantica e del suo allargamento ad Est.
In secondo luogo, un nuovo centro di addestramento congiunto in Bielorussia potrebbe avere un impatto più contingente sulle sorti della guerra in corso. Mosca potrebbe utilizzare la situazione a proprio vantaggio per mobilitare più forze al confine settentrionale tra Ucraina e Bielorussia, con la conseguenza che Kiev – per non compromettere ulteriormente la propria sicurezza – potrebbe vedersi costretta a distogliere forze dal fronte orientale per spostarle più a nord. In questo modo, il Cremlino otterrebbe un significativo vantaggio per respingere la controffensiva in atto nel Donbass e nelle aree di Kherson, Mariupol’ e Zaporižžja.
Un altro interrogativo riguarda la tipologia di forze armate che questi centri ospiteranno. Seppur non confermato ufficialmente dal Cremlino, è ormai noto che Mosca abbia impiegato in Ucraina uomini e servizi forniti da Compagnie Militari Private. Già nel febbraio del 2014 la Russia era di fatto riuscita a realizzare l’annessione della Crimea senza dispiegamento di forze ufficiali, ma attraverso l’utilizzo di mercenari. Le centinaia di cosiddetti little green men, soldati in uniforme verde e senza distintivo militare, che hanno occupato la penisola e assunto il controllo del municipio di Sebastopoli erano, secondo diverse fonti di intelligence, coordinate e istruite da Mosca. Non possiamo dunque escludere che questi nuovi centri possano anche servire per meglio concentrare e organizzare il dispiegamento di queste forze paramilitari, oltre che permettere a tali soggetti privati di esercitare propri servizi di addestramento nei confronti delle forze armate “regolari”.
Non dobbiamo, però, commettere l’errore di credere che la cooperazione militare tra Mosca e Minsk si basi unicamente su valutazioni di sicurezza di tipo contingente. È chiaro che un così elevato livello di integrazione militare e di interoperabilità tra i rispettivi sistemi di difesa non sarebbe stato possibile senza una più ampia convergenza di visioni sulla politica estera e la realtà internazionale. Durante il suo ultimo intervento all’Assemblea Generale dell’ONU, lo scorso settembre, il ministro degli Esteri bielorusso Uladzimir Makej ha affermato che le relazioni internazionali sono oggi dominate dallo scontro tra due visioni incompatibili sull’ordine mondiale: l’Occidente neocoloniale che vuole imporre la propria egemonia, i propri interessi e valori anche attraverso la NATO, e il resto del pianeta, che non accetta questa posizione e invece spera e lotta per un mondo multipolare in cui nessuno possa imporre la propria visione sugli altri.
Le parole del ministro Makej risuonano analoghe a quelle del presidente Putin di questi ultimi mesi: il conflitto in Ucraina e l’impasse internazionale da esso generato potranno essere superati soltanto quando l’Occidente sarà pronto a rinunciare alla NATO e a riconoscere il principio fondamentale dell’indivisibilità della sicurezza, secondo il quale nessuno deve cercare di ottenere la propria sicurezza a spese degli altri.
Mara Boscolo