Dagli anni delle cene servite a Vladimir Putin sulla Neva al cerchio magico dello Zar passando per un gruppo di mercenari ed una fabbrica di troll. Quella di Evgenij Prigožin è la storia di un fedelissimo di Putin che per anni ha fatto il lavoro sporco nella penombra e che adesso chiede il conto.
Nei pressi della stazione metropolitana Novočerkasskaja di San Pietroburgo non lontano dal Ponte di Aleksandr Nevskij sulla Neva svetta un ciclopico agglomerato di edifici in vetro. Alla sua estremità superiore da qualche settimana è stata installata una mastodontica scritta al neon. “ČVK Vagner Centr”, si legge. Dopo l’insuccesso del progetto Skolkovo nella capitale russa, il nuovo centro pietroburghese si propone di diventare il fiore all’occhiello dell’innovazione tecnologica della Russia del futuro. Ma al di là della sua maestosità, l’insegna luminosa sulla facciata più che un polo innovativo riporta alla mente la tristemente nota compagnia militare privata Wagner. Perché il ČVK Vagner Centr è prima di tutto il suo quartier generale e, non di meno, la reggia di un altro Zar: Evgenij Viktorovič Prigožin.
A presenziare all’inaugurazione del ČVK Vagner Centr è stato Ruslan Ostaško, noto presentatore televisivo originario della città ucraina di Doneck. Secondo Ostaško, infatti, la compagnia Wagner e l’avanzamento tecnologico della Russia non sarebbero due argomenti del tutto scollegati. Anzi, i conflitti militari sarebbero la “forza trainante del progresso tecnologico”. Ma per capire perché Prigožin ha voluto il quartier generale della sua armata Wagner nello stesso esatto luogo bisogna scavare a fondo e tornare nella Russia della transizione post-sovietica, in quei dolorosi anni Novanta quando sotto la guida di El’cin una strettissima cerchia di persone si arricchiva lucrando sulle privatizzazioni.
L’allora trentenne Prigožin, dopo esser stato condannato a dodici anni per crimini vari, tornava in libertà rilanciandosi sul mercato pietroburghese sotto una nuova veste: quella di imprenditore nel settore della ristorazione. Nel 1997 apriva a San Pietroburgo uno dei primi ristoranti galleggianti sulla Neva, il New Island. Agli inizi degli anni Duemila il novello Presidente russo Vladimir Putin vi si recava spesso, tanto da avervi ospitato anche l’allora capo di stato francese Jacques Chirac. E così, mentre Putin celebrava i suoi successi al New Island, Prigožin si accaparrava il celebre appellativo di “chef di Putin”.
Ma la svolta nella vita di Prigožin arriva verso l’inizio del secondo decennio degli anni Duemila, quando l’ex fuorilegge pietroburghese è coinvolto in una serie di attività nascoste per conto di Vladimir Putin. Primo su tutti l’affare legato al Gruppo Wagner, la spietata compagnia militare privata impegnata oggi nel conflitto in Ucraina, ma anche in tanti altri teatri come la Repubblica centrafricana o il Sahel.
Altro tassello importante per la vertiginosa ascesa di Prigožin ha invece a che fare l’Internet Research Agency (IRA) di San Pietroburgo, la fabbrica di troll responsabile di innumerevoli operazioni di propaganda e disinformazione online. Il campo dell’IT in Russia rimane oggi alquanto critico non solo per la mancanza di componenti sotto embargo dall’Occidente, ma anche perché sfugge al controllo totale da parte del Cremlino. Prigožin si propone non solo come paladino dell’innovazione con il nuovo centro vicino alla Neva, ma anche come fervido sostenitore della sovranità digitale. E così avanza richieste per bloccare Youtube e sanzionare Google prima che la situazione sfugga di mano. La mobilitazione voluta da Putin ha infatti provocato non poco risentimento tra la popolazione.
Con l’incedere del sanguinoso conflitto in Ucraina, lo chef di Putin ha ammesso prima di essere la mente dietro il Gruppo Wagner e poi, con un velo minaccioso, di aver interferito nella tornata elettorale che ha visto protagonisti gli Stati Uniti nel 2016. Fino a qualche mese fa Prigožin citava in giudizio giornalisti per aver affiancato il suo nome alla più famosa compagnia militare privata al mondo. Ma quella che era considerata una diffamazione si è adesso tramutata in un titolo del quale fregiarsi. È giunto il momento di chiedere il conto dopo anni di lavoro sporco.
E così Prigožin esce dalla penombra. E lo fa capitalizzando proprio sull’efficienza del Gruppo Wagner e dell’IRA, mettendosi in prima linea in quell’ala radicale del cosiddetto “partito della guerra” insieme all’uomo forte della Cecenia, Ramzan Kadyrov. Di questo manipolo fanno parte, tra gli altri, Andrej Gurulëv, membro della Duma di Stato in favore di una destabilizzazione del sistema bancario ucraino, e uomini come il generale Viktor Zolotov legati ai servizi di sicurezza russi come Rosgvardija, FSO o FSB.
Quando, infatti, Kadyrov ha pubblicamente umiliato il generale Aleksandr Lapin a fronte della ritirata da Lyman nell’oblast’ di Doneck, Prigožin si è accodato alle critiche. Critiche che non si sono certo arrestate lì. Un certo astio tra lo chef e il ministro della Difesa Šojgu è ormai un dato di fatto. Non a caso la Wagner agisce in maniera nettamente indipendente rispetto all’esercito regolare e Prigožin non ha mancato di sottolineare le differenze tra le due formazioni.
Ma i rimproveri di Prigožin non sarebbero fini a sé stessi. Vi sarebbe infatti la volontà di guidare in qualche modo l’operazione in Ucraina. Secondo figure come Chodorkovskij, vi sarebbe proprio lo zampino di Prigožin nella nomina del generale “Armageddon” Sergej Surovikin a capo delle forze armate russe in Ucraina. Tant’è che oggi l’operato del padre della Wagner sembra essere assurto a quello di un vero e proprio ministero parallelo a quello della Difesa. Nelle oblasti russe di Kursk e Belgorod l’ex proprietario del New Island ha addirittura annunciato la creazione di centri di addestramento per milizie.
Godendo di un maggior margine di manovra, negli ultimi nove mesi di sangue in Ucraina Prigožin non ha risparmiato una certa retorica estremista ed assolutista. Nell’area di Bachmut dove sono impegnati i suoi mercenari, lo chef ha annunciato l’inizio dell’operazione “tritacarne Bachmut” per annientare l’esercito ucraino. Ma Prigožin è ben consapevole del fatto che se, semi-citando un ormai lontano Vladimir Putin, l’aggressione russa dovesse risultare nella “più grande catastrofe del XXI secolo” per la Russia, non avrebbe nulla da perdere. Anzi, le amare contestazioni nei confronti dei generali militari non farebbero che contribuire alla sua ascesa, permettendogli così di eludere la possibilità di essere appuntato tra coloro che avranno deluso le aspettative della missione russa.
Tra le prime teste a cadere per volontà di Prigožin vi è quella del governatore di San Pietroburgo Aleksandr Dmitrievič Beglov. Beglov è stato infatti denunciato per attività illegali e alto tradimento. Dietro il colpo basso di Prigožin vi sarebbero degli appalti ostacolati. Se le ambizioni dello chef fossero effettivamente politiche, la sua città natale di San Pietroburgo potrebbe infatti rivelarsi un buon trampolino di lancio, seguendo le orme della sua guida Vladimir Putin. Certo, le mire di Prigožin in politica sono finora risultate decisamente fallimentari. E dopo l’esperimento abortito di riavvicinamento al partito nazionalista Rodina (“Patria”), lo stesso Prigožin si è detto di voler stare alla larga da certi ambienti.
Più che leader politico, Prigožin potrebbe al momento di fatto puntare al ruolo di guida “spirituale”, raccogliendo consensi attraverso l’unione di tante fazioni diverse: da quelle ultranazionaliste e conservatrici a quella fetta di popolazione disillusa di fronte agli insuccessi militari e frustrata per le conseguenze socioeconomiche scaturite dal conflitto. D’altronde, Prigožin ha sempre anelato ad una posizione di maggior rilievo. Con la campagna russa d’Ucraina si è aperta una finestra di opportunità. E lo chef, che conosce bene le regole del gioco tra le stanze del Cremlino, ha deciso di non farsela scappare. Soffiando sul fuoco dell’escalation militare e schierando in campo i fedelissimi della Wagner, si è conquistato ancora una volta il cuore dell’uomo forte del Cremlino. Ma in quanto creatura personale di Putin, Prigožin vive e prospera solo ed esclusivamente grazie allo Zar.
Tra i servizi di sicurezza e i siloviki, in quei circoli in cui si crogiola la stretta cerchia dello Zar, Prigožin non è assolutamente ben voluto. È semplicemente un outsider che crede di poter accedere alla stanza dei bottoni, senza però aver capito si trovi veramente. Affrontare Putin oggi come oggi risulta dunque improbabile in quanto suicidio assicurato. Non è però escluso che Evgenij Prigožin cerchi di ingraziarsi lo Zar rivestendo il ruolo di un Rasputin di corte per poi voltare le spalle una volta costruito un certo consenso tra le elite e la popolazione. Nel frattempo, le tende per Prigožin si sono aperte. E lo spettacolo è appena iniziato.